di Marco Freccero. Pubblicato il 17 giugno 2019.
Quello che trovo parecchio interessante nel romanzo di George Mackay Brown dal titolo: “Un’estate a Greenvoe” è, come dicono quelli bravi, il senso che cela. E attenzione: si nasconde qualcosa perché sia infine scoperta. Ma per essere scoperta occorre anche saper ben cercare.
In fondo ci sono 2 tipi di libri: quelli belli e quelli brutti (e sino a qui siamo tutti d’accordo). E poi quelli che si fermano alla superficie; e quelli che scendono in profondità.
Il libro “Un’estate a Greenvoe” è ormai introvabile (forse su qualche bancarella?), ma questo fa parte del mio ambizioso progetto intitolato: “Il suicidio di un autore indipendente”. Eh già: invece di scrivere di guide e polemiche, scrivo di queste robe qui che nessuno leggerà.
E poi parlo pure di libri che non sono nemmeno più in commercio. È evidente che siamo alle prese con un suicida. Che sarei io.
Un’estate a Greenvoe
“Un’estate a Greenvoe” (il titolo originale è “Greenvoe”), esce per The Hogarth Press nel 1972 in Inghilterra (George Mackay Brown nasce, vive e muore nelle isole Orcadi, a nord della Scozia). In Italia viene pubblicato dalla casa editrice Tranchida nel 2000 con la traduzione e postfazione di Valentina Poggi.
Greenvoe è un immaginario villaggio dove ci si può trovare Stromness (dove visse Mackay Brown) e una mezza dozzina di altre piccole comunità di quelle isole. Ma non è questo è il punto.
A Greenvoe vivono uomini e donne che non sono per nulla particolarmente simpatici. C’è lo svitato (lo scemo del villaggio) che è oggetto di prese in giro e scherzi. C’è la donna che ha diversi figli da diversi uomini. C’è il venditore porta a porta che arriva a vendere il suo campionario di merce a persone che paiono non apprezzare troppo le “facce scure” come la sua. C’è l’ipocrisia e la cattiveria.
In una parola: è la realtà. E la realtà è brutta, sporca e cattiva.
A Greenvoe non sono proprio cattivi, o malvagi; sono umani. Una banalità? Non direi proprio. Perché buona parte della “cultura” in cui viviamo si è abbeverata alla fonte (tossica?) del mito dell’ammaestramento delle masse. Le masse non possono sapere cosa è bene per esse. Hanno un’idea di bene che è ridicola, vecchia e medievale. Occorre pertanto ammaestrarle. Educarle. E se non lo vogliono: peggio per loro.
Osservare; cogliere; amare questi mascalzoni. Questi miserabili: non è previsto. Vorrebbe dire accettare le cose come sono senza pretendere di cambiarle, o migliorarle. Non è ammissibile un simile modo di agire e soprattutto di pensare. C’è il progresso, giusto? E il progresso ci vuole… Progrediti. E la piccola comunità di Greenvoe, chiusa, gretta e insignificante, non meriterebbe nemmeno una pagina. È fuori dal mondo del progresso. È fuori dalle magnifiche sorti progressiste.
Ma chi diavolo è George Mackay Brown?
George Mackay Brown: e chi diavolo è?
Non ho intenzione di scriverne la biografia, tranquilli. Restiamo sull’argomento Greenvoe.
Quando il libro esce nel Regno Unito ha un buon successo (ma si tratta pur sempre di un’opera che era già “fuori dal mondo”). A prima vista è un’opera di uno scrittore che vive ai margini, che è contro la modernità e ripensa ai bei tempi andati. Tutta la sua produzione, anche da pubblicista (scriverà molti articoli per il giornale locale) non si discosta granché da questo. Vale a dire uno sguardo grato e nostalgico per un tempo che la modernità e il progresso hanno spazzato via. Per un tempo quando per le vie di Stromness girava l’uomo che accendeva (e al mattino spegneva) i lampioni del gas.
Quindi: un libro forse da leggere, ma con quel distacco, meglio, con quella sufficienza tipica di chi dice: “Meno male che io, che noi, che camminiamo col progresso, non siamo come questa gente”. Una sufficienza che nasconde una vena di diffidenza (di disprezzo?) perché quel mondo gretto e chiuso non ha (né può avere) un’oncia di bontà. E se per caso esiste: basta negarlo.
Ma si può leggerlo come testimonianza di un mondo che (per fortuna), è morto o sta per morire sotto l’incalzare del progresso e della modernità.
Perché il futuro sarà luminoso. Andrà sempre meglio, progrediremo sempre di più (pura superstizione, ma per adesso lasciamo stare).
Forse Mackay Brown è un nostalgico. Però ama la radio che gli permette, quando è un ragazzo, di seguire le cronache delle partite di calcio, e sognare di diventare un calciatore. E questo non rappresenta un frammento della modernità? La modernità che tutto conosce e basta a se stessa: ecco quello che Mackay Brown non ama affatto. Che non ha bisogno del passato perché “medioevo”: tutto.
Esatto: è uno di quegli scrittori che percepiscono, e scorgono, nella modernità, nel progresso, una minaccia; anzi, LA minaccia.
Ma non perché il progresso sia IL male, e restare ancorati all’Ottocento sia il solo bene. Ma perché il progresso, la modernità, deve fare “pulizia”.
E a Greenvoe arriva la pulizia.
Arriva il progetto “Stella Nera”
A Greenvoe infatti arriva un uomo. Si chiude in una camera della locanda. Prepara schede su ciascuno degli abitanti del villaggio. Caratteristiche, qualità; può essere impiegato nel progetto “Stella Nera”? Sì; no. La donna che ha tanti figli da tanti uomini diversi, può essere agevolmente impiegata per soddisfare gli operai impiegati nel progetto.
Infatti arrivano operai. Macchinari. In breve tempo Greenvoe viene cancellato dalla carta geografica. La Bu (si chiama così), la più antica fattoria dell’isola viene rasa al suolo di notte. Perché questa distruzione? E che cos’è il progetto governativo: “Stella Nera”? Non si saprà mai.
Dopo l’annientamento di Greenvoe, il progetto si ferma. Non si concluderà mai, non procederà mai. Resta solo la distruzione.
Che cosa cela Stella Nera
Agli inizi degli anni Settanta alcuni studi rivelano che nei pressi di Stromness (la cittadina più popolosa delle Orcadi), ci sono delle strategiche e interessanti quantità di uranio. Il progetto è evidente: costruire una miniera per sfruttare quei giacimenti e rendere il Regno Unito indipendente dal punto di vista energetico. L’opposizione della popolazione farà saltare i progetti. Quindi, a prima vista, ecco che cos’è Stella Nera.
In realtà Stella Nera cela parecchio altro.
Perché se fosse “solo” questo, allora un sacco di gente potrebbe battere felice le mani: “George Mackay Brown è dei nostri!!!! Il nucleare è brutto e fa paura, e noi non lo vogliamo”. (Infatti noi italiani lo abbiamo lasciato ai francesi che ci vendono a caro prezzo l’energia nucleare. I francesi ci chiamano “Aquile” anche per questo).
Stella Nera è l’espressione di un’ideologia che per trionfare (e trionfa), deve spazzare via ogni comunità. Ogni legame tra le persone, tra le persone e il territorio; tra le persone e la tradizione: deve essere reciso e poi annientato. Non deve restare nulla.
No: qualcosa deve restare. Un altro tipo di comunità. Quale?
Ma la comunità dei consumatori, che diamine! Solo questa deve restare. Qualunque altro genere di comunità deve essere spazzato via, oppure reso innocuo. La comunità dei consumatori esiste solo grazie a una cosa: il denaro. La capacità di spesa del singolo elemento (in una comunità di consumatori non esiste la persona, l’essere umano: c’è solo un “elemento”. Il suo valore è nella sua capacità di spesa. Se questa si smarrisce, ciao ciao!).
Ah. La parola tradizione ha una pessima nomea; sia perché viene usata da ambienti reazionari (che la usano perché non ne sanno il senso). Sia perché l’ideologia del progresso non vuole avere tra i piedi una faccenda come la tradizione che permette al singolo di essere un protagonista, invece che un consumatore.
Tanto per cambiare deriva dal latino e significa: consegna, trasmissione.
In pratica si potrebbe affermare che tra “tradizione” ed “educazione” esiste un certo legame. Non sono sinonimi, ma hanno tanto in comune.
In conclusione
Con “Un’estate a Greenvoe” George Mackay Brown non si limita a offrire un spaccato “antropologico” di un mondo che muore, è morto oppure sta morendo. Il suo non è disprezzo per la modernità e il progresso. È semmai uno sguardo schietto e genuino su un mondo vittima di un’ideologia che odia le persone, e ha spazio e tempo solo per chi si adegua, si omologa, diventa consumatore e alfiere di un progresso (ideologico, e poi pratico) che deve per forza sbriciolare tutto quello che si discosta dal consumo e dal progresso.
Si ammirano le cattedrali gotiche, oppure il Colosseo; ma da turisti. Cioè: da ignoranti. Infatti il turista trova tutto: “Bello”. Un tramonto, un quadro, un libro, un monumento: “Bello”. La distruzione di Stella Nera che troviamo in questo libro non è un incidente di percorso. È il solo capolinea possibile. È lo scopo inderogabile, necessario, per creare la perfetta città “armoniosa” dove tutto è uguale, omologato, e pieno di sano progresso.
un autore fuori dal mondo
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Esatto! Lo adoro per questa ragione. 😀
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😀
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Non leggo ora il post perché ho trovato il libro su Amazon.uk a un centesimo. Meglio non rischiare spoiler! 😉
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Ma davvero? Chissà se ti piacerà. Io lo adoro, ma perché sono strano. Lo consiglio con cautela perché mi rendo conto che molti lo troverebbero… Strano? Noioso?
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Amo il rischio. XD
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La domanda curiosa è: ma questo autore è dimenticato nel mercato italiano o anche a casa sua, nelle librerie scozzesi? Bisogna andare a controllare… mi offro volontaria!! 😀 😀 😀
PS. Sul fatto che i francesi ci chiamino aquile per il nucleare… le centrali nucleari dell’edf non hanno mai prodotto quanto era stato stimato sulla carta, il parco nucleare francese è terribilmente obsoleto con i rischi di sicurezza connessi, il surriscaldamento globale porterà sempre più problemi di raffreddamento dei reattori (già l’estate scorsa dovettero chiudere quattro centrali e ricorrere al carbone…) mentre farà volare la produzione elettrica del fotovoltaico, per il quale si stanno migliorando anche gli accumulatori (e Tesla ci sta investendo parecchio). Aquile o faine, è presto per dirlo. 😉
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Bisogna investire nella tecnologia, solo così diventa più sicura. Sul nucleare invece si è fatto del terrorismo, e basta. Se qualcuno si permettesse di chiedere investimenti proprio in questo settore, magari anche solo per “esplorare” certi possibili sviluppi, sarebbe messo sul rogo. E io credo che con più nucleare ci sarebbe (stato) meno riscaldamento (prodotto dai combustibili fossili). 🙂
Nelle Orcadi c’è il festival che ha creato lui assieme ad altri. È piuttosto conosciuto soprattutto in quelle isole, ma non è uno scrittore “facile”; piace solo ai matti come me. 😉
È apprezzato soprattutto come poeta.
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E io sono la prima a dirti che è meglio non fare ricerca sul nucleare, sorry. Se non ci sono riusciti i giapponesi, figurati cosa possiamo fare noi europei. Gli italiani poi… Non riusciamo a far partire la fatturazione elettronica e vogliamo gestire il nucleare? Ma mi facci il piacere, direbbe Totò. 😀
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Fukushima è dovuto a uno tsunami e a una serie di circostanze che hanno prodotto quello che sappiamo. Ma se le cose fossero andate come dovevano, non ci sarebbe stato il disastro. E comunque ribadisco: non ci si deve mai fermare. Si deve investire in tecnologia, e migliorare sempre. 🙂
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