Forse l’autopubblicazione è in pericolo. Due soluzioni


 

di Marco Freccero. Pubblicato il 30 marzo 2020.

 

Forse l’autopubblicazione è in pericolo.

Questa riflessione non è farina del mio sacco, naturalmente. È invece il frutto di una lettura: questo articolo di Mark Coker che una volta all’anno, circa, fa un po’ il riassunto sullo stato di salute dell’autopubblicazione. Certo, si riferisce agli Stati Uniti. Ma mi pare molto azzeccato e valido anche per il piccolo mercato italiano, sempre più asfittico, si dice. Che crede ancora che con una legge dello Stato (che ignora tranquillamente il disastro economico del Paese), si salveranno magicamente le librerie, soprattutto quelle indipendenti.

Ma torniamo all’articolo di Coker.

Un “pericolo” chiamato Amazon

Il grosso pericolo (e non è affatto una novità, a parere mio), si chiama “Amazon”. Che senso ha essere autori indipendenti se buona parte delle proprie vendite dipendono solo da un negozio online? Che indipendenza è dipendere da una sola fonte di reddito (per quelli che riescono a guadagnare un po’)? E non solo.

Il problema è che siccome il sistema è in evoluzione (oppure: impone l’evoluzione?) per riuscire a non perdere posizioni è necessario inseguire. Imparare e imparare sempre e sempre di più. Mai sedersi sugli allori: mai. Non è proprio previsto.

Un sacco di gente dice che il futuro è nei banner pubblicitari di Facebook e adesso anche in quelli di Amazon. Devi studiare e studiare il loro meccanismo, provare e riprovare (vale a dire: buttare soldi perché la faccenda ingrani e tu riesca a vedere qualche risultato), e ancora una volta restare sempre aggiornato perché non si sa mai. Dall’oggi al domani (sempre per offrire “la migliore esperienza di lettura”: ovviamente), si cambia l’algoritmo, e quello che credevi di avere imparato, è diventato inutile. Devi ricominciare da capo.

In quanti se lo possono permettere? Pochi, esatto. Non solo per il denaro che si deve investire; bensì per il tempo che occorre impiegare per studiare, sperimentare, accumulare esperienza (cioè: commettere errori, spendere), e poi riprovarci.

Chi ci riesce? Chi ha tempo per tutto questo, oltre a dover vivere e magari anche scrivere? Come ho già affermato in un altro articolo: invece di occuparci della nostra scrittura, siamo spinti a occuparci delle vendite. Sottraendo tempo a lettura e scrittura, esatto.

Kindle Unlimited: sicuro che sia un affare?

Se adesso vai su Amazon avrai notato che le raccomandazioni di lettura sono state sostituite (o forse sono “accompagnate”, almeno per il momento) da banner pubblicitari di autori indipendenti. Selezioni un libro, scorri verso il basso e trovi una serie di titoli (chiamati “Prodotti sponsorizzati”) che sarebbero in relazione con quanto da te selezionato. Sono libri che stanno lì perché i loro autori “indipendenti” hanno pagato. Dubito che nel futuro vedremo assieme i banner degli autori indipendenti e le raccomandazioni organiche, scaturite cioè dalla cronologia di navigazione, dagli acquisti precedenti, e dalle ricerche effettuate su Amazon. In breve ne resterà solo uno, e non è difficile immaginare quale.

Coker parla anche di Kindle Unlimited: che “ammazza” i ricavi degli autori indipendenti. Per chi non lo sapesse: il cliente Amazon acquista il servizio Kindle Unlimited (costa 9,99 euro al mese, gratis per i primi 30 giorni), e ha accesso, senza altri costi aggiuntivi, alla lettura di tutti i libri presenti sul sito. Una selva sconfinata di opere (purché dal canto suo l’autore abbia accettato di inserire, gratis, il proprio libro in questo programma) che spinge le persone a… Non comprare i libri. Perché? Perché ha già pagato: ha comprato il servizio Kindle Unlimited, e quindi non se ne parla di spendere 3,99 euro per acquistare l’ebook de “L’ultimo dei Bezuchov”. Figuriamoci poi il cartaceo!

Inutile specificare che le royalties ricevute dall’autore che accetta di fornire le proprie opere al servizio Kindle Unlimited (non farlo MAI), sono basse, sempre più basse. 

Certo: si potrebbe liquidare la faccenda dicendo: all’autore basta non accettare l’offerta di Kindle Unlimited. Vero, ma il pericolo resta. Non senti la pressione?

Tanto liberi da non poter fare più nulla

Ci abbiamo creduto e in parte ci crediamo ancora oggi. Essere autori indipendenti significa avere grande libertà: di scrittura, di immaginare promozioni e tagli di prezzi. Ma soprattutto la Rete ci consente di creare con i lettori una relazione, una conversazione davvero proficua. Sganciata dalle logiche editoriali spesso bislacche o poco chiare.

Be’, quasi.

Sembra quasi che questa libertà alla fine ci abbia reso incapaci di agire sul serio. Qualcosa non ha funzionato, non è andato per il verso giusto. Si è inceppato il meccanismo. Se uno guarda con la necessaria freddezza a quanto accade nell’autopubblicazione, ci si rende conto che è dappertutto un fiorire di trucchi, strategie, consigli: che aumentano di numero. Per alcuni non c’è nulla di male: non si è forse detto mille volte che un autore indipendente, in fondo, non è che un imprenditore di se stesso?

Sì, lo si è detto e scritto un sacco di volte. Ma non può essere solo questo. Non può finire così male. Non deve finire così male.

Perché alla fine resteranno solo un pugno di autori indipendenti, professionisti; e una selva di ignoti. E attenzione: probabilmente molto più meritevoli dei “primi della classe”. Ma non avendo tempo, né voglia, di spendere e provare, saranno tagliati fuori. E i grandi pregi della Rete, o meglio dell’autopubblicazione, finiranno per essere ignorati, o considerati argomenti per ingenui.

Quindi: è finita? L’autopubblicazione è in pericolo e non c’è nulla da fare?

La via d’uscita

Secondo Mark Coker ci sono almeno 2 vie di uscita. 

La prima si chiama: creare una propria piattaforma. Lui afferma che un autore indipendente deve per forza creare da zero la propria piattaforma per la promozione delle proprie opere. A parer mio questo vuol dire: blog. Le reti sociali sono un po’ le molliche che disseminiamo in giro per la Rete, per fare in modo che i curiosi decidano (forse), di capire un po’ meglio chi sia, per esempio, Marco Freccero. 

Il sottoscritto da un pezzo afferma che prima di realizzare le vendite (che non sono un infallibile criterio di qualità; ma a volte sì), occorre costruire una conversazione coi lettori. È un lavoraccio perché in realtà non ci sono regole o leggi che ti permettano con facilità di conseguire un simile obiettivo. A parte l’onestà, ma quella vale per un po’ tutte le faccende che hanno a che vedere con gli altri. Quindi lo scalcagnato blog potrebbe diventare (o essere) il mezzo più indicato per creare una propria piattaforma di lettori, e quindi promuovere le proprie opere. Perché naturalmente un blog di un autore indipendente è sempre autopromozione.

La seconda via d’uscita? Secondo Mark Coker è la (rullo di tamburi) newsletter, o mailing list. A proposito: tu sei iscritto alla mia? C’è un ebook in omaggio!

Se non hai tempo né voglia di investire troppi soldi in banner pubblicitari, il blog e la newsletter restano le alternative più valide presenti sul mercato. Per alcuni si tratterà di ripieghi; di poveri ripieghi mentre il futuro sarebbe esclusivamente una roba del genere: chi paga meglio, emerge. Chi emerge vende, e chi vende vince.

Può darsi. Ma credere che solo chi vende sia il migliore, e solo se vende un certo quantitativo di opere (perché se inferiore a una certa soglia, allora non sei vincente, né convincente) non è certo una simpatica evoluzione dell’autore indipendente. Ma la sua morte. 

Credo che Mark Coker abbia ragione: Amazon (e non solo), stanno imprigionando l’autore indipendente, smentendo la sua promessa. Ben presto a tutti sarà evidente che solo chi è “professionista”, e paga, avrà diritto alla visibilità che conta. Tutti gli altri dovrebbero lasciar perdere. 

Non è così. Perché la stessa Rete mette a disposizione degli strumenti gratuiti e forse più efficaci dei banner pubblicitari: newsletter e blog. Soprattutto per quegli autori indipendenti che credono davvero nella loro scrittura, ma non hanno né tempo, né desiderio di investire denaro in altre soluzioni. Insomma: non è finita. Il bello deve ancora venire, per gli autori indipendenti.

Elaborazione in corso…
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19 commenti

  1. Amazon ha il primato delle vendite, però ci sono anche le altre piattaforme, io per esempio con L’ombra della sera (come scritto nel mio blog tempo fa) ho riscoperto IBS, non lo avrei mai detto qualche tempo fa. Credo che vendere su più store possa essere importante, almeno in certi casi. Con il romance Insostenibili barriere del cuore Kindle unlimited è stato vincente, ma con il giallo no. Potrebbe essere anche una questione di genere, ma non lo so. Riguardo agli algoritmi io sono proprio digiuna della materia e non ci provo neanche.

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    • Gli algoritmi pretendono studio e quindi tempo. È preferibile dedicarsi alla lettura, alla scrittura, e a costruire relazioni. Io quel poco che ho venduto, l’ho realizzato su Amazon. Sugli altri negozi un pianto greco.

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  2. Riuscire a proporre ai lettori le proprie storie è già di per sé come giocare d’azzardo. Quante possibilità ci sono di vincere? Pochissime. Per fortuna ci sono i gradini intermedi, anche se spesso sono quasi equivalenti al niente – quasi. Non mi preoccupo più di tanto dei rischi, delle implicazioni, di possibili cambiamenti che posso solo marginalmente influenzare, né di “sentirmi” libera. Non posso esserlo; è chiaro che qualcun altro ha il coltello dalla parte del manico. Posso provare a inserirmi negli ingranaggi imperfetti che altri hanno creato e cercare di trarne vantaggio, oppure posso restare nel mio cortile, anzi, nel mio blog. Non vorrei però rinunciare al poco in nome di qualche principio sì giusto, ma al momento inapplicabile.
    Per me il Kindle Unlimited ha funzionato benino con CG: nel periodo in cui l’ho autopubblicato e vendevo qualcosa, da Kindle Unlimited ho guadagnato più o meno quanto con le copie vendute. Quando le vendite sono calate, così hanno fatto le pagine lette. Ora che il romanzo è in promozione, le vendite si sono alzate e così le pagine lette con Kindle Unlimited. Con gli altri miei libri, invece, il KU non ha avuto risultati. Quanto tempo c’è da perdere a stare dietro a tutte queste cose? Tanto, davvero. Si fa quel che si può. 🙂

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  3. Amazon e Facebook danno la possibilità di pubblicizzare le proprie opere, e questo pone chi si autopubblica in una condizione difficile, perché si rischia di sparire facilmente a fronte di chi fa pubblicità a pagamento. E’ un po’ come dire che abbiamo una piccola fabbrica di dolciumi ma non ci facciamo pubblicità e quindi siamo svantaggiati di fronte a un brand che invece investe denaro per farsi conoscere. Si può dare la colpa ad Amazon o a Fecebook per questo? Io dico di no. Tu daresti la colpa alla televisione perché promuove un certo marchio?
    Certo, un tempo c’era più democrazia, perché non esisteva la promozione a pagamento e quindi tutti potevano figurare tra i consigli di acquisto, ora bisogna farci i conti. Creare una propria piattaforma di lettori sarebbe indubbiamente l’ideale per superare il problema. Almeno bisogna provarci.
    Invece non sono d’accordo su Kindle Unlimited da evitare come la peste. Non è che gli autori non vengono pagati, anzi.

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    • Mah! Sul Kindle Unlimited ho letto che un tempo era buono, adesso stanno tagliando i compensi e pare che ci sia un certo malumore (almeno negli USA). Adesso poi immagino che sia fondamentale investire sulla propria piattaforma, sulla conversazione. I soldi sono pochi e nei mesi futuri saranno ancora meno. La gente taglierà di certo le spese per i libri.

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  4. Amazon tramite KDP ha tutto l’interesse a pubblicare gli autori in autopubblicazione. Primo perché ricava qualcosa da ogni vendita – più ne ha, più ricava soldi- e poi attira clienti nuovi e vecchi a cercare nel loro store.
    Coker è il papà di smashwords, diretto concorrente di KDP. Il loro problema è che il mercato è al 99% americano e solo 1% il resto del mondo. Se vuole sopravvivere deve stipulare contratti con il mercato europeo – al momento ha solo tolino.de, a parte kobo che è un player mondiale – altrimenti soccombe. Io sono sulla sua piattaforma dal 2015 e la conosco. Pagamenti e report ineccepili ma visibilità zero.
    Kindle unlimited non è il demonio e nemmeno la panacea per i lettori. Perché? Paghi 9,99€ al mese ovvero 119,88 € all’anno. Se è poco scusatemi ma significa l’acquisto di una quindicina di ebook all’anno, che ti puoi leggere quando vuoi. Con KU hai il rischio che nel mezzo di una lettura non sia più disponibile perché l’autore l’ha tolto dal giro e tu ci rimani male.
    Non rendono in diritti la lettura? Può darsi. Quei pochi che ho in KU mi rendono poco ma vendo anche poco. Probabile che se vendessi di più, avrei una resa migliore.
    Diciamo che le piattaforme di autopubblicazioni per sopravvivere devono vendere servizi interessanti dall’editing alla grafica, dalle schede di valutazioni all’impaginazione. Servizi mirati ai singoli mercati e soprattutto validi a prezzi accessibili.

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  5. Giusta riflessione: se dipendi da Amazon, non sei più indipendente.
    I banner pubblicitari diAmazon mi mancavano.
    Ma quindi se uno legge il tuo ebook con Kindle Unlimited, a te non arrivano gli stessi ricavi che otterresti senza Kindle Unlimited?
    Sulla piattaforma ha ragione quel tipo. E anche tu quando parli del blog e di costruire un dialogo coi lettori prima di vendere. La vendita sarà più facile, spontanea, una volta che ti hanno conosciuto e apprezzato.

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    • Sembra che i ricavi di Kindle Unlimited stiano limandosi. In fondo è una strategia che spesso si applica e si applica perché funziona. Offri cioè delle condizioni “che non puoi rifiutare”; fai il pieno; quando poi sono tutti (o quasi) dentro cominci a cambiare le regole del gioco. A quel punto sei dentro: che fai? Esci? Mmmm.

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  6. Giusta riflessione: se dipendi da Amazon, non sei più indipendente.
    I banner pubblicitari di Amazon mi mancavano.
    Ma quindi se uno legge il tuo ebook con Kindle Unlimited, a te non arrivano gli stessi ricavi che otterresti senza Kindle Unlimited?
    Sulla piattaforma ha ragione quel tipo. E anche tu quando parli del blog e di costruire un dialogo coi lettori prima di vendere. La vendita sarà più facile, spontanea, una volta che ti hanno conosciuto e apprezzato.

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  7. KDP Select è sempre stato un pacco e lo diventa sempre di più. E Amazon è la peggiore piattaforma di vendita e-book. Formati proprietari, e-book Reader proprietario, vari bug, problemi con gli aggiornamenti degli e-book. Un disastro. Infatti io il Kindle l’ho messo da parte insieme agli acquisti su quello store. Compro solo su Google Play Store e trasferisco il formato standard ePub sul mio numero lettore. 🙂

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  8. Mi pare che qui si stiano facendo i conti senza l’oste. E chi è l’oste in questo caso? Google.
    Già perché se ti appoggi alla piattaforma Amazon, sei dipendente da Amazon, ma è Amazon a procurarti una certa visibilità in rete, sono i suoi clienti che potrebbero vedere il tuo ebook (con o senza banner) e decidere di acquistarlo. Così come se ti appoggi a Facebook, con le sponsorizzate o meno, è Facebook che ti mette a disposizione i suoi iscritti alla piattaforma, sono già lì dentro e tu devi raggiungerli, pagando o con un post virale.
    Ma se tu decidi di affidarti ad un blog o ad una newsletter? Non sei tanto più indipendente, perché dovrai procurarti comunque delle visibilità: i lettori dovranno passare per il tuo blog o la pagina web di iscrizione alla tua newsletter, e dovranno trovarli in qualche modo, presumibilmente tramite un motore di ricerca. E quando dici “motore di ricerca” all’80% si chiama Google.
    E non è che lì sia tutto rose e fiori. C’è la Seo, le keyword, il rank, Google Ads (toh, un altro servizio a pagamento per essere i primi tra i primi), gli algoritmi di ricerca e i lettori che non sanno nemmeno cosa cercare. Non direi che questa sia proprio la via dell’indipendenza… 😉

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    • Certo, Google può cambiare l’algoritmo (mi pare di averlo scritto nell’articolo), per questo ci vuole anche la newsletter. Ecco perché credo che ci voglia anche quella. Adesso mi risponderai: “Come no, e tu credi di combinare qualcosa con quella?”. Forse sì. Se mi cacciano dalle reti sociali e Google mi castiga, ho comunque delle persone alle quali posso sempre parlare. Poi è vero: l’indipendenza non esiste. Ma di certo Amazon sta diventando troppo grande.

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