La morte di Ivan Ilic – Tolstoj vs società?


 

di Marco Freccero.
Pubblicato su YouTube il 23 luglio 2020. Ripubblicato nel medesimo giorno su questo blog.

 

 

 

Come avvicinarsi all’opera monumentale di Lev Tolstoj? Forse non è necessario iniziare dai suoi grandi romanzi per apprezzare i libri dell’autore russo. Forse è sufficiente acquistare un piccolo libro. Piccolo sì, ma potente…

 

 

 

 

Mi rendo conto che avvicinarsi a Lev Tolstoj con un racconto breve dal titolo “La morte di Ivan Ilic”, per molti non sarà una buona idea.
Ma è un breve racconto che ci dice tanto su questo scrittore russo.
Che cosa? Andiamo a scoprirlo assieme.

Per prima cosa, ci indica che Tolstoj è un genio. Perché il libro inizia quando tutto è finito.

Siamo infatti, quando si apre il racconto, nel palazzo di giustizia e lì arriva la notizia della morte di Ivan Ilic. Al di là dell’impressione che questa provoca, nella testa di tutti si fa avanti un’idea: con la sua morte, avrò un avanzamento della carriera? Avrò quella promozione?

Un collega del morto, ex compagno di studi, sembra leggermente differente, e decide di recarsi nell’abitazione del morto, per le condoglianze d’obbligo.

Una formalità, ma tutto, quando egli giunge a destinazione, appare una formalità. Il dolore della vedova, della figlia del morto; solo il figlio è davvero straziato dal dolore. Per il resto, pare di assistere a una rappresentazione teatrale. Ci si deve comportare così perché è quello che ci si aspetta.

A questo punto, Tolstoj inizia a narrare la vita di Ivan Ilic. Ed è la vita di una persona che guarda alle persone altolocate come a un esempio, e decide di diventare come essi. In pratica, pianifica la sua vita nei minimi dettagli per poter essere da loro accolto, e per diventare come loro.

È un impegno che lo prende per anni, e il matrimonio è uno dei passaggi fondamentali per riuscire a realizzare i suoi sogni. Assieme alla scalata della gerarchia nei vari uffici, all’avanzamento della carriera.

È un uomo che incarna lo spirito del tempo: ha il pieno controllo della sua vita, e l’imprevisto, la follia della vita, pare non esistere. È stata espulsa grazie alla volontà del singolo.

Ma è una vita che non è più vita. Le relazioni che egli ha, e non riguarda solo lui, naturalmente, sono improntate solo all’utilità. Di tanto in tanto si lascia andare, solo a sprazzi qualcosa della genuinità della vita riesce a emergere, salvo poi tornare a sprofondare.

Finché non arriva la malattia. L’imprevisto. Quello che non doveva accadere, si verifica. Con una precisione beffarda e implacabile.

E tutta la sua vita, quella perfetta rappresentazione che lui credeva vita, la vita vera, si sgretola. Non capisce perché accada, perché accada proprio a lui. Perché la morte lo abbia prescelto.

Inizia a ricordare la sua infanzia, il momento più felice della vita. Prima di essere sedotto e poi trascinato lontano dalla società che lo ha illuso, promettendogli la felicità.

C’è un solo personaggio verso il quale sente affetto: non è la figlia, non è la moglie e neppure i medici o gli amici, che in breve lo mollano perché non è più di compagnia.

È il giovane contadino Gerasim che si prende cura di lui quando alla fine non è più in grado di badare a se stesso, e nemmeno riesce ad andare in bagno.

In quella vita semplice, forte e limpida, che non insegue sogni di ricchezza e rispettabilità, ma vive e basta, lui vede il grande errore che ha commesso.

Alla fine muore, ma muore con la convinzione che la vita, quella che ha vissuto, sia la morte.

Si tratta, credo, di una visione cupa, dove non esiste speranza, dove la vita, secondo Tolstoj, è stata corrotta da forze che spingono le persone in una condizione di illusoria felicità.

Nulla pare salvarsi da questo furore dello scrittore russo. Che cerca quasi di fare a pugni con la morte, di capire il mistero finale che attende ogni persona. E lo fa demolendo tutto, perché tutto è apparenza, ipocrisia, stupidità.

Anche il contadino, che Tolstoj/Ivan Ilic ammira, è degno della sua ammirazone perché, probabilmente, nella sua semplicità, o forse dovrei dire ignoranza, non si pone alcun interrogativo. Vive e basta.

Tolstoj viceversa, le domande se le pone, le rende ossessive e implacabili. Forse ci vuole dire che ogni attività legata all’intelligenza, al pensiero, rende infelici perché ci allontana dalla forza della vita?

Il problema, credo, è che alla fine di questa opera di demolizione, dove tutto è atterrato e sbriciolato, perché di vero non c’è che la morte, non rimane nulla.

Ma è davvero possibile che non resti nulla? Che l’unica cosa da fare sia: morire?

Alla prossima e: Non per la gloria, ma per il pane!

14 commenti

  1. Letto qualche anno fa, ma non ne ricordo nulla. Non mi è piaciuto granché. E è stata anche la prima opera di Tolstoj letta, in un volume con 3 romanzi brevi.
    Da anni ho “I cosaacchi”, l’hai letto?

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  2. Scoprire il vero senso della vita nelle cose semplici e quando ormai si è vicini alla morte…
    Mi sento in sintonia con il senso del racconto.

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  3. A parte che un Ivan Illich scrittore è esistito davvero, austriaco e prete, adoro i russi (dissento dall’orso ma non è la prima volta). Come l’altro gigante che entrambi amiamo è incline al lato buio della coscienza. Una vita vissuta come morte è una vita sprecata. Persino il bisogno di accettazione sociale che il protagonista afferma ne è esempio. L’idea di partire dalla fine, semplicemente geniale

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  4. Credo che in parte sia vero: ogni attività legata all’intelligenza, al pensiero, può rendere infelici perché allontana dalla forza della vita. Può, non deve necessariamente. Però occorre molta consapevolezza, molto impegno nel guardarsi dentro per mantenersi “puliti” dalle distorsioni che la mente sa produrre in abbondanza. E’ un gran lavoro, ma è la vita vera, secondo me.

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  5. Infatti si dice “Beata ignoranza”, no? L’ignorante vive bene e vive felice, altro che!
    Comunque per colpa tua Marco ho un mattone di 11 centimetri di Anna Karenina, che mi attende a settembre (non ci provo nemmeno a leggerlo ora con 42 gradi…) Credo ti siano fischiate parecchio le orecchie quand’è arrivato. Presa dall’entusiasmo, ho acquistato il cartaceo… penso che alla fine diventerà un ottimo fermaporta. 😀 😀 😀

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