Il genere letterario: quanto conta?


 

 

di Marco Freccero. Pubblicato il 4 novembre 2019.

 

 

 

 

Non ho mai pensato a rispondere alla domanda: Che genere scrivi? In quale genere le tue opere possono essere inserite?

Il che è di certo un problema bello grande, perché le persone (non tutte, ma di certo un discreto numero), ragiona per etichette. Un autore (soprattutto quando non lo conoscono), deve essere “iscritto” dentro una determinata categoria; o genere appunto.

Io scrivo. Racconto storie. Quindi se qualcuno mi facesse una domanda del genere non saprei come rispondere. 

Sicuri che sia un problema?

Sì, lo è.

No, non lo è.

Cerchiamo di capirci qualcosa, anche se non sono sicuro di riuscire a capirci “davvero” qualcosa, alla fine di questo articolo.

Il problema del genere letterario

Sì, è un problema perché il mercato esiste e questo mercato, come ho accennato qualche riga fa, è formato da persone. Queste persone spesso, per comodità, pigrizia, oppure per altre ragioni che non conosciamo ma che probabilmente sono ottime, preferiscono avere a che fare, se si avvicinano a un autore sconosciuto, con qualcosa di comprensibile a una prima occhiata. In questa maniera riescono a capire al volo se il libro può essere interessante, oppure no.

“Distopia”; “Fantasy”; “Young Adult”; “Horror” sono quelli più popolari, o quelli che vanno per la maggiore, ma ovviamente ce ne sono altri, e soprattutto ci sono un sacco di sotto-generi. Credo di aver letto da qualche parte, ma chissà dove, che sono oltre 200, tra genere e sotto-genere. E sono quasi certo che almeno i sotto-generi continuano a crescere.

Però siamo davvero certi che sia un problema? Che sia vitale indicare il genere che si affronta? Non credo. Adesso spiego perché (secondo me).

Perché (per me) il genere letterario non è importante

Il sottoscritto racconta storie, come si è detto. Siccome però non ha come obiettivo quello di vendere tanto (perché lo stile, gli argomenti, eccetera eccetera, sono di nicchia), individuare il genere è un’operazione che rasenta l’impossibile (oltre ad annoiarmi moltissimo).

Sei un somaro! Proprio perché di nicchia devi individuare il genere e i sottogeneri più indicati!”

Il punto è che non credo che esistano generi capaci di inquadrare la Trilogia delle Erbacce. Si tratta di racconti, che hanno in comune di essere ambientati nella città di Savona, e a quanto pare il genere letterario va bene per i romanzi, meno per le raccolte di racconti. Io, almeno, quando leggo di generi letterari, trovo la definizione applicata solo per i romanzi.

Però: il #progettoIOTA che arriverà a dicembre 2020 se tutto va a gonfie vele; ma anche “L’ultimo dei Bezuchov”, a quale genere appartengono?

Forse “L’ultimo dei Bezuchov” è romantico? Mistero, o altro ancora? E il #progettoIOTA: dove lo infilerò? Non ne ho la più pallida idea e, quel che è più grave, non ci penso nemmeno.

Credo che sia una delle questioni che alla lunga mi annoiano moltissimo; mi fanno sbadigliare col rischio di slogarmi la mascella. Quindi la affronto per circa 34 secondi; poi mollo e passo a quello che mi interessa.

Per me la letteratura (questa categoria che significa un po’ tutto e un po’ niente, me ne rendo conto), celebra il mistero dell’essere umano. Con le mie storie faccio quello: una celebrazione del mistero dell’essere umano (allora le mie opere appartengono al genere: mistero? Mmmm…). O almeno: ci provo. Che poi ci riesca è un altro paio di maniche, come si dice dalle mie parti.

È uno strano animale l’essere umano. In un mondo che cerca (anche con un certo successo, occorre riconoscerlo), di pianificare ogni aspetto, e di scansare le sorprese della vita, offrire qualcosa che non solo non rientra in un certo genere; ma che le sorprese, i dolori e le difficoltà della vita cerca di metterle in scena: è da matti.

Però è divertente.

La mia idea è che scrivere un certo tipo di storie sarà sempre più qualcosa di eversivo; o almeno di sgradevole per larga parte del pubblico che alla letteratura chiede sempre più un grande favore.

Stare il più lontano possibile dalla vita. 

In parte questa opportunità viene anche offerta dalla tecnologia che volentieri si presta a questa “deviazione”: scansare tutto ciò che è imprevedibile, ingovernabile, assurdo e folle. 

Scansare la vita, appunto.

Ma anche la letteratura che va per la maggiore cerca di andare incontro a queste esigenze.

Un sacco di persone non accettano più la vita, ne respingono la sua pretesa di scombussolare o travolgere i piani perfettamente ideati e messi in opera; sghignazzano se qualcuno parla di “mistero” perché sarebbe solo un retaggio dei secoli bui. 

Dalla loro, costoro possono contare su un apparato di prim’ordine, e la tecnologia per esempio aiuta tantissimo in questo progetto.

Un po’ di tempo fa qualcuno ha detto che è meglio avere come vicini i poveri, non i ricchi. Perché i ricchi sono prevedibili: sono fatti con lo stampino. Stesse frequentazioni, stesse auto (di lusso); vacanze in hotel 5 stelle; Rolex e via discorrendo.

I poveri: sono delle mine vaganti. Ecco perché sono disprezzati e odiati: sono imprevedibili come la vita. Quindi si costruiscono dei quartieri ghetto dove rinchiuderli, alla periferia delle città. 

Certo: a volte i poveri girano con un coltello in tasca; sono cattivi. Sono brutti. Ma conoscono la follia della vita, l’affrontano perché non saprebbero fare altrimenti.

Il ricco cerca di evitare le grane: ha (spesso) un ufficio legale che lo mette al riparo da ogni imprevisto. Acquista “cose” che gli permettano di sfuggire a ogni ostacolo, piccolo o grande che sia, capace di mettersi di traverso quando percorre la sua strada verso il successo (esiste qualcuno che corre a gambe levate… verso l’insuccesso?).

Io con la Trilogia delle Erbacce ho provato a raffigurare quelle persone che si arrangiano. Lo so bene cosa pensi: se quella gente lì potesse far cambio con una stella di Hollywood, se ne starebbe nel suo quartiere periferico a Savona; oppure volerebbe a Beverly Hills?

Ma a Beverly Hills, probabilmente (ma non è detto. Ricordati di questo: l’essere umano è un mistero, quindi non è detto che scelga la villa milionaria).

Questo però non cambia di una virgola il discorso: la vita è “più” imprevedibile se stai accanto a delle mine vaganti. La letteratura dovrebbe parlare delle “mine vaganti”.

Concludendo, perché alla fine questo articolo bisogna pur chiuderlo in qualche modo: il mio genere letterario è l’essere umano. Lo so che a molti parrà eccessivamente generico.

Ma se per te l’essere umano è generico: mi spiace ma ti sei perso per strada.

Elaborazione in corso…
Fatto! Sei nell'elenco.

19 commenti

  1. Sì, come diceva Daniele, il tuo genere è il mainstream, come anche il mio. In italiano lo possiamo tradurre come “narrativa varia” che va a lottare contro milioni di titoli di milioni di autori di tantissime case editrici.
    Bisognerebbe invece lavorare sul sottogenere. Il mio, in particolare, me lo fece notare una lettrice, è il romanzo di formazione che su molti store in italiano non ha la categoria equivalente. Il genere che inserisco è “”coming-of-age story” ma poi diventa molto generico e si perde in milioni di titoli in cui non si capisce uno cosa sia diverso da un altro, benché il romanzo di formazione abbia una sua precisa storia e connotazione. Il famoso Bildungsroman.
    Tra i generi in voga ha dimenticato Il Genere Dei Generi, quello che vende a milioni di frotte: Il Romance. Scrivi un romanzo di quel genere mettendo la copertina di un uomo seminudo, magari tatuato, tutto muscoli e vedi che inizi a vendere pure tu 😀 . Il problema è che quel genere, per quanto sia ciò che né io e né te scriveremmo, ha anch’esso delle regole. Deve finire sempre con: “E vissero tutti felici e contenti”.
    Che poi sfocia spesso nel genere Erotica. Erotica è un termine inglese con cui si indica il genere erotico molto molto spinto; in italiano si userebbe un altri termine, ma è chiaro quale sia.
    E questo genere Erotica pare abbia parecchi sotto generi mischiati. Erotica con vampiri, con vampiresse, ecc…
    Solo a voler studiare tutto ciò che ruota intorno ai generi ce ne sta di tempo da perdere. Il punto è un altro. Se uno si spinge in quella direzione deve cancellare tutto ciò che ha fatto, magari usare uno pseudonimo e deve essere disposto a scrivere roba commercialissima.
    Se guardi lo store di Google e vai sui titoli più venduti capirai subito il fenomeno e, se succede come succede a me, parte poi la fase di avvilimento.
    Su Amazon è meno chiaro. Le categorie di Amazon mi sembrano un po’ caotiche, almeno come vengono rappresentate sul sito. In genere mi piacerebbe sapere come fa ad acquistare chi arriva sul sito di Amazon e no ha idea di cosa vuole leggere. Quello sarebbe un buon punto di partenza se si volesse in qualche modo capire se c’è o meno modo di attirare lettori venso il proprio “prodotto”, ammesso che si possa, mettendola in questi termini.

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  2. Dovendo a ogni costo cercare delle “etichette”, ho scritto racconti “fantastici” (senza ulteriori sotto-classificazioni) e storie realistiche “mainstream”, che è il termine inglese per quella che una volta era la letteratura pura e semplice.
    Volendo posso inquadrare alcuni miei ebook come “social science fiction” e un paio come “polizieschi comici” (o forse solo “comici”? Ma poi, il “comico” è un genere o solo una classificazione?)
    Conclusione: anch’io scrivo storie sugli esseri umani 😉

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  3. Per gli editori purtroppo identificare il genere di appartenenza è fondamentale per la collocazione del testo e ancora prima per capire se gli interessa.
    Ma tu hai scelto una strada diversa e quindi puoi tranquillamente fare a meno di queste che sì, lo riconosco, sono scocciature.

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  4. Condivido quello che scrivi, anche a me le etichette stanno strette.
    L’appartenenza a un “genere” è utile a mio parere se si vuole vendere, perché chi cerca quel genere di storia magari leggerà anche la tua (o la mia). Ad ogni modo per appartenere a un “genere” una storia deve rispettare certi canoni, e se uno/una preferisce scrivere quello che sente e come lo sente… probabilmente non li rispetterà.

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  5. purtroppo gli editori, che fanno il mercato, puntano su generi ben distinti e riconoscibili. Per chi autopubblica questa esigenza è meno sentita. Chi ha ragione? Bella domanda senza una risposta univoca, perché secondo è la storia che fa la differenza.

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  6. Sì, anch’io penso che tu scriva narrativa mainstream, che tra l’altro è il mio genere ed è anche quello che preferisco leggere. Storie che possono essere di tutti, appartenere a chiunque, senza chiedere necessariamente l’identificazione con un detective, un assassino o un uomo muscoloso e tatuato/donna bella e ricca.
    E comunque quella dei generi letterari è diventata una malattia, siamo arrivati al punto che dei generi letterari non esistono solo i sottogeneri, ma anche i sottogeneri dei sottogeneri letterari: una follia (non del Mondo, però!) 😁

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  7. Concordo con Daniele, Giovanni e Marina. Se la tua scrittura non appartiene a nessun genere è mainstream. Letteratura di alto livello, ‘non di genere’, come si chiama nella nostra lingua 😉

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