di Marco Freccero. Pubblicato il 7 maggio su YouTube. Ripubblicato nello stesso giorno su questo blog.
Già, perché non li apprezzava? Perché usava espressioni severe nei confronti della trilogia del regista neozelandese?
Provo a rispondere.
Buona visione!
Il 16 gennaio 2020 è morto Christopher Tolkien, alla bella età di 95 anni. Inutile specificare che era il figlio di Tolkien, straordinario autore de “Il Signore degli Anelli”; “Lo Hobbit” e tante altre opere.
Ma di quanto era accaduto di recente alle opere del padre confessava di provare una “disperazione intellettuale”. Perché? Che cosa intendeva dire?
Christopher non apprezzava la riduzione cinematografica di Peter Jackson, e non solo perché dei colossali incassi della trilogia dell’anello, e quelli dello Hobbit, non ha ricevuto nulla. I diritti, a quanto ho capito, erano stati ceduti negli anni Settanta (probabilmente per una cifra irrisoria).
D’accordo; non amava i film e questo perché quel successo planetario ha scatenato attorno a quelle opere un “circo Barnum” come diceva lui stesso, composto da magliette, videogiochi, tazze, di tutto e di più. Un fiume di denaro che in parte ha stravolto il senso delle opere di Tolkien.
Posso capire il suo disappunto, il suo fastidio. Anche la sua “disperazione intellettuale” (come dichiara nell’intervista a Le Monde che ho linkato qui sotto).
Non sono d’accordo però, perché comunque ci sono nel mondo decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di persone che dopo aver visto quei film, hanno iniziato ad apprezzare nel giusto modo l’opera di Tolkien. E senza il lavoro di Peter Jackson essi avrebbero ignorato il valore di quei libri.
Il cuore del problema è che siamo immersi in una realtà che con la scusa di voler rendere “democratico” tutto, finisce con l’omologare e diluire ogni cosa.
Immagino che Christopher Tolkien vedesse proprio in azione questa strategia. Rendere tutto piatto, uniforme, in modo che fosse agevole passare dalle “50 sfumature di grigio” a “Il Signore degli Anelli”: perché tanto sono la medesima cosa.
Non si ripete forse che “Basta leggere”?
Be’, no.
Il signor Christopher Tolkien non credeva affatto che fosse sufficiente leggere “qualunque cosa”; perché ci sono libri, e libri. Sì, ciascuno legge quello che desidera e vuole. Ma questo non toglie che ci sono delle enormi differenze tra i libri.
Il figlio di Tolkien vedeva quindi lo sforzo intellettuale di suo padre, durato tutta la vita e che probabilmente aveva riempito ogni ora delle sue giornate, ridotto a ben poca cosa.
I film sono diventati una delle tante offerte dell’industria dell’intrattenimento, ma un intrattenimento che non aveva affatto come scopo quello di “scendere in profondità”. Bensì quello di permettere alle persone stanche e stressate di trascorrere qualche ora al cinema rilassandosi.
Da qual poco che ho capito, Christopher Tolkien non avrebbe mai permesso di ricavare dei film dalle opere del padre, per nessuna ragione.
C’è da ammettere che la sua operazione è nata da un genuino interesse di Jackson per l’opera di Tolkien. Ma ha dovuto prendere atto (come chiunque lavori in un’industria popolare come il cinema), che una produzione così colossale doveva avere un colossale ritorno economico.
C’erano da fare delle scelte; discutibili, ma indispensabili.
Christopher Tolkien era una persona del Novecento che aveva vissuto una radicale mutazione del mercato. Non accettava che questo mercato entrasse così pesantemente “dentro” il cuore dell’opera del proprio padre. È comprensibile; ma se a volte fosse necessario scendere a compromessi? Se fosse opportuno sobbarcarsi dei rischi?
Penso a quelle persone che hanno scoperto le opere di Tolkien grazie ai film. Sì, la maggior parte di essi forse hanno acquistato anche i libri per poi sistemarli nella loro libreria e passare ad altro. Perché era un film come un altro; e un libro come tanti.
Forse il figlio di Tolkien non voleva che i libri di suo padre rischiassero così tanto. Credeva ancora nella centralità del romanzo, come nell’Ottocento, e che fosse doveroso ribadirla e proteggerla. Ma il romanzo nell’Ottocento era centrale perché non aveva alcuna concorrenza: zero radio, zero Internet, zero cinema e televisione e niente videogiochi.
Se pubblichi qualcosa devi accettare un mucchio di effetti collaterali, e se sei fortunato puoi persino diventare una colossale macchina per fare i soldi.
Ma qualcuno che capirà perfettamente quello che intendevi dire lo troverai; e lo troverai solo perché hai scelto di correre dei rischi.
Christopher non ha accettato che pubblicare è sempre un rischio. E che adesso ci sono nel mondo molte persone che apprezzano genuinamente le opere di suo padre.
Alla prossima e: Non per la gloria, ma per il pane!
(il link all’articolo su Le Monde).
https://www.lemonde.fr/culture/article/2012/07/05/tolkien-l-anneau-de-la-discorde_1729858_3246.html
“…passare dalle “50 sfumature di grigio” a “Il Signore degli Anelli”: perché tanto sono la medesima cosa.” Freccero, lei mi sta diventando blasfemo!
Non ha poi senso, come confrontare un chilo di avocado con una scatola di bulloni. Ognuno ha la sua utilità, ma non sono sostituibili, né in un verso né nell’altro.
Mi piacerebbe pensare che quella di C.Tolkien fosse “solo” disperazione intellettuale, temo che gli rodeva molto di più la perdita economica. Ridurre il successo delle due saghe di Peter Jackson al merchandise significa offendere gli spettatori e i lettori insieme, per conto mio. Le prendo come le parole di un anziano, amareggiato dagli acciacchi dell’età e forse – e questo lo capisco di più – dalla tristezza che suo padre non ha visto il riconoscimento planetario della sua opera. Il Signore degli Anelli ha cambiato un genere letterario, il fantasy, per qualcuno l’ha addirittura fondato ex-novo. Non si riduce a qualche film, come non si riduce a qualche libro. La Terra di Mezzo è un mondo parallelo che scorre nel sangue dei suoi estimatori. Jackson ha lavorato per decenni a quelle due saghe cinematografiche, le ha volute fortemente, proprio da lettore. Personalmente credo abbia fatto un lavoro superlativo, anche nell’allungare Lo Hobbit ad una trilogia.
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Non sono blasfemo. Un sacco di gente ragiona esattamente così.
Sullo Hobbit non sono molto d’accordo. Da qualche parte ho letto (non so se sia vero), che a un certo punto Jackson non sapeva più cosa fare, cosa girare. E ha deciso di darci un taglio. Per il resto, ha prodotto un lavoro eccellente.
Christopher non capiva questo mondo, era rimasto (a parer mio), ancorato al suo, e non riusciva a tollerare che la gente si potesse avvicinare all’opera del padre in questi modi. E ti dirò: un po’ la capisco, Anzi, forse lo capisco proprio tanto 😃
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Come mi sembra di aver scritto in un commento a un articolo precedente, io sono una delle tante che ha scoperto l’opera di Tolkien grazie ai film. E al momento sono a due riletture de Il Signore degli Anelli e de Lo Hobbit, più Beren e Luthien. Libri e film sono due opere splendide e complementari, grazie al bel lavoro che ne ha fatto Peter Jackson. Certo, ha dovuto “tagliare” molto e aggiungere altro che fosse più cinematografico, ma direi che – senza togliere il ritorno commerciale che naturalmente c’è stato – anche il film entra dentro al significato profondo dell’opera.
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Tom Bombadil è rimasto fuori, ma era inevitabile. Forse anche il finale “in quel modo” era assolutamente necessario, perché allora diventava una tetralogia. E poi Jackson adorava quei libri, quindi ha fatto un lavoro che non poteva che essere curato, ma anche soggetto a inevitabili compromessi. Il figlio di Tolkien questo non riusciva a comprenderlo, lo viveva come un tradimento.
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il problema nasce che romanzo e cinema – a maggior ragione il piccolo schermo – sono entità che si basano su paradigmi diversi. Il romanzo racconta, narra spera che il lettore immagini le scene. Il cinema racconta attraverso le immagini.
Per chi ha letto il romanzo e poi visto il film avrà notato tutte le differenze tra le due opere. Certo il figlio viveva nel mito del padre e ha ritenuto blasfemo la sua traduzione sul grande schermo.
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Infatti. Sono due “media” (come dicono quelli bravi), completamente diversi. E una storia pensata per essere letta deve per forza essere “trasformata” e adattata allo schermo, grande o piccolo che sia.
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trovare una trasposizione fedele di un testo sullo schermo è in pratica impossibile.
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Un film dona una popolarità che il romanzo di solito non ha, e se questo fa leggere il libro è positivo, in questo caso però mi sembra ingiusto che il figlio di Tolkien non abbia guadagnato quasi nulla dalla grande diffusione delle opere del padre.
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Purtroppo sembra che abbiano ceduto i diritti e ormai non c’è più niente da fare. Adesso arriverà anche la riduzione di Amazon. Non la vedrò (non ho voglia di regalare soldi ad Amazon), ma non credo che possa essere superiore a quella di Jackson.
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I film sono infatti riduttivi, e anche non troppo fedeli. In più, come accade fin troppo spesso, devono infilarci la scenetta comica, tipo Legolas che fa surf con uno scudo… ma per cortesia.
I film non rendono alcun merito all’opera di Tolkien e sono contento di aver conosciuto Tolkien decenni prima dei film, altrimenti non so se avrei letto le sue opere.
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Comunque nello Hobbit hanno fatto anche di peggio 😀
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Credo che la passione di Peter Jackson per Il Signore degli Anelli sia stata genuina e condivisa dal cast intero, come si può capire dai video ripresi dietro le quinte. Da una passione di questo tipo non può che nascere una sintonia con l’opera di Tolkien, anche all’interno di un medium così diverso, in tempi così diversi – una sintonia che sicuramente si è propagata a tante persone che altrimenti Tolkien non lo avrebbero nemmeno annusato. Posso capire solo in parte la chiusura di Christopher Tolkien. Le opere, una volta varate, devono camminare, anzi, volare! 🙂
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Se pubblichi una storia, a quel punto diventa di “pubblico dominio” 😉
Se poi diventa addirittura un successo colossale!
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