Un altro romanzo di una fuoriclasse della letteratura francese: il suo nome?
C’è bisogno che dica il suo nome?
Irène Némirovsky, ovviamente!
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Oggi parlerò di un piccolo grande romanzo della prodigiosa scrittrice francese Irène Némirovsky. L’edizione digitale è curata da Newton Compton mentre la traduzione è a cura di Fausta Cataldi Villari.
Lo so: dovrei essere più distaccato e non svelare la mia passione per gli autori o le autrici preferiti. Ma pazienza!
Questo romanzo ritorna ancora una volta a esplorare quel mondo, e i suoi meccanismi, che la Némirovsky padroneggiava alla grande. Siamo a Parigi, e subito conosciamo Christophe Bohun, figlio decaduto di James Bohun, il re dell’acciaio e del carbone, un tempo ricchissimo ma adesso malato, e rovinato. Che si è ridotto così proprio a causa della malattia, perché per accumulare milioni occorre una salute di ferro, e quando questa si perde, tutto finisce.
Il figlio, sposato e con un figlio, vive nella casa del vecchio genitore di cui si attende la morte. In questa casa c’è anche la cognata, un tempo amante di Christophe, che poi si era sposata con un brasiliano, per lasciarlo e tornare a vivere sotto lo stesso tetto del suo antico amante.
Esatto, è proprio così. I temi sono i soliti, quelli che troviamo in altre opere della Némirovsky. La ricchezza smisurata, poi la rovina, i genitori ingombranti; e poi l’amore che brucia come carta, dando passione e calore e poi lasciando il cuore di ghiaccio.
Soprattutto la vita che si è costretti a portare avanti quando la rovina è arrivata e si è portata via ogni cosa o quasi; una povera vita, una parodia che disgusta e stanca, e che fa pensare con simpatia alla morte.
Eppure in questi romanzi della Némirovsky credo che ci sia anche la chirurgica volontà di questa scrittrice di portare a galla, alla vista di tutti, i meccanismi che rendono l’esistenza qualcosa di ripetitivo e orribile, mentre dovrebbe essere meravigliosa.
Questo suo puntuale tornare a narrare l’amore che si spegne, sommerso e soffocato dal denaro o dalla sua mancanza, non è forse il suo modo per mostrarci la follia del nostro vivere?
Quando lei mette in scena l’ipocrisia e la cattiveria di certi comportamenti, il cinismo e la spregiudicatezza degli individui, non lo fa solo per ottenere il nostro plauso.
Bensì per indicarci quanto siamo andati lontani dai nostri sogni, dalle nostre utopie che in un pomeriggio di un giorno lontano, tanto lontano da dimenticarcelo, avevamo solennemente proclamato, giurando che mai e poi mai ce ne saremmo distaccati.
Lei invece ci indica come ci siamo ridotti, quanto grande è stato il nostro tradimento. E spesso il riscatto che si sogna non è mai tornare a quel tempo, a quella follia.
Bensì perseverare ancora e ancora nell’errore, nel cinismo, nella spregiudicatezza.
Si odia questa vita da carcerati, ma non riusciamo a immaginarci davvero fuori dal carcere. E allora ci danniamo, questa volta definitivamente.
Come Dostoevskij scriveva che l’essere umano teme la libertà, la desidera a chiacchiere mentre sogna solo la catena, Irène Némirovsky con le sue storie ci illustra con rara forza a quale livello di pazzia l’essere umano può arrivare, pur di restare fedele alla catena che lo lega. E alla quale la morte lo coglierà senza dubbio alcuno.
I suoi libri mostrano che pur di non essere liberi, scegliamo una vita da schiavi che odiamo ogni giorno. Ma la libertà è qualcosa di spaventoso.
Alla prossima e: non per la gloria ma per il pane!
Irene Nemirovsky è tra le scrittrici preferite. In pratica ho letto tutto o quasi della sua produzione. E’ in grado di analizzare la psicologia delle persone e portare a galla pregi e difetti, spesso più i difetti che i pregi.
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Una scrittrice enorme, secondo me.
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morta troppo presto. Molti romanzi e racconti sono postumi.
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Avrebbe potuto scrivere ancora per molto…
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sicuramente sì
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Prima o poi leggerò qualcosa di questa scrittrice, la tua presentazione mi è piaciuta molto.
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Brava! Potresti iniziare da questo 😉
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Recensione impeccabile come al solito, che ti fa venir voglia di leggere anche questo lavoro di Irene Nemirovsky. Di lei ho letto tre opere, inclusa “Suite francese” e ho sempre notato quella vena di follia e crudeltà che descrivi così bene. Non sapevo che Dostoevskij avesse detto che l’uomo sogna le catene mentre ciancia di libertà…
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Grazie!
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