Un mistero chiamato Lev Tolstoj


 

di Marco Freccero. Pubblicato il 14 maggio 2019.

 

 

Già, dov’è Tolstoj? Dove si trova, dove possiamo trovare uno dei più grandi scrittori russi e del mondo intero? Una domanda stramba, me ne rendo conto: lo troviamo nelle biblioteche, nelle aule universitarie, nei musei e nelle giornate di studio che sono dedicate a lui e alle sue opere in un po’ tutto il mondo. Ma lì non c’è Tolstoj; lì è presente la nostra idea di Tolstoj che ricaviamo da quello che lui, di volta in volta nel corso della sua lunga vita, ha lasciato trapelare. 

Ma probabilmente anche Tolstoj non aveva ben chiaro dove fosse; e chi fosse quella persona che era ora qui, ora là.

Tolstoj, dove sei?

Il conte Lev Tolstoj è il rappresentante di una Russia che vive di privilegi. È un nobile che fa parte di un sistema che necessita di una marea di poveri per perpetuarsi. Mentre l’Europa elabora la grande illusione di essere in grado di creare qui e ora il paradiso in Terra, la Russia appare inchiodata a un passato che non passa mai (e pure adesso ha sempre bisogno di uno Zar). La Russia sembra credere che il mondo è fatto di primi, e di ultimi; e il resto sono bubbole. Quindi qualcuno deve comandare, e qualcun altro obbedire. In questo sistema c’è una brutale sincerità; poiché anche nella Francia che ha visto i Lumi le cose sono rimaste più o meno come sempre, salvo che adesso ci si può lamentare senza finire in prigione.  

Per una serie di circostanze, tra un eccesso e un altro (compresa pure una malattia venerea), Tolstoj inizia a riflettere; su di sé, sul mondo. La religione e il sistema che guida la Russia. Non è semplice riuscire a fissare un uomo, mai; figuriamoci Tolstoj. Lui e anche i suoi personaggi sono sempre qui, e altrove; in un altrove che col tempo si imporrà a lui (e lui tenterà di imporre, senza successo, alla sua famiglia), fatto esclusivamente di sottrazione. In questa sua opera quasi quotidiana, farà a pezzi un po’ tutto: la religione ortodossa, per lui lontana dagli insegnamenti di Cristo e troppo vicino al potere. Il matrimonio, un’istituzione ipocrita che cerca di regolare la lussuria degli esseri umani, ma senza successo. La società tutta che fa del doppiogioco e dell’ipocrisia i cardini (cigolanti), grazie ai quali continua a vivere. 

Eppure…

Eppure in questa sua furia iconoclasta il nostro buon Tolstoj torna spesso e volentieri sui suoi passi. 

Apre una scuola per insegnare ai bambini dei contadini a leggere e a scrivere; ma poi se ne allontana, come se gli fosse venuta a noia.

Odia la carne, ma continua a tradire la moglie. Solo in un campo sembra perseguire con successo il suo scopo. Nella sua lotta contro la Chiesa ortodossa finisce con l’eliminare Cristo e sostituirlo… con se stesso. Sul serio. Verso la fine della sua vita usa le frasi di Cristo per descrivere la propria situazione familiare. Non è un caso che sia nato il fenomeno (poi per fortuna finito con la sua morte), del tolstojsmo. Era l’inevitabile approdo a una deriva iniziata… Chissà quando era iniziata. Credo però che ci sia qualcosa (meglio: un romanzo), che spiega perché Tolstoj alla fine abbia fatto tabula rasa quasi di tutto, per occupare il vuoto creato con la sua presenza.

Prima di proseguire: meglio osservare con attenzione questo filmato. In particolare al secondo 39:

https://youtu.be/oxHr1ku9DGI

Tolstoj nella sua tenuta (ora un interessante museo con un esteso meleto), sembra ricevere 2 contadini. Uno dei due è a capo scoperto; l’altro se lo toglie qualche istante dopo. Perché lui è il conte. Si potrebbe osservare che non significa un bel nulla: non sappiamo che cosa si dicano. Magari Tolstoj ha deciso di far studiare i loro figli sino al liceo e sarà lui a coprire le spese; magari si tratta di altro.

Il punto è che nella sua quotidiana lotta contro la disuguaglianza lui non è riuscito a coinvolgere quelli che aveva accanto tutti i giorni. In un certo senso: usciva dal suo ruolo (di nobile, e conte); e ci rientrava.

Attenzione: non sto affermando che era ipocrita. Io probabilmente avrei agito alla stessa maniera. Ma è un indizio importante, a mio parere, per spiegare questo comportamento che appare schizofrenico. Ecco perché c’è un romanzo che forse ci spiega qual è il vero problema di Tolstoj. Per quale motivo non riesce davvero a trovare un equilibrio, e come un pendolo passa da un estremo all’altro; sino a fuggire quando queste contraddizioni appariranno definitive e quindi impossibili da risolvere.

Il romanzo è “Anna Karenina”. E lì c’è: La locomotiva. 

Sono pazzo?

In Russia intanto…

Se leggi “Anna Karenina” abbiamo questo mezzo che alla fine, tra l’altro, ucciderà la protagonista. Per il resto, che cosa vediamo? Una società immobile, ferma, con le sue pochissime virtù, le sue ipocrisie, le sue ricerche di senso. Mentre in Europa si fanno avanti idee, e forme di economia e di governo del tutto nuove, la Russia in apparenza continua la sua vita di sempre. I contadini, massacrati di fatica e tasse; e una minoranza di nobili che vive alla grande. Ah, sì: le idee. 

Ma per Tolstoj c’è qualcosa di più pericoloso delle idee: vale a dire il progresso. Tecnico, tecnologico, rappresentato in modo tangibile e potente, dalla locomotiva. Perché quel progresso è una leva formidabile per rovesciare tutto (ma questo per lui sarebbe persino tollerabile); e per rendere tutto solo maledettamente più complicato. 

Se le cose si complicano, le persone reagiscono in due modi: scelgono la semplificazione. Oppure prendono atto che tutto si sta facendo più complicato, e magari studiano. Tolstoj sceglie la prima strada. 

Taglia. Decapita. Fa, appunto, tabula rasa e al centro del suo nuovo mondo mette: Lev Tolstoj. Tornare alla semplicità, alla terra è solo il tentativo (fallito), di respingere il mondo che si fa più complicato.

Se credo che la Terra è piatta e al centro dell’universo: che problemi ho? Ma quando mi rendo conto che queste affermazioni sono fasulle; e che tutto è governato da eventi e leggi ben precise, e che tutto questo infine influenza anche me stesso: è un bel problema. Tolstoj aveva compreso che il progresso conduceva con sé non solo delle idee. Perché la locomotiva era un portale attraverso il quale la Russia tutta, o quasi, sarebbe stata spinta. C’era davvero da rifare tutto da capo, da scegliere, da selezionare. E lui non lo fa. Non può permettersi di effettuare la cernita. Tutto è troppo complicato; meglio restare semplici.

La fuga di Tolstoj dalla famiglia non è una fuga da un mondo che impone i compromessi. Semmai è la dichiarata incapacità a scendere a compromessi che lo spinge a scappare, a preferire la morte in un’oscura stazione senza nemmeno vedere la moglie (questo però fu colpa della sua cerchia di adepti che impedirono che i due si vedessero). Invece di mettere in discussione se stesso, preferisce mettere in discussione il mondo, arrivare alla conclusione che tutto il mondo sbaglia, e che solo lui ha la soluzione (una soluzione con al centro Lev Tolstoj, certo). 

Si fa fotografare (progresso); filmare dalle prime cineprese (progresso). Perché ne sente il fascino. Fuggirà da casa proprio usando il treno e, appunto, morirà in una stazione ferroviaria. 

Ma questo credo che serva solo a rendere più evidente e senza soluzione il suo problema con il mondo che cambia. Tolstoj è un uomo che vede arrivare il progresso in un Paese ingessato, ma non è in grado di ricavare una sintesi tra vecchio e nuovo, finendo per adottare un’utopia capace di soggiogare solo quanti si considerano eletti. 

 

Elaborazione in corso…
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6 commenti

  1. A giudicare dalla tua descrizione si direbbe un tipo dal carattere assai complicato, il compagno Tolstoj (ammesso che fosse un compagno).
    Poi magari sbaglio e nella quotidianità era una persona semplice. Forse un pelo megalomane, comunque dotato della virtù dell’iconoclastia… a corrente alternata.

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  2. Interessante il punto focale sulla Locomotiva, come simbolo del progresso. Mi era in qualche modo sfuggito. A vedere il video, Tolstoj mi dà l’idea del nobile decaduto. L’aria severa, un certo rigore nel portamento, la fierezza, di certo non si è inchinato di fronte a quei due contadini. Forse credeva nelle sue idee, purtroppo però avere degli ideali è facile, metterli in pratica è il difficile.

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  3. Anch’io non avevo, al pari di Barbara, colto il senso della locomotiva. Tolstoj è figlio di un tempo che non comprende più. È umano sentirsi persi e ritrovarsi in sé stessi in fondo è la scelta mento tragica che poteva fare

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