Mucchio d’ossa – Un romanzo di Stephen King


 

di Marco Freccero. Pubblicato su YouTube il 9 dicembre 2019. Ripubblicato su questo blog il medesimo giorno.

 

 

Oggi si parla di un romanzo di Stephen King: Mucchio d’ossa.

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Uno scrittore in crisi, che non riesce più a scrivere nulla, perché è rimasto vedovo.
Una casa sul lago dove forse ricominciare.
Forse.

Oggi si parla di “Mucchio d’ossa” di Stephen King. La traduzione è di Tullio Dobner mentre l’editore è Sperling & Kupfer.

Tutto è narrato in prima persona de questo scrittore ormai in crisi: Mike Noonan, che per anni ha venduto bene i suoi libri, e che dopo la morte improvvisa della moglie si trova alle prese con il blocco dello scrittore.

Non è uno scrittore da alta classifica; ma di un discreto successo, con il suo agente letterario che cerca sempre di spingerlo a trovare la storia capace di lanciarlo nell’Olimpo degli scrittori straordinari.

Il punto è che lui non riesce più a scrivere una riga. E per un po’ nasconde abilmente la sua difficoltà recuperando dalla cassetta di sicurezza della sua banca alcuni romanzi che aveva scritto in precedenza. Tutti hanno un ottimo successo, ma il blocco dello scrittore resta; per questo decide alla fine di trasferirsi nella casa sul lago di Sara Laughs. Anche perché inizia ad avere degli strani sogni, che hanno come scenario quella residenza.

Scenario; oppure protagonista?

Mike parte per il lago.

L’inizio di questa storia a mio parere è un po’ lento. Poi, come i motori diesel, King ingrana e il romanzo si assesta sui soliti livelli di King.
Il vero “regista” del libro è però Max Devore, nato in una sperduta cittadina del Maine e poi diventato uno degli uomini più ricchi d’America. Sembra quindi incarnare alla perfezione il “sogno americano” che si realizza, se sei abbastanza determinato.

E Max lo è parecchio, da sempre, sin da bambino; da quando infranse la vetrina di un negozio, ferendosi, per rubare uno slittino. Ma i suoi “peccati” non sono solo questi.
Cerca di strappare la bambina alla cognata, colpevole ai suoi occhi di aver sedotto suo figlio, morto in seguito tragicamente.

E il buon Mike, già pieno di problemi, di bambini che piangono nella sua residenza sul lago; di rumori, di tonfi, di incubi, si trova invischiato anche in questa vicenda.

Senza entrare nei dettagli: “Mucchio d’ossa” ricorda che il male compiuto anche parecchi anni prima non finisce. Cerca la sua vendetta, da una parte.
E dall’altra cerca di restare impunito, nascosto, abbracciando nella sua ombra tutti quelli che in qualche modo hanno collaborato con esso.

La piccola comunità dove Mike torna sembra infatti la solita comunità americana dove la gente vive, cresce, invecchia e poi muore. Con i suoi pregi, i difetti, qualche scheletro nell’armadio. Ma certi scheletri sono davvero ingombranti e se si fanno le domande giuste iniziano ad agitarsi. Sia gli scheletri, che i vivi.

Il potere, il prestigio, la ricchezza sono usati soprattutto per tenere tutto nascosto e sepolto sotto una montagna di reticenza. E un vecchio che si muove su una sedia a rotelle, e una donna, possono quasi arrivare a uccidere un uomo nel pieno delle forze.

Anche in questo modo emerge la grande capacità di King di raccontare, di costruire la paura anche da situazioni e personaggi che sembrerebbero quasi inoffensivi.

Il messaggio finale di “Mucchio d’ossa” potrebbe anche essere: stai ben attento alle apparenze. Perché anche le persone più innocue, se hanno qualcosa da nascondere, di grave, possono rivelarsi letali.

Alla prossima e: Non per la gloria, ma per il pane.

12 commenti

  1. Come sappiamo, King non è nuovo scrivere di autori. Considerando che uno dei consigli più utili a chi scrive è scrivere di ciò che si sa, possiamo dire che razzola fin troppo bene. Chi meglio del Re può trattare l’argomento?

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  2. Un romanzo che fa paura tra blocco dello scrittore, scheletri nell’armadio e cattive azioni di vecchi senza scrupoli…deve essere un bel romanzo.

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  3. Ho preso in prestito “It” in biblioteca, qualche tempo fa, ma dopo poche pagine l’ho reso. Forse non era il momento; forse invece avere paura non mi attira proprio, un po’ come ridere leggendo. Sono di stomaco delicato. 😉

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