Scrivere è dare voce a persone morte (Intervista alla scrittrice Cristina M. Cavaliere)


 

home page il manoscritto del cavaliereNuova intervista, questa volta alla scrittrice Cristina M. Cavaliere, che ringrazio per la disponibilità.

Buona lettura.

Chi o che cosa ti ha fatto venire voglia di scrivere? Perché non ti sei limitata a leggere?

Come prima cosa ti ringrazio molto dell’opportunità offerta dalla tua intervista. La lettura è stata proprio lo stimolo che mi ha fatto venire voglia di cimentarmi con la scrittura, e parlo anche di letture scolastiche. È nota la mia passione per la Storia, da cui ho sempre tratto spunti per narrazioni e personaggi reali o di fantasia. Bastava leggere il passaggio di un poema epico letto al liceo a provocare in me una serie di immagini. Per farti un esempio, ricordo la lettura di un passo de “La chanson de Roland”, nello specifico l’episodio che narra il momento in cui, dopo sette anni di guerra, l’esercito di Carlo Magno è vittorioso in Spagna; solo Saragozza, difesa dal re dei Mori Marsilio, oppone ancora resistenza. Come ultima soluzione questi, per prendere tempo, invia a Carlo l’ambasciatore Biancandrino, con promesse di resa e di conversione alla fede cristiana. Fu la situazione in sé, e il nome dell’ambasciatore, a coinvolgermi moltissimo. E immaginavo che l’ambasciatore fosse un giovane dalla pelle chiara e dai capelli biondi, musulmano fervente; e che naturalmente Carlo, vedendolo, fosse colpito dal suo aspetto e volesse saperne di più, scoprendo che era stato rapito da bambino. Senza saperlo, stava prendendo forma il personaggio di Francesco ne “La colomba e i leoni”, il perno attorno a cui ruotano le vicende di tutti i personaggi della saga. Un altro periodo che mi attirava molto, anzi, che mi ossessionava, era la Rivoluzione francese. Tutto questo potrebbe essere certamente liquidato come la fantasia troppo sbrigliata di una liceale, tuttavia avvertivo il bisogno di appuntarmi queste scene o idee su alcuni taccuini, e di rileggermele ogni tanto. In seguito, accadeva qualcosa di strano, cioè questi soggetti e scene ritornavano continuamente come oggetti riportati dalla corrente, in sogno e in veglia. Sembravano voler reclamare attenzione, a chiedermi di dar loro forma più compiuta attraverso la scrittura. 

Di certo sei una scrittrice che non si improvvisa tale dall’oggi al domani. Chi plana sul tuo blog, Il manoscritto del cavaliere, trova una sezione “I miei lavori” che illustra la tua produzione. Vale a dire: romanzi, drammi storici per il teatro, racconti e poesie. E allora: definisci che cosa rappresenta per te scrivere.

È dare voce a persone morte da secoli, se mi perdoni la risposta un po’ macabra… da negromante. Persone che, in qualche modo, sento vicine a me. Per la verità ho provato a scrivere altro che esulasse dal romanzo storico, perlomeno nei primi tempi, ma i risultati non mi soddisfacevano e inevitabilmente ritornavo al mio primo amore, appunto con qualche specifica preferenza per alcuni periodi (ad esempio non sono molto attirata dalla storia romana, e tantomeno da quella greca). E hai detto bene asserendo che non ci s’improvvisa in questo genere; per questo motivo mi fa sorridere una delle regole nel decalogo di Stephen King che consiglia di scrivere un romanzo ogni tre mesi. Con tutto il rispetto per il “Re”, che è un grande scrittore, si capisce lontano un miglio che non può parlare del genere storico. Quest’ultimo richiede tempi lunghissimi, quasi biblici, dove spesso si lavora contemporaneamente su più romanzi, come se si aprissero diversi cantieri e, cosa inevitabile, il tutto rimanesse nella più totale confusione per anni, tra impalcature, polvere, rumori e operai vocianti. Per scrivere il mio racconto di sei paginette “Il più grande dei re”, con cui ho partecipato al concorso di Italia Medievale, ho dovuto leggere un’opera di filosofia (due volte peraltro, in digitale e cartaceo, perché i rimandi in ebook non funzionavano!) e una biografia. I tempi di scrittura del racconto sono stati nell’ordine delle due settimane, e poi c’è stata la rilettura da parte di tre persone.

Scrivere è un’arte che si impara con tanta pratica e tantissima teoria (cioè: si deve leggere moltissimo): ma quanto un blog può essere davvero utile? Non è preferibile scrivere storie, e basta, invece di spremersi la testa per sfornare post? 

Con il blog ho voluto sfruttare la possibilità di scrivere articoli in uno spazio mio, senza dover dipendere da un editore o da un programma di uscite. Pochi lo sanno, ma in passato ho anche lavorato come giornalista nella scrittura di articoli in riviste appartenenti al settore dell’alimentazione: panificatori, pasticceri e gelatieri. Mi ero appena messa in proprio, e volevo arrotondare le mie entrate: è stata un’esperienza formativa e divertente, dove ho conosciuto persone interessanti, imparato in misura minima come intervistare e scrivere articoli… e poi ho assaggiato ottimi gelati! Però in una rivista devi sottostare alla linea dell’editore, avere delle scadenze, sfornare pezzi senza avere il tempo e la possibilità di limarli a dovere a causa dei ritmi frenetici; e poi non puoi osannare, ad esempio, i gelati fatti con ingredienti freschi (almeno una volta era così) perché potresti scontentare i gelatieri che usano i semilavorati, e che sono gli sponsor che finanziano la rivista. Insomma, ci sono parecchi compromessi anche in un settore apparentemente lineare come questo. 

Con il blog no, o molto meno, fatta salva la responsabilità per ciò che pubblichi. Il mio vero problema con il blog non sono le idee, semmai il tempo che manca: mi trovo sempre in affanno a chiudere i post all’ultimo momento, perché anche questi richiedono ricerca e fatica. In fondo “Il manoscritto del cavaliere” è diventata una vera rivista con un unico direttore e un solo redattore, cioè me medesima! Mi piacerebbe avere un altro amministratore con cui condividere questo impegno.

Sei editor e ricercatrice iconografica. Se ti va, puoi spiegarci meglio il tuo lavoro?

Sono molto appagata del lavoro che faccio, quello di redattrice scolastica e ricercatrice nell’ambito delle lingue moderne. Non vi sono approdata subito ma dopo una lunghissima gavetta, dapprima come segretaria editoriale; e, lentamente, dalla segreteria sono passata alla correzione delle bozze e alla ricerca iconografica, passando poi a svolgere compiti sempre più complessi. Senza nulla togliere all’importanza dei correttori di bozze, il mio lavoro va oltre questo. Il redattore, o editor se si preferisce usare il termine inglese, nella scolastica è il punto di riferimento di una squadra di persone da coordinare e con cui lavora gomito a gomito. Innanzitutto ha il contatto con l’autore, o gli autori, dallo sviluppo dei contenuti, nella forma del corso o della grammatica di riferimento, dei libri per le vacanze, di quelli propedeutici agli esami di certificazione o della guida per l’insegnante. In seconda battuta lavora con il grafico per la preparazione del progetto, che in scolastica è estremamente articolato e si compone di elementi che devono essere sia funzionali a livello didattico, sia gradevoli in senso estetico, e tarati sull’età degli studenti. Ha inoltre rapporti con l’illustratore cui deve fornire un brief molto dettagliato per l’esecuzione dei bozzetti e poi dei definitivi a colori, e del ricercatore iconografico se è una figura altra. I passaggi dei materiali si traducono in tre giri di bozze come minimo, in cui si affrontano svariati problemi. In scolastica, oltretutto, hai un sillabo da seguire e, se si decide di togliere o presentare qualcosa anticipandolo o posponendolo, questo intervento si ripercuote a cascata nell’ambito di tutto il materiale. Si tratta di un lavoro certosino dove bisogna avere i mille occhi di Argo, interagendo con tutti i collaboratori e gestendo la tempistica dei calendari di uscita. Poi, certo, c’è anche la correzione delle bozze, che però nel mio caso non si limita a individuare i refusi ma si estende alla verifica dei contenuti. La ricerca iconografica è una delle parti del mio lavoro che mi piace di più, quando ho modo di farla, perché, oltre alla scelta del soggetto, sono molto attenta anche ai colori proprio per sposarli bene al progetto grafico. In campo didattico bisogna evitare anche immagini di persone troppo svestite, con alcolici o sigarette in mano, o in atteggiamenti violenti. Insomma, ci sono tante cose da controllare, hai paura che scappi sempre qualcosa.

E ti dico una cosa importantissima: proprio il mio lavoro di editor mi è servito tanto per riuscire ad avere il colpo d’occhio sull’insieme di un romanzo, concepire una struttura, coordinare tutte le parti, a badare ad aspetti come l’uniformità dei termini impiegati… e molto altro!

Come guardi all’autopubblicazione?

Come a una grandissima opportunità che una volta non esisteva. Penso sempre a quanti manoscritti di valore siano rimasti chiusi nei cassetti, nel passato. Parliamoci chiaro, solo chi aveva i quattrini poteva pagare per dare alle stampe la propria opera, ergo apparteneva a un ceto abbiente. Ho letto pessime opere di autori autopubblicati, e altrettanto pessime opere di autori osannati dall’editoria, a volte persino insigniti del Nobel: tutti libri che avrei lanciato volentieri fuori dalla finestra, spesso insieme con i loro autori. Ed è vero anche il contrario, ho riscontrato ottime opere autopubblicate, e ottimi libri di autori famosi. Francamente non ho mai capito la polarizzazione delle opinioni sull’autopubblicazione, e il disprezzo conseguente, che mi ricorda le parole di Giuseppe Baretti sulla “Frusta letteraria” (il critico se la prendeva con il genere del romanzo da lui definito come una serie di porcherie per donnicciole). Anzi, questa polarizzazione alla lunga ha finito con l’annoiarmi a morte, e non partecipo più a dibattiti sulla questione. Piuttosto, mi sarei aspettata che l’autopubblicazione diventasse un vivaio a costo zero per le case editrici dove pescare autori di qualità; ma questo non è accaduto, e l’editoria ha continuato a rimanere un mercato asfittico, perlomeno in Italia, dove si osa poco e dove anche il pubblico s’impigrisce su pochi nomi noti originati da altrettanti premi blasonati.

Chi è la prima persona che legge quello che scrivi?

Mio marito senza dubbio, nonostante lo spavento che lo coglie, ogni volta, davanti alla corposità dei miei romanzi. Poi si fa forza, inizia a leggere, rigorosamente su carta, e per fortuna viene preso dalla narrazione.

Georges Simenon temperava tutte le sue matite, prima di iniziare a scrivere, e sottoponeva moglie e figli a un controllo medico per evitare che si ammalassero mentre era al lavoro su Maigret. E tu? Come avviene il tuo processo di scrittura?

Sul serio? Non sapevo questa mania del controllo medico, mi sembra un atteggiamento paranoico! Il mio processo di scrittura non si avvale di rituali, anche perché, per fortuna, non baso le mie entrate su ciò che scrivo come accadeva a Simenon, o sarei già morta di fame. Una volta scrivevo delle scene separate, come fossero dei tasselli di mosaico, e poi cercavo di assemblarle con una trama: “Il pittore degli angeli” è nato in questo modo, con almeno due revisioni pesanti a causa del lungo tempo trascorso tra una stesura e l’altra. Poi c’è stata la fase che ha coinciso con la scrittura dei romanzi del ciclo “La colomba e i leoni”, che è stato come un viaggio in mezzo a un mare in tempesta: ho scritto cinque romanzi di seicento pagine ciascuno in poco tempo, in circa tre anni se non ricordo male. Avvertivo l’urgenza di mettere nero su bianco tutto, prima che questa tempesta si placasse e sopravvenisse la bonaccia, o più semplicemente l’oblio. È stata una fase particolare della mia esistenza sotto molti aspetti, che qui non posso svelare, ma ora ho cinque romanzi pronti di quest’epopea – posso definirla così? – con i primi due pubblicati e il terzo in fase di revisione. I romanzi sulla Rivoluzione francese hanno aperto un’ulteriore modalità di scrittura: ho già un canovaccio di scene inventate, che narrano i miei “dietro le quinte” dei personaggi, e ora devo arricchirle e completarle con le scene della Storia, quella ufficiale e che molto spesso è solo una maschera. Lavoro con almeno quattro biografie aperte per controllare tutto, date, orari, incontri, lentamente e con grande fatica: è una scrittura di cesello, direi settecentesca! 

Molti affermano che si debba creare una sorta di «lettore ideale», e scrivere avendo in testa proprio lui (o lei). E tu, lo fai? Scrivi avendo in testa un preciso lettore?

A dire la verità non l’ho mai fatto, anche perché credo che sia più importante come strategia commerciale di una casa editrice, e per me sarebbe limitante. Sicuramente ho una piccola platea di lettori che amano le storie avventurose e situate indietro nel tempo. Poi sono i lettori stessi, quelli in carne e ossa, che ti sorprendono, quando affermano che, pur non amando il genere, sono stati catturati dalla storia al punto da non riuscire a smettere di leggere. E spesso mi chiedono quando pubblico il prossimo romanzo.

Quanto di quello che scrivi finisce con l’essere scartato?

Tantissimo. Nel romanzo storico, oltretutto, bisogna documentarsi molto leggendo una quantità sfibrante di saggi, quindi ti sembra un delitto non inserire il dato evento e quella certa curiosità; ma è inutile aumentare la fatica al lettore, anche perché, diciamocela tutta, leggere è sempre impegnativo. Quando si tratta di un dettaglio fondamentale, o che definisce il sapore di un’epoca, cerco di farlo scivolare come informazione nell’ambito di un dialogo o di una descrizione. In generale taglio pagine e pagine, specialmente quando non sono utili nell’economia di un romanzo già notevole per foliazione, oppure non hanno un loro “cuore”. Di solito mi regolo anche così, cioè mi dico: questa scena potrebbe reggersi da sola come un buon racconto? Quando la risposta è sì, ci sono ottime possibilità che la scena “viva”, come si dice nel gergo dei correttori di bozze. 

Secondo alcuni, la stagione d’oro del libro, cartaceo o digitale che sia, è finita da tempo. La narrazione ormai è affidata a cinema e serie televisive. Quindi ti domando: come vivi queste trasformazioni? Sei indifferente, preoccupata, oppure incuriosita?

Sono molto incuriosita, anche perché sono consapevole di appartenere a una generazione passata, e che quindi le mie reazioni di sconcerto o d’irritazione potrebbero essere soltanto il frutto di una mentalità refrattaria alla novità. Il libro non morirà mai, qualsiasi forma assuma, anche perché si tratta di una fruizione attiva e partecipe rispetto alla visione cinematografica e televisiva… Inoltre queste ultime forme di intrattenimento hanno bisogno della parola scritta, cioè di una sceneggiatura che, in molte serie tv, trovo sia di qualità altissima (a parte, ehm, una certa serie recente su una famiglia fiorentina del 1400).

Che cosa preferisci scrivere: racconti, drammi per il teatro, o romanzi? E quali sono le peculiarità di ciascuno che ami di più?

Ti ringrazio in modo particolare di questa domanda. In prima posizione c’è senza dubbio il romanzo, perché, nonostante la mole, è quello che è più affine sia al mio modo di scrivere sia al genere che tratto. Mi piacciono le narrazioni che si sviluppano su tempi cronologici lunghi, e soprattutto con una trama avventurosa e ricca di colpi di scena, cui affido la parte dell’intrattenimento. Mi piace però approfittare di questa modalità di ampio respiro per arricchirla di spiritualità e misticismo. Tutti i miei personaggi, perfino i più tormentati, hanno un patrimonio interiore ricco e sfumato, anche se i malvagi lo usano malamente. La formula del racconto mi piace molto, e mi sono cimentata a varie riprese con questo genere narrativo, che mi ha dato anche soddisfazione con premi e riconoscimenti, ma lo trovo molto difficile. Ammiro molto chi sa scrivere bei racconti: sono come delle schegge, luminose o taglienti a seconda, e che arrivano dritte al cuore, e là rimangono. Ultimamente il dramma per il teatro sta insidiando la mia preferenza per il romanzo, anche perché il primo che scrissi, “Il canarino”, non è mai andato in scena, e se un copione non viene rappresentato rimane lettera morta.

Infatti hai scritto per il teatro “Il diavolo nella torre”, che ti sta regalando ottime soddisfazioni. Innanzi tutto: un testo per il teatro quali peculiarità ha? Quanto muta la scrittura per il teatro, rispetto a quella, per esempio, dedicata a un romanzo? 

La scrittura per il teatro ha molto in comune con il racconto, quasi nulla con il romanzo: è una scrittura ridotta all’osso, esigente, imperiosa. Il teatro è il mondo del presente, del qui e dell’ora. Non puoi permetterti di sostare su una scena, come puoi fare nel romanzo. Scendi nella profondità del personaggio attraverso il monologo e il dialogo, metti a nudo i suoi pensieri segreti, le sue pulsioni nascoste, come se gettassi una luce abbagliante sulla sua anima. È soltanto attraverso la parola che riesci a fare questo, e quindi ogni vocabolo, oserei dire ogni pausa, è pesato con il bilancino. Inoltre devi inserire nel testo indicazioni sceniche, cercando di prevedere come sarà la scena. Nonostante questa mia attenzione, il regista de “Il diavolo nella torre” ha dovuto accorciare il copione, altrimenti lo spettacolo sarebbe risultato troppo lungo. Non avendo esperienza sui tempi tecnici, ho acconsentito, anche per il fatto che i tagli non avrebbero inficiato la comprensione della storia. 

E con un dramma storico si fa tutto enormemente più difficile, perché lo spettatore, proprio come il lettore di un racconto o di un romanzo, non è tenuto a sapere nulla e quindi devi inserire le informazioni nei dialoghi, ma in modo che fluiscano naturalmente e non risultino didascaliche e noiose. Invece devi inchiodare lo spettatore alla poltrona dall’inizio fino alla fine, e questo non puoi mai capirlo finché non ti trovi davanti al pubblico e alle sue reazioni, perché tu sai a memoria il tuo copione e ti sembra che sia tutto troppo lungo o anche sbagliato; e il pubblico, oltretutto, cambia, e così ogni volta l’ansia ti assale come se fosse un debutto – io faccio sempre brutti sogni prima di ogni spettacolo! A differenza della pagina scritta, inoltre, nel teatro il pubblico è coinvolto pienamente con corpo, mente e spirito, è un tutt’uno con la scena, e non solo nei momenti in cui applaude a scena aperta (o fischia! cosa che, per fortuna, finora non mi è mai accaduta). Si crea una sorta di grande accumulo di energia tra gli attori e nel pubblico, e questa energia comincia a crescere, a circolare, a mutare, in continui scambi alchemici. E non si può capire l’emozione che si prova nel vedere dei bravi attori che recitano battute scritte da te: sono i tuoi personaggi che assumono carne e sangue, in una sorta di miracolo che ti trasmette anche un effetto di straniamento. Penso sia la stessa emozione che prova uno scrittore nel vedere la sua storia trasposta in un bel film. 

Parlaci delle influenze letterarie che hai avuto, degli scrittori che ami.

Gli scrittori della mia giovinezza sono quelli che hanno avuto il maggiore impatto nella mia scrittura. Le letture dell’adolescenza mi hanno regalato la vena avventurosa, che si traduce in viaggi e difficoltà da superare, combattimenti e duelli, inimicizie dure a morire, amori disperati tra nemici; letture che mi servivano, all’epoca, per evadere da una realtà dove mi sentivo sempre fuori luogo. L’esponente più significativo di questa che chiamerei “prima fase” è Emilio Salgari. Poi c’è stata la grande fase dei classici, dove ho divorato la produzione letteraria di Charles Dickens, delle sorelle Brönte, seguiti da Jane Austen, Fëdor Dostoevskij e soprattutto della letteratura e dalla poesia francese dell’Ottocento. La mia terza e ultima fase si è nutrita di letteratura femminile e femminista, con la grande Virginia Woolf in posizione dominante, accompagnata da Marguerite Yourcenar e poi Karen Blixen, Katherine Mansfield… Leggere avidamente in un’età dove si è più ricettivi è un momento fondamentale. In seguito non si fanno più questi incontri fatali; o, almeno, a me non è più capitato. 

Vuoi parlarci dei tuoi progetti futuri? Ma anche del tuo ultimo lavoro: “Le strade dei pellegrini”? (Disponibile su Amazon)

 

copertina libro le strade dei pellegrini

 

Attualmente ho interrotto la stesura del romanzo sulla Rivoluzione francese per dedicarmi alla revisione del terzo romanzo appartenente alla saga dei crociati, “Le regine di Gerusalemme”. Si tratta di una storia dove i protagonisti entrano nel cerchio di fuoco dell’eros, e vivono grandi storie d’amore, ma dove si affacciano anche forze oscure che vivono all’interno del Tempio di Salomone, prima sede dell’ordine dei cavalieri templari, oppure che riemergono dal passato. L’idea è quello di concludere una revisione di massima, con le debite integrazioni, entro l’anno, e poi di farlo leggere ai miei lettori-cavia; oppure, in un impeto di follia, di mandarlo al concorso Dea Planeta. 

Poi riprenderò la stesura del terzo romanzo sulla Rivoluzione. I titoli sono: “I serpenti e la Fenice”, “Il fuoco di Prometeo”, “La scalata dei Titani”, lasciato appunto a metà; molto probabilmente saranno seguiti da un quarto di cui ignoro il titolo, e che chiude cronologicamente la Rivoluzione. Per quanto riguarda “I serpenti e la Fenice”, è già stato letto da una editor cui è piaciuto molto e che mi ha consigliato di inviarlo al concorso Neri Pozza. Siccome non ho fretta per quanto riguarda il responso, ho deciso di seguire il suo consiglio.

Mi piacerebbe anche riprendere in mano un dramma storico che scrissi tanti anni fa, sulla storia di Thomas Becket, ma dargli un taglio completamente nuovo per non farlo assomigliare ad “Assassinio nella Cattedrale”. Ho in mente il titolo (“La corona e il pastorale”) e andrebbe a confluire nella Trilogia del sangue con “Il canarino” e “Il diavolo nella torre”.

Il mio ultimo lavoro “Le strade dei pellegrini” appartiene invece al filone della saga crociata, ed è imperniato sul tema del viaggio e sulla scoperta, o riscoperta di sé. Un tema che ci riguarda tutti, in un modo o nell’altro, e che comprende anche la scrittura come indispensabile ausilio.


cristina rossi
Chi è Cristina M. Cavaliere? A lei la parola.
Ma prima un’occhiata al suo blog “Il manoscritto del Cavaliere”
Mi chiamo Cristina Rossi, e sono nata a Milano nel 1963. Da molti anni lavoro come editor e ricercatrice iconografica nelle redazioni dell’editoria scolastica di lingue straniere. È un lavoro che mi appaga moltissimo perché le lingue sono vive e in costante evoluzione, e la mia professione mi permette di conoscere le persone più disparate e tenermi aggiornata su svariati fronti.

Sin da quando ero bambina, mi è sempre piaciuto molto scrivere e, con il tempo, mi sono orientata sulla narrazione storica. Si tratta di un genere impegnativo che implica momenti di frustrazione, ma regala anche enormi soddisfazioni.Dal 1990 ho pubblicato una serie di romanzi storici, fra i quali Una Storia Fiorentina, ambientato nella Firenze medicea di fine 1400 a cavallo tra Lorenzo de’ Medici e Savonarola, e Il Pittore degli Angeli, che ha come protagonista l’anziano e spregiudicato pittore veneziano Tiziano Vecellio nella sontuosa Venezia di fine 1500.

Nel 2012 è apparso come autopubblicato La Colomba e i Leoni – Libro I La terra del tramonto di genere storico-avventuroso, ambientato nel periodo della Prima Crociata (1095-1099) tra Marocco e Andalusia. Nel 2014 il romanzo è stato pubblicato dalla casa editrice Silele edizioni nella collana ‘adventure’. Alla fine del 2016 la stessa casa editrice ha pubblicato La Colomba e i Leoni – Libro II Le strade dei pellegrini. Il romanzo segue i protagonisti lungo la Via Francigena e il cammino dei grandi santuari cristiani. Nel viaggio reale s’innervano così altri viaggi, che percorrono eventi a ritroso nel tempo, alla riscoperta delle proprie origini; e il tutto diventa una metafora dell’esistenza.

Ho scritto anche drammi storici per il teatro. Il primo s’intitola Il Canarino: si tratta di un atto unico che ha luogo nel 1794, all’epoca della Rivoluzione Francese e durante il Terrore, che ricevette il primo premio nell’ambito di un concorso indetto dal Comune di La Spezia e fu inserito in un’antologia.

Nel 2016 mi è stato commissionato un dramma dal titolo Il Diavolo nella Torre, incentrato sulla vita di messer Bernabò Visconti signore di Milano dal 1354 al 1385, e soprannominato il Diavolo, da rappresentarsi a Trezzo sull’Adda.

Ho in mente di rivedere un terzo pezzo teatrale scritto molti anni fa sulle vicende di Thomas Becket, il cui titolo provvisorio è La Spada e il Pastorale. I tre drammi andranno a costituire La Trilogia del Sangue.

Sono stata finalista in svariati concorsi e autrice di tre raccolte di poesie illustrate, L’Uccello, la Tigre e la Ricamatrice (2010), Frammenti del Cielo e della Terra (2011) e Meridiana di Luce (2013). Nonostante questo, non mi considero né una poetessa né un’artista, e la mia preferenza si volge decisamente alla prosa.

Blogger e appassionata di letteratura, gestisco anche questo blog, Il Manoscritto del Cavaliere. Esso riguarda non solo la scrittura nei suoi molteplici aspetti, ma anche la Storia e l’Arte, compresi luoghi simbolici che contribuiscono ad arricchire ogni forma di narrazione.

32 commenti

  1. Bella intervista, non c’è che dire! E poco potrei aggiungere, salvo la considerazione che in fin dei conti il consiglio di King lo segui abbastanza alla lettera… magari non sarà un libro ogni tre mesi ma siamo lì.

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  2. Cristina è una persona squisita ed estremamente competente e preparata sulla materia storica. Riguardo la frecciata alla sceneggiatura della serie televisiva sulla famiglia fiorentina del XV secolo, purtroppo molti registi e sceneggiatori decidono di riscrivere la Storia con la “S” maiuscola come se fosse una storia come tante…

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  3. Bellissima intervista, che mi ha svelato ulteriori aspetti di un’amica che stimo molto. Se qualcuno in giro ha l’idea che il mondo degli scrittori poco conosciuti sia un guazzabuglio di presuntuosi dilettanti, può chiarirsi le idee leggendo interviste come questa, dico bene? Grazie Cristina, grazie Marco. 🙂

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  4. Un’intervista davvero apprezzabile per conoscere a fondo e in diversi ambiti Cristina, bravissima autrice e persona splendida. Direi che dalle sue risposte trapela anche quando sia instancabile come scrittrice, sempre all’opera su qualche storia 🙂 Bravi entrambi!
    (Non sapevo neppure del rituale di Simenon… curioso!).

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  5. Sono stupefatta. Intervista meravigliosa!
    Ho scoperto una moltitudine di cose riguardanti Cristina che ignoravo e ora mi completano il quadro su di lei confermando l’incredibile persona e scrittrice che è. Mi chiedo solo dove trovi energia e tempo per fare tutto quello che fa e soprattutto se dorme qualche ora la notte, visto che studia e procede come un treno con gli esami con un profitto altissimo. Scopro anche che mi manca moltissimo della sua produzione scrittoria e devo, assolutamente devo recuperare. Ma non posso fare a meno di incrociare le dita perché a Neri Pozza il libro di Cristina faccia breccia e la porti dove merita!

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      • Ti ringrazio per le stupende parole che hai scritto, Nadia. Per quanto riguarda le cose che riesco a fare, me lo chiedono in molti. Uno dei miei segreti è quell’alleato meraviglioso che è mio marito, il quale, essendo in pensione, mi toglie tutta una serie di incombenze domestiche e non. Sono comunque fortunata: ci sono mariti che si fanno servire e riverire. E’ pur vero che ho il lavoro, ma riesco a gestirlo abbastanza bene.
        … sul resto, ho fatto un patto col diavolo… anzi, col Diavolo nella torre, ahahah! 😀

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  6. Io faccio parte di quei lettori di Cristina che, pur non amando il genere storico, ha letto avidamente Il pittore degli angeli. È una scrittrice bravissima e instancabile, non solo di romanzi storici (che io trovo difficilissimi da scrivere perché implicano uno studio e un approfondimento notevole da cui non si può prescindere) ma anche di opere teatrali di successo. Oltre tutto i suoi post sul blog sono sempre curatissimi ed è anche una studentessa universitaria eccellente. Questa intervista mi ha fatto scoprire anche altri aspetti di Cristina che non conoscevo, mi è piaciuta molto!

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    • Ti ringrazio tanto del passaggio e del commento, Giulia. Spesso dico che è un peccato vivere lontani con alcuni blogger, ho la sensazione che si potrebbe diventare molto amiche tu e io. E potresti venire allo spettacolo, sono sicuro che ti piacerebbe: le ultime due volte abbiamo avuto il “sold out”, è stata una bella soddisfazione per la compagnia. Per il momento ci accontentiamo dell’amicizia virtuale, nella vita non si sa mai. 🙂

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      • Vero Cristina, potremmo essere grandi amiche, per il momento accontentiamoci dell’amicizia virtuale. Tra l’altro con te e Marco ci siamo anche incontrati di persona, almeno una volta, e questa è già una bella cosa!

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  7. “…Poi si fa forza, inizia a leggere…” Ahaha, riesco quasi ad immaginarmi la scena! Da come lo dici si direbbe proprio amore vero!!!
    A proposito… se cerchi gente che scriva sul tuo blog, Ivano ed io abbiamo qualche prezioso consiglio…

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  8. Uao. La domanda dopo questa intervista è: ma come fa a fare tutto??! :O
    Mi piace questo passaggio: “…tempi lunghissimi, quasi biblici, dove spesso si lavora contemporaneamente su più romanzi, come se si aprissero diversi cantieri e, cosa inevitabile, il tutto rimanesse nella più totale confusione per anni, tra impalcature, polvere, rumori e operai vocianti.” E’ bella l’immagine, ma soprattutto spiega l’arduo lavoro di un romanzo storico. Io che la Storia la guardo con estremo timore e riverenza, non capisco come certi lettori non capiscano tutto il lavorio che ci sta dietro per ricostruire il più dettagliato possibile un periodo che non ci appartiene e che arriva a noi in frammenti.

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    • Grazie mille, Barbara! E poi ti dirò che questa situazione di perenne caos e confusione è quanto di più lontano esiste dalla mia forma mentis. Infatti ho un modo di procedere molto disciplinato, quasi prussiano, altrimenti non riuscirei a tenere tutto sotto controllo né sul lavoro né quando scrivo. Più che “fortuna e gloria”, come diceva Indiana Jones, il mio sogno è avere il classico gruppo di consulenti storici che passa al setaccio quello che scrivo! In questo modo dovrei soltanto sbrigliare la fantasia senza preoccuparmi di inserire troppe stupidate, o di controllare in continuazione i dettagli.

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