Primo contatto con la letteratura giapponese! Come sarà andata?


foto marco freccero

 

 

 

di Marco Freccero.
Pubblicato il 19 marzo 2020 su YouTube. Ripubblicato su questo blog nel medesimo giorno.

 

 

Prima o poi si entra in contatto con la letteratura giapponese. Naturalmente con un autore poco conosciuto: chi mai sarà?

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Il mio primo autore giapponese. Come sarà andata? Mi sarà piaciuto?

Innanzitutto, vediamo di chi si tratta. Il titolo del libro di oggi è “Lucifero e altri racconti” dello scrittore Akutagawa Ryūnosuke. L’editore è Lindau mentre la traduzione è di Andrea Maurizi che firma anche la postfazione. Già, non si tratta di uno dei soliti autori giapponesi che vanno per la maggiore. Tanto per cambiare ho scelto qualcuno che probabilmente in pochi conoscono.

 

Qualche notizia su questo scrittore, ammirato da Murakami, e che in Giappone è ancora tenuto in alta considerazione. Uno dei premi più importanti che si assegna ogni anno è intitolato proprio a lui. È nato a Tokyo nel 1892 ed è morto, nella medesima città nel 1927; avvelenandosi. Teneva stretta al petto l’edizione in giapponese della Bibbia. Aveva 35 anni, e ha scritto solo racconti. Almeno in Italia la sua opera è conosciuta anche grazie a un film di Akira Kurosawa, tratto da un suo racconto, intitolato Rashomon. Ma veniamo al libro.

Per inquadrare quest’opera potremmo partire dalla fine di questa raccolta di racconti. Dove l’autore rivela il fascino che su di lui ha esercitato il cristianesimo. Si è avvicinato a questa religione per ragioni estetiche, ci spiega, e poi perché aiutava la sua creatività. Akutagawa non si convertì mai al cristanesimo, ma trascorse buona parte della sua breve vita a leggere la Bibbia, i Vangeli. E questi racconti hanno come protagonista proprio il cristianesimo. Verso il quale ha un atteggiamento ora di diffidenza, ora di ammirazione.

Per capire questi racconti, scritti tra il 1916 e il 1927, occorre forse rivelare che Akutagawa respingeva il realismo, e amava volgersi indietro, alla produzione letteraria passata, reinventandola, innestando il fantastico nella vita di tutti i giorni e portando così a un livello superiore la narrativa. Così in questo libro troviamo per esempio il diavolo che coltiva il tabacco. Oppure sempre il diavolo che se la prende con gli artisti che lo raffigurano con le corna e le zampe di capra. Lui non è niente del genere: è come gli uomini.

È un autore che non amava la modernità, e che usa il passato sia per sfuggire a un mondo che non apprezza, sia per costruire una narrativa che guarda alla vita comoprendendo che essa racchiude molto dfi più di quanto appare alla ragione, alla logica. Ecco il perché della sua predilezione per il fantastico, il folclore.; che lui però porta a un livello eccellente. Come posso spiegare questo autore giapponese che consiglio a pochi e che probabilmente cercherò di leggere ancora, in futuro?

Con il racconto dal titolo “Gesù di Nanchino”.

Parla di una prostituta cristiana che a un certo punto si ammala di sifilide. Un’amica le consiglia di trasmetterla a un uomo in modo da guarire, ma lei rifiuta. Finché in casa sua non entra un uomo, che parla una lingua sconosciuta. Le offre del denaro, sempre di più, ma lei rifiuta. Quando poi si rende conto che l’uomo somiglia al Cristo del suo piccolo crocifisso, cede. Il mattino dopo l’uomo è scomparso, e lei è guarita. Passa un po’ di tempo. La donna racconta questo avvenimento a un suo ex cliente, che però capisce bene chi è davvero quell’uomo. Non era Gesù, era un giornalista che poco tempo prima era morto proprio di sifilide. E costui si domanda se svelare la verità alla donna, oppure tacere.

Akutagawa non è blasfemo. Certo, definisce Cristo come “giornalista”, o “bohemien”, anche come comunista. Ma questa piccola opera se da una parte sembra suggerire che questa nuova religione rischia di snaturare il Giappone, perché in fondo porta con sé la modernità (che Akutagawa non apprezzava affatto). Dall’altro suggerisce che proprio in questa religione, c’è una dose di poesia, di bellezza talmente forte che potrebbe essere il vero antidoto a quella modernità che dove mette radici, annienta ogni cosa.

Alla prossima e: Non per la gloria, ma per il pane.

Elaborazione in corso…
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16 commenti

  1. resto sempre un scettico sulla letteratura giapponese assai distante, a mio giudizio, dai gusti occidentali. Ne ho letti diversi, Murakami, Yoshimoto, Murakami Ryu, ma francamente ho semnpre faticato ad arrivare alla fine.

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  2. La narrativa giapponese non mi attira, ma tempo fa ho letto “Io sono un gatto” di Natsume Sōseki e m’è piaciuto molto. Prima lessi un fantasy di un altro autore giapponese, non male, e un’antologia di racconti di fantascienza, La luna di carta, abbastanza insoliti.

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  3. Rashomon l’abbiamo letto in classe nel corso di scrittura online, ormai due anni fa, se non tre (ecco, come passa il tempo…) Non mi entusiasmò molto, scritto bene, stile eccezionale (quanto sarà merito della traduzione?) ma la trama è troppo lontana dal mio sentire. Non apprezzerei quel tipo di storie nemmeno se le scrivesse un occidentale, comunque.
    In ogni caso, credo valga leggere qualcosa anche di questo, per capire le differenze. 🙂

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