di Marco Freccero. Pubblicato su YouTube il 26 settembre.
Ripubblicato su questo blog nel medesimo giorno.
Oggi ce ne andiamo in Francia a riscoprire (o forse a scoprire?) un romanzo di Balzac: La cugina Bette.
Buona visione (o buona lettura!).
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“La cugina Bette” è un poderoso romanzo di quel geniaccio francese che risponde al nome di Honoré de Balzac. Ho acquistato l’edizione digitale della Rizzoli con la traduzione di Ugo Dettore e le note e l’introduzione di Maurice Allem. Sì, forse la copertina non è tra le migliori.
La cugina Bette è poco piacevole e zitella. Ha lo spirito dei vecchi contadini della Lorena, e la sua fortuna è di avere avuto una cugina che è divenuta baronessa, sposando il barone Hulot. Un uomo davvero ricco, forgiato alla scuola di Napoleone, e la famiglia che l’ha accolta, perché la cugina Bette vive con essi, ha cercato più volte di “piazzarla”, cioè di farla sposare. Senza successo.
Quello che tutti ignorano è che la cugina Bette odia gli Hulot e cerca la sua vendetta. Che arriverà.
Il barone tradisce regolarmente la moglie, e la moglie lo sa, ma accetta questa condizione.
Ma si sa: i tradimenti, allora come oggi, richiedono di essere abbondantemente innaffiati di denaro. Ben presto il problema della famiglia Hulot è che le diverse amanti, soprattutto l’ultima, ridurranno il barone e la sua famiglia sul lastrico.
Con grande gioia della cugina Bette.
Che sarà pure una figura sgraziata, ma salva la vita a un polacco che si voleva suicidare. Costui è un artista, un abile orafo, e lei lo prende sotto la sua ala protettrice, prestandogli anche dei soldi.
Di lui però si innamorerà la figlia della baronessa, Hortense, che lo sposerà. Una ragione in più perché la vendetta abbia finalmente inizio.
Attenzione: non ci sono omicidi, e il bello è che la cugina Bette non sarà mai smascherata nei suoi intenti.
In questo grande romanzo francese è il denaro l’autentico motore che muove i destini dei singoli, verso il successo (effimero), o verso la rovina (questa sempre certa).
Tutto ruota attorno a questo sole, vale a dire il denaro, che pretende tutto e tutto si prende: l’amore, il talento artistico, la salute. Tutto viene divorato da questa divinità folle che i suoi folli adoratori fanno di tutto per accontentare.
L’amore? Ah sì, certo, c’è: ma prima e su tutto c’è il denaro, perché senza non si campa.
L’arte? Certo, è importante, ma sopra di essa c’è, esatto, il denaro, perché l’amore ha questo di negativo: rende l’artista pigro, e con la pigrizia si finisce ben presto col produrre non più capolavori, ma robetta. Il passo successivo è il letto dell’amante.
Il bello è che Balzac desiderava ardentemente fare parte di questo mondo, della nobiltà parigina. Eppure in questo romanzo lui non si risparmia e non risparmia nulla. Mostra la follia di un ceto sociale capace, che si era coperto di gloria e di onore durante le campagne di Napoleone, e che precipita nella stupidità, nella decadenza, che non si placa nemmeno quando irrompe la rovina. E non appena le cose sembrano andare un po’ meglio, subito si ritorna alle vecchie abitudini. E si ricomincia a tradire.
Qualcuno che si salva c’è. La povera moglie del barone Hulot, mille volte vittima e che alla fine farà la sola cosa che il barone, probabilmente, desidera davvero senza confessarlo nemmeno a se stesso (ma non dirò che cosa).
Il fratello del barone Hulot, che arriva a mostrargli le pistole, invitandolo nemmeno troppo velatamente al suicidio, pur di salvare dignità e onore.
Marneffe, una spregiudicata donna sposata che arriva a far credere ai suoi amanti, quattro o cinque (nemmeno mi ricordo bene), di aspettare un figlio da uno di essi. Ebbene lei alla fine, in un letto di dolore, sembra redimersi. Per altri, meglio la vendetta, oppure continuare a essere anche in quel momento estremo quello che si è sempre stati.
Non bisogna però credere che Balzac abbia voluto costruire un romanzo dove alla fine la bontà trionfa: niente del genere. Era troppo bravo per scivolare in una simile trappola. E con questo libro sembra suggerirci che la vendetta alla fine riesce a conseguire i suoi scopi.
Alla prossima e: Non per la gloria ma per il pane!