di Marco Freccero. Pubblicato il 6 giugno 2020.
Dopo il Covid-19 (ma quando arriverà precisamente il “dopo”?) il mondo non sarà per nulla migliore. Sarà peggiore: più disoccupazione, meno denaro, più rabbia.
Eppure ci sono degli strani personaggi, definiti “autori indipendenti”, che riflettono su come sarà la loro condizione dopo; ma anche durante (perché il virus resterà tra noi per un bel pezzo ancora. E anche quando ci sarà il vaccino, ci vorrà parecchio tempo perché la maggior parte della popolazione sia protetta).
Uno di questi strani esseri è il sottoscritto. Certo, si tratta di riflessioni abbastanza inutili poiché ho una manciata di lettori e quindi il “mio” pensiero importa quanto un fico secco.
Ce l’hai una piattaforma di lettori?
Vedo in giro persone che sono appena rientrate da Marte. E che imperterrite chiedono a quale casa editrice spedire la loro opera.
Il blog?
La presenza sulle reti sociali?
Zero, ovviamente. Ah, sì; una paginetta di Facebook popolata di gatti, cuoricini, e altri contenuti di questo tipo.
Ecco il segreto di pulcinella. Le case editrici hanno altro per la testa, in questo momento. Resisteranno solo le più grandi, tagliando costi e servizi (leggi: posti di lavoro), oppure quelle che negli anni sono riuscite a costruire un marchio così solido e autorevole, che i loro lettori continueranno a seguirle. Per il resto: un bagno di sangue.
Quindi se un autore vuole essere pubblicato da una casa editrice, deve solo avere, su Instagram, quei 400.000 follower che potrebbero (il condizionale è davvero d’obbligo), convincere la casa editrice a rischiare, e a spendere due spiccioli sul nome di un perfetto sconosciuto (o sconosciuta).
Alla fine occorre riconoscere che avevo un poco di ragione: un autore (non solo quello indipendente), o si crea una piattaforma di lettori, oppure “Ciccia”, come si dice dalle mie parti. E varrà ancora di più da qui in avanti, perché nessuna casa editrice avrà molta voglia di investire in un perfetto sconosciuto. Con gli esordienti useranno tutte le cautele del caso, praticando una distanziamento sociale parecchio robusto.
E non finisce qui.
Probabilmente il Covid-19 decreterà anche un lusinghiero successo dell’ebook, ma questo non farà altro che spedire all’altro mondo molte librerie. Sia chiaro: non sarà certo l’ebook a farne chiudere a bizzeffe; come riesci a pagare dipendenti e tasse e spese, se devi far entrare poche persone per volta? Con guanti e mascherine, e poi garantire anche la disinfezione? (Quindi: altre spese). Potrebbe rappresentare, il libro elettronico, un altro chiodo sulla bara di tante librerie.
Sì, certo. Passerà. Ma molti attori della filiera dei libri salteranno in aria.
Molte persone preferiranno IBS o Amazon. Che magari si inventeranno qualcosa (“Compra tre libri: il quarto, a tua scelta, te lo regaliamo”. Quale libreria potrà battere simili offerte?).
Ma sto divagando.
Lo spazio dell’autore indipendente
A me non interessa certo indagare che cosa dovrà (o dovrebbe) scrivere l’autore indipendente da qui in avanti. Scriverà un po’ quello che preferisce, come sempre.
Semmai: che spazio avrà? Siamo certi che il blog e le reti sociali, compreso YouTube, siano soluzioni? Oppure sono ancora un vecchio modo di affrontare la sfida, mentre ci sarebbe bisogno di altro? Forse è solo una linea difensiva che stiamo adottando, qualcosa che mostri agli altri che facciamo comunque qualcosa, che ci muoviamo.
Ma che cosa potrebbe mai essere questo “altro” da escogitare?
Vorrei poter affermare qui, su questo blog, che ho l’idea; ma sarei sorpreso assai se ci fosse qualcuno con una qualche idea. Non credo affatto che sia in discussione il ruolo di chi racconta storie, perché costui o costei continuerà a raccontarle al meglio delle sue possibilità. Pure se attorno avrà 12 o 13 lettori solamente.
Il nocciolo della questione è creare (oppure riannodare) un legame con i lettori. Io ho fatto delle presentazioni in Emilia Romagna, a Castenaso e poi a Imola. Ma qui adesso sappiamo con certezza che fiere e presentazioni saranno rimandate alle calende greche. Soprattutto, meglio ripeterlo, ci saranno meno soldi, e meno persone che avranno tempo, e voglia, di leggere le nostre storie.

Sì: forse avremo qualcuno dei nostri lettori che acquisterà comunque i nostri libri. Ma davanti a noi ci sono quasi certamente anni duri, anni di pochi soldi e disoccupazione. Qualcuno potrebbe dire, a questo punto, che dobbiamo “posizionarci” in modo da intercettare quei lettori che non avranno problemi a spendere denaro (anche) in libri.
A dicembre arriverà comunque il mio romanzo. Sarà disponibile sia in cartaceo che in digitale, e prevedo che come spesso è accaduto, sarà soprattutto l’ebook a vendere.
Eppure.
Miracoli o duro lavoro?
Eppure credo che l’autore indipendente, proprio per la sua natura così particolare, lontana dalle logiche di mercato, possa proprio adesso ritagliarsi uno spazio che altrimenti sarebbe stato occupato da troppo “rumore”. In questo periodo, e probabilmente anche negli anni a venire, quello che conterà per davvero non sarà solamente esserci o presidiare. Bensì riuscire a imbastire con le persone (i lettori nel mio caso), un rapporto più profondo e solido. E per realizzare questo non ci sono molte ricette o segreti, naturalmente. Occorre far da sé, andare a naso, a intuito. Certo, ci saranno sempre i trucchi e le strategie, e i guru già si sono riorganizzati e la loro vendita di “miracoli chiavi in mano” subirà un notevole incremento.
In tempi di crisi chi vende miracoli trova sempre gente disposta a pagare profumatamente. Chi propone editoria fotocopia avrà i suoi seguaci.
Eppure, come ho già scritto in passato, non credo affatto che sia la strada capace di fare del bene all’autopubblicazione. Essere la copia di una certa editoria magari avrà anche il suo fascino, non dico di no. Però ridurre questo spazio (l’autopubblicazione) a una replica di quanto si fa altrove, alla lunga mi pare poca cosa. Perché quello che si produce con l’autopubblicazione spesso è uniforme, e omologato; identico a quello che si trova nelle case editrici (alcune, non tutte). E rivendicare che: “Però la copertina l’ho scelta io invece del grafico della casa editrice”… Mi pare poca cosa.
Credo che ci siano già qui e ora interessanti opportunità per far fare all’autopubblicazione un vero salto di qualità. Renderla cioè un territorio di tentativi, sperimentazioni, storie davvero nuove e inedite per un pubblico che, senza rendersene ancora pienamente conto, si è stancato di prodotti identici e omogeneizzati, e vuole qualcosa di differente.
Tutto questo potrebbe trovarsi nell’autopubblicazione, un luogo dove c’è un che di limpido e selvaggio. Dove vive una genuinità che altrove si è persa.
Mica cotica.
Comunque non è affatto vero il mantra che tutti ripetono che i lettori in Italia siano pochi, pochissimi. I lettori sono tanti, tantissimi. E’ il tasso di lettura in Italia ad essere basso rispetto alla Svezia o altre realtà europee. Ma essendo l’Italia un paese popoloso, quantitativamente da noi esistono molti più lettori di Svezia, Austria e forse Spagna messi assieme.
Il problema semmai è l’eccesso d’offerta, troppi libri che polverizzano la domanda. Ma quei pochi autori che riescono a concentrare una porzione piccola, infinitesima di lettori sui propri libri, se la passano piuttosto bene.
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Questo è sicuramente vero: troppi libri.
Dici che i dati sul tasso di lettura siano “falsati”? A questo non avevo mai pensato…
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No, non falsati. Parlo della differenza fra percentuale di lettori e numeri assoluti. Nel 2018 in Italia hanno letto almeno un libro 30 milioni di persone. Tutta la Svezia conta 10 milioni di abitanti. Quindi anche se in Svezia il tasso di lettura è più alto, in Italia si leggono più libri.
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Adesso è chiaro, ma ero io che avevo letto male 😉
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il problema sta nel leggere i numeri. In Italia si pubblicano mediamente 60.000 nuovi testi – ovvero che hanno un nuovo ISBN. Quindi niente ristampe o riedizioni del passato – rapportato al numero di lettori – ammesso che il dato statistico sia veritiero – da numeri piccoli. Quindi si dice che gli italiani leggano poco.
Per capire la dinamica di lettura si dovrebbe conoscere i volumi di vendita e non quelli di stampa, visto che molti finiscono in discarica ancor prima di essere disponibili.
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Direi che la maggior parte finiscono in discarica…
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lo so. Visto il meccanismo perverso dei distributori
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Il futuro è un’incognita soprattutto dopo il covid19, mi chiedo se ha ancora senso scrivere, però per ora seguo una passione che ancora resiste, forse non per molto…
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Non puoi mollare Sorace! 😉
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Oh Giulia, spero tanto di no. Io faccio il tifo per te. Se posso aiutarti in qualcosa sai sempre dove trovarmi.
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“Un luogo dove c’è un che di limpido e selvaggio”… mi faresti autopubblicare tu, se non lo avessi già fatto! 😉 Però credo che tu abbia ragione, a parte gli scherzi: qualcosa di buono può emergere nel nostro mondo indie. Dipende da noi e dai lettori, ma parte sicuramente da noi, se avremo ancora la voglia di scrivere sufficiente per esserci.
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Dipende soprattutto da noi. Visto che auto-pubblichiamo 😃
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Ti dirò, non sono affatto convinta che il libro e la filiera editoriale abbia risentito così tanto di questa pandemia. Non ci sono stati i grandi eventi, come il Salone del libro, e tutte le presentazioni, ma si sono spostate online, esattamente dov’erano i lettori. E le case editrici hanno continuato a leggere e selezionare, anche se hanno dovuto spostare le nuove uscite (perché si ostinano a non puntare sul digitale). In quanto alle librerie, ironia della sorte, quelle di catena erano chiuse, ma quelle indipendenti non hanno mai smesso di vendere, organizzando addirittura con i Glovo. E del resto Amazon, seppure con ritardi dichiarati (ma i miei pacchi erano addirittura anticipati), ha sempre continuato a consegnare libri cartacei durante tutta la chiusura.
Su come sarà il “dopo” Covid (ma temo che il “durante” sarà ancora lungo, fino al vaccino) nessuno può fare previsioni, però la lettura resta una delle poche attività rilassanti, sicure, a prezzo contenuto. Con un libro puoi viaggiare senza rischiare nulla. Ho fatto un giro al centro commerciale in settimana, per la lavasecco, ma gli unici negozi con persone erano il supermercato, la profumeria, l’ottico, l’orologiaio e la libreria. Nessuno si avvicinava a scarpe, borse, vestiti, gioielli, agenzie viaggi. 😉
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Mah! A me pare che molte case editrici siano in cattive acque. Le gradi resteranno in piedi, in un modo o nell’altro. Senza presentazioni o fiere, c’è poco da fare. Sì, le dirette su Facebook: ma chi ha voglia, davvero, di fare una cosa del genere? Fiere e presentazioni sono il vero motore dell’editoria, soprattutto quella piccola.I Glovo, poi, sono di fatto abbastanza inutili (si tratta di altre spese da sostenere, oltre a guanti e a disinfettante da fornire ai clienti): fanno guadagnare poco.
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Interessante analisi, Marco. Avrei una domanda, cosa intendi di preciso con: “far fare all’autopubblicazione un vero salto di qualità. Renderla cioè un territorio di tentativi, sperimentazioni, storie davvero nuove e inedite…”
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Intendo che deve cercare di non seguire la corrente, il gusto del pubblico. Il mercato. Se l’autopubblicazione è davvero il territorio della libertà, perché sei sganciato da logiche editoriali e di mercato, allora hai un raggio di azione più ampio. Più libertà appunto.
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Comprendo. Diciamo che se si riuscisse a pubblicare con una CE big; ad avere un buon successo; a non essere un fuoco di paglia, ma continuando a produrre con qualità, allora si puo pensare di sperimentare ugualmente. Perchè a quel punto il “conduttore” diventa l’autore e non la CE. All’inizio concordo come sia impossibile, basta guardare ai criteri di selezione delle opere (ammesso che le leggano). Se mai il mio dubbio è: il lettore medio di oggi non sarà comunque già “omologato” dalla potenza di mercato delle CE? Se la risposta è sì sarà comunque arduo trovare lettori – parecchi – disposti a leggere cose alternative. Alla fine, allora? Scriviamo quel che ci piace, e buonanotte… 😉
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Esatto: scriviamo quello che ci piace. 🙂
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Sono d’accordo su tutto soprattutto sul concetto che l’autopubblicazione possa rappresentare una nuova opportunità.
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Opportunità che non si dovrebbe sprecare.
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