di Marco Freccero. Pubblicato il 26 agosto 2019.
Molti autori indipendenti credono nella leggenda dello scrittore geniale e solitario, e per questo ricalcano le orme di… Di chi? Mah, vorrei saperlo.
Che ci siano stati degli scrittori solitari e geniali è indubbio; tuttavia la prima qualità di certo era nella loro natura (ci erano nati, come si dice), così come l’alcol o la droga faceva parte del corredo di altri autori (e in questo caso avevano scelto di praticare una tale condotta).
Poi, è evidente che spesso chi scrive preferisce farlo chiuso in una stanza, nel silenzio e nella tranquillità, perché in questo modo riesce a produrre qualcosa. Ma ci sono pure altri che hanno scritto le loro opere al tavolino di un caffè, mentre la gente attorno rideva o schiamazzava.
Indosso il trench, chiamatemi Humphrey Bogart
Il punto è, credo, che molte persone hanno così le idee confuse su cosa significhi essere un autore (indipendente); sono così insicure del loro ruolo, che si atteggiano. Credono che indossando certi panni, questo creerà attorno alla loro figura un alone di riverenza e rispetto. È come se io indossassi il trench per credermi Humphrey Bogart.
Mi rendo conto che forse questo atteggiamento viene adottato per alzare una specie di rudimentale forma di difesa. Spesso non si ha il coraggio di dire “Sono uno scrittore” oppure “Sono una scrittrice” (dilemma che io risolvo genialmente affermando di essere un raccontastorie). E si immagina che comportandosi in quel preciso modo, allora daremo alla nostra affermazione una base più solida.
Non credo proprio.
Come spesso scrivo su queste pagine: tra Tolstoj e il nulla, ci sono un sacco di possibilità. Certo, la scuola, e non solo la scuola, ci spiega che se non sei Tolstoj, o Balzac, sei una nullità; non devi nemmeno provarci, se non sei un genio.
Dimenticando che accanto a questi colossi, ci sono un sacco di ottimi autori che hanno scritto opere molto importanti. Belle.
Intanto i conservatori rigurgitano di violinisti che non sono Salvatore Accardo; pianisti che non sono Arturo Benedetti Michelangeli. Ma che svolgono un lavoro fondamentale, essenziale.
Scrivere, raccontare storie con onestà sembra, di questi tempi (ma è sempre stato così), una banalità. Robetta.
O fai il capolavoro destinato a restare nei secoli, o devi sparire. O scrivi per Mondadori o non vali nulla. O passi in televisione oppure non sei nessuno. È una fesseria? È una fesseria. Ma adesso mi rendo conto che non volevo scrivere di questo, ma di ben altro.
Un paio di pizze all’anno
Perché il cuore di tutto, di questi anni insomma, è la Rete. E sai come puoi riuscire a ricavare delle soddisfazioni?
Piantandola di essere solitario. Smettendola di fare il tipo che sta lontano dal rumore del mondo. Perché, innanzitutto, è nel rumore brutto e sgradevole del mondo che c’è un sacco di divertimento. E un autore questo dovrebbe già saperlo (se leggi questo e strabuzzi gli occhi, hai un piccolo problema).
Quando scrivo “soddisfazioni” intendo: offrirsi un paio di pizze all’anno coi soldi ricavati dalla vendita delle proprie opere; e stop. Sul serio. Se pensi che questa sia pure desolazione, e che non ne valga la pena: conosci poco la letteratura. Buona parte dei classici hanno dovuto attendere la morte per essere infine consacrati; e alcuni nemmeno in quel caso. Tutti vogliamo il successo, la villa in Costa Azzurra, la Jaguar, la compagnia di una bella ereditiera trentenne con la quale partecipare alle feste più chic nel Principato di Monaco. (Questi sono i miei obiettivi, ahimè sempre più difficili da realizzare).
Non accade mai.
Ma torniamo al cuore del post perché un’altra volta me ne sono allontanato.
Pratica la pirateria!
Lo scrittore scozzese Bruce Marshall diceva a chi aveva intenzione di scrivere:
“Alla larga! Ma se proprio dovete scrivere, prima imparate il latino, immergervi nelle profondità degli abissi o praticate la pirateria e sarete capaci di scrivere e avrete qualcosa da scrivere.”
Questo autore, caduto nel dimenticatoio (è morto negli anni Ottanta in Costa Azzurra, e Hollywood ha ricavato dai suoi libri un paio di film), dice cose esatte. Il senso della sua affermazione è: la vita. Di questo devi scrivere, e se ti rinchiudi in un castello ben presto la materia prima per le tue storie perderà mordente.
Le storie devono mordere, lo sai vero? Come cani, preferibilmente arrabbiati.
Però non si tratta solo di scrivere per raggiungere la realtà (non per fuggirla); un autore indipendente del XXI secolo (ma anche chi desidera una casa editrice), deve per forza di cose circondarsi di persone che siano in grado di aiutarlo e consigliarlo.
Tolstoj aveva la moglie che gli diceva quanto fosse buono l’introspezione psicologica in “Guerra e Pace”; e quanto la descrizione delle battaglie fosse, al contrario, pesante.
Dostoevskij rispondeva alle lettere dei suoi lettori, e amava la polemica. Charles Dickens? Una delle sue attività (ben remunerate) erano le letture che faceva delle sue opere.
Eccetera eccetera.
Scrittore solitario? Al diavolo!
L’anima del blog è la conversazione
Un autore non è quello che pensa di essere; semmai sarà la percezione che gli altri hanno di lui. Perché io ripeto spesso, sino allo stordimento di quei 4 gatti che leggono il mio blog, che è necessario appunto aprire un blog e conversare? Perché so benissimo che starsene in un cantuccio e maledire il successo degli altri forse ha qualche riflesso positivo sul proprio ego; alla lunga porta alla gastrite.
Invece di alzare i pugni al cielo, e ritenere le case editrici tutte schifose e magna magna: datti una mossa.
Se hai talento nessuno ti verrà a cercare; e poi, per quale motivo dovrebbero cercarti se nemmeno ti sforzi di… farti trovare?
E attenzione: conversazione non vuol dire parlare di quello che succede. Tanto non succede mai niente di nuovo.
Conversazione innanzi tutto significa “trovarsi insieme”; ed è bene trovarsi non con tutti, ma con le persone giuste. Non devi piacere a tutti; semmai è necessario scovare quei lettori che diventeranno i tuoi lettori.
Detto più semplicemente:
- beta lettori;
- grafico;
- editor.
Queste sono le persone (le professionalità) di cui un autore indipendente ha bisogno. Ne ha sempre avuto bisogno in realtà, anche se faceva vita ritirata e viveva in una casa isolata nel bosco, senza telefono e con il fucile da caccia a portata di mano e carico.
In effetti la figura dello scrittore geniale e solitario è molto romantica, però hai ragione bisogna parlare di vita ed è quella in cui i lettori possono riconoscersi. Bisogna anche farsi trovare (dalle persone giuste) ed è qui che la questione diventa più complicata. Comunque bisogna provarci e continuare. Stamattina ho letto un articolo di due donne che hanno trovato il successo per un loro brand (vendono vestiti per bambini) che per due anni hanno lavorato quasi a vuoto, poi è scoppiato il successo, adesso hanno 18 negozi in tutta Italia e il loro sito ha migliaia di accessi. Forse bisogna essere perseveranti e non mollare…perché sai a me ogni tanto viene proprio voglia di mollare.
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Non sei l’unica che ha voglia di mollare. Ma poi, che faresti? 😉
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la vita non una soap opera, quella che le TV ci ammanniscono tutti i giorni. La realtà è ben diversa. Così è anche la vita dello scrittore, o del raccontastorie, molto più realistica e prosaica: se non hai un lavoro patisci la fame e non scrivi nulla. A pancia vuota è dura avere idee geniali e creative.
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Infatti. Per scrivere qualcosa di decente meglio trovarsi prima un lavoro…
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lo penso anch’io
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Ancora resisto al’idea del grafico, ma concordo con te che sia necessario. Il resto, non si discute. MI sono stancata da tempo di chi si appollaia sul trespolo attendendo che il mondo venga a beccare i suoi avanzi. Muoversi, amare, vivere, sbagliare. Se no di che si scrive?
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Esatto! Ma presto cederai e anche tu lascerai il passo al grafico 😉
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È pottibile
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Lo scrittore fa bene a vivere in cima al monte o nella caverna soltanto se 1) gli piace, 2) sa che non ne scenderà/uscirà mai per elemosinare lettori. Però può darsi che poi non abbia un’acca da dire, alla lunga. Ben venga la compagnia, che è anche molto piacevole, quando si condividono degli interessi. Ursula Le Guin suggeriva, per avere successo, di morire giovani e possibilmente suicidi – ma è una strada che per fortuna non spopola tra gli scrittori. 😉
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Quella di Ursula mi pare una pessima idea!
A me vivere in cima al monte piacerebbe assai. Lettori ne ho pochi (ma affezionati): chi mi ferma allora? 😉
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Pienamente d’accordo, Marco.
Inutile aggiungere che per scrivere la vita bisogna innanzitutto vivere.
Anche chi, come il sottoscritto, va molto di fantasia ha bisogno di spunti che solo la vita fornisce.
L’eremitaggio può andar bene in fase di scrittura e revisione (quiete e silenzio non guastano mai), ma prima di mettersi scrivere qualcosa di nuovo è necessario accumulare altre esperienze di vita, pena il vuoto cerebrale o la ripetitività.
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Ne parlava anche Stephen King nel suo “On writing”. Lui diceva di scrivere con la porta aperta, e poi con la porta chiusa.
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Il successo limitatamente, ma vivere di scrittura non sarebbe male; la villa in Costa Azzurra la trasmuterei in un cottage con giardino in Scozia, tra Edimburgo e Glasgow; e la Jaguar… mah, la Jaguar te la lascio proprio, preferisco una bella Audi, e se ci sta una R8 non mi fa schifo ecco. 😀
E comunque scrivere con la porta aperta in condominio è pericoloso… 😀 😀 😀
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Questa Scozia: non è un po’… preoccupante? 😃
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Mah, chi dovrebbe preoccuparsene, non se ne preoccupa… quindi, l’unica che se ne preoccupa sono io! 😀
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Almeno hai tutto sotto controllo 🤣
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