La cattiva notizia a proposito dell’autopubblicazione (che però potrebbe essere buona)


 

 

di Marco Freccero.
Pubblicato il 14 settembre 2020.

 

 

Uno degli articoli più letti di questo blog è quello che riguarda i libri per imparare a scrivere da leggere assolutamente.

Al suo interno, ho messo un bel link ai libri sul marketing che un autore indipendente deve leggere. Il risultato? Benché sia contenuto all’interno dell’articolo (uno dei più letti), lo cliccano in pochi.

Allora l’ho spostato all’inizio dell’articolo: il risultato non cambia. Quelli che approdano, grazie a Google, sull’articolo dedicato ai libri da leggere per imparare a scrivere, non sono interessanti al marketing.

In pratica: non vogliono vendere i loro libri. 

La cattiva notizia

La cattiva notizia è che ci sono un sacco di autori che non sono interessati a vendere più di 12 copie delle loro opere. Probabilmente hanno compreso che è necessario leggere tantissimo, e che per costruire una storia appena decente è meglio rivolgersi a qualche buon libro in commercio.
Alcuni sono disposti a spendere, a investire nell’acquisto di questi libri. Nella loro febbrile ricerca di risorse, capitano su questo blog e trovano pane per i loro denti.

Non m’illudo che tutti quelli che scrivono siano davvero pronti a mettersi in discussione. Avere una laurea in lettere moderne non significa affatto che quella persona sarà in grado di scrivere una storia leggibile. Quasi certamente, sarà una persona piena di presunzione: Io ho la laurea, ho ben poco da imparare.

Ma costruire una storia, breve o lunga che sia, richiede impegno, e di mettere da parte quello che si è imparato sui banchi di scuola o dell’università. 

Questo non vuol dire che è indispensabile infischiarsene delle regole di sintassi o grammaticali. Le devi conoscere soprattutto se decidi di infrangerle. Solo in questo modo sei consapevole di che cosa stai combinando. Ma raccontare una storia vuol dire avere la consapevolezza che la parola è una bestia strana. E chi scrive lo sa, per questo ha sempre da imparare. Chi scrive sa, o dovrebbe sapere, che avere la testa piena di idee non conduce molto lontano. Che ottimi voti a scuola non garantiscono la capacità di attirare i lettori; di scrivere un dialogo che funzioni; o ancora una descrizione efficace.

Purtroppo, queste persone credono pure che il marketing sia troppo “sporco” per dedicarci un po’ di tempo. L’autopromozione (se la parola marketing risulta troppo scandalosa), è la piccola arte che spiega alle persone che ci sei anche tu. Perché premere il tasto “Pubblica” su Amazon non produce più nulla di interessante, né l’annuncio su Facebook smuove davvero le acque. Ma si considerano troppo “importanti” per promuovere sul serio le loro opere. È una cattiva notizia, quindi? Sì, per costoro lo è, anche se non se ne rendono conto. 

Ancora incapricciati dell’idea che basta scrivere qualcosa di buono, e poi ci pensa la fata Zucchina a far decollare le vendite, che attirano la grande casa editrice, che attiva la casa di produzione, che contatta Netflix… Ci vorrà un po’ di tempo, ma da ottimista quale sono, so che prima o poi queste persone si renderanno conto che stare fermi è fantastico se di nome fai “Monte” e di cognome “Cervino”. Perché verranno da tutto il mondo per te, solo per te; per rimirarti.

In tutti gli altri casi è decisamente controproducente. 

D’altra parte, ho scoperto che qui a Savona ci sono almeno 4 panifici che cercano giovani da avviare al mestiere di panettiere. Non trovano nessuno.

Prego concentrare l’attenzione sulla parola “nessuno”. Molte persone non sono interessate a lavorare di notte e a guadagnare bene (è un mestiere duro, ma lo stipendio è buono sin dall’inizio). Né amano impegnarsi sul serio per ottenere quello che desiderano. Lavorare di notte, oppure nel fine settimana? Figuriamoci. Con queste premesse è arduo immaginare che le medesime persone siano disposte a spendere e a darsi da fare. 

Meglio sognare il colpaccio. 

Certo: alcuni non vogliono fare marketing perché non hanno davvero tempo. Oppure: vogliono pubblicare, e basta. Non desiderano diventare piccoli imprenditori della scrittura. Ma questo va bene. È frutto di una decisione, di una scelta.

La maggior parte però attendono sempre e solo lui: O’ miracolo. O la fata Zucchina, a scelta.

La buona notizia

La buona notizia: se tu invece hai capito che il marketing è fondamentale per vendere un po’ più di 12 copie, di fatto non hai molta concorrenza. Ecco la buona notizia, esatto. Sono (ancora), pochi quelli che investono davvero, ci mettono i soldi. Ma in realtà, sono comunque tanti. Anch’essi sono… Troppi. 

Ma almeno aver compreso che è indispensabile darsi da fare, fare promozione o marketing che dir si voglia, è importante. Tradotto in soldoni, significa avere messo da parte definitivamente l’idea che la fortuna (naturalmente), sceglierà proprio noi, e non il vicino. Perché? Perché sì, e basta.

Il passo in avanti, quello che ti spinge ad agire, parte invece dall’idea che sei tu che devi andare a caccia del tuo pubblico. E non è detto che sia grande. Ecco un’altra verità, dopo quella a proposito del marketing. Il successo non si sposa solo con i grandi numeri. Non tutti gli autori sono destinati a vendere a carrettate. Ma probabilmente, esiste un pubblico per (quasi) tutte le storie.

Persino per le mie.

Per circa un mese ho pubblicato su Facebook dei banner per pubblicizzare il primo capitolo della Trilogia delle Erbacce. Vale a dire la raccolta di racconti “Non hai mai capito niente”. 

nuova copertina non hai mai capito niente

I banner hanno raccolto oltre 8000 impressions, circa 120 persone hanno cliccato sul link e sono andate a dare un’occhiata sul sito Amazon al mio ebook, e tre persone hanno acquistato (ho anche ricevuto una recensione da quattro stelle). È un successo oppure un fiasco?

L’incasso è stato insufficiente, ma non avevo previsto che andasse molto meglio. Volevo provare questa opportunità, e vedere se era effettivamente semplice come si diceva (lo è). Certo, occorre tenere d’occhio clic, impressions, eccetera eccetera. Ma un mucchio di persone che non avrei mai raggiunto ha visto i miei banner, ho realizzato delle vendite, ho fatto esperienza che potrò usare in futuro.

La mia idea è che i racconti non piacciono molto, e che è preferibile pubblicizzare i romanzi (devo anche sperimentare questo), ma credo che in futuro (abbastanza prossimo), replicherò la pubblicità cercando di modificare qualche cosa. 

Davvero si tratta di una brutta notizia?

Il futuro dell’autopubblicazione (no, non è il ritorno del temibile “Marcodamus”)? Nell’investire, nel metterci i soldi per cercare di raggiungere un po’ di lettori in più perché:

  1. Checché se ne dica, Facebook è il luogo dove ci sono le persone. Profilando con cura si possono ottenere dei risultati;
  2. Se l’autoeditore è per te una faccenda seria, devi affrontarla con strumenti seri. I soldi, esatto.

Si tratta di cattive notizie? Non credo e per questo motivo.

Il marketing richiede denaro da sempre. Prima, lo facevano le case editrici lontano dagli occhi belli dello scrittore, che così manteneva “intonse” le sue mani, e non si mescolava con la volgarità dell’autopromozione (ma la faceva eccome. Non si entra in una trasmissione televisiva perché le porte degli studi sono aperte. Ma perché il reparto marketing della casa editrice ci sa fare).

Adesso, tocca a me.

Infine: ma chi scrive ancora: “checché”?

Elaborazione in corso…
Fatto! Sei nell'elenco.

15 commenti

  1. La data Zucchina l’aspetto da tempo ma da qui non è ancora passata. Tocca tirarmi su le maniche, dipingermi i capelli di arancione e comprare una bacchetta magica e fare da me. Non ho fiducia nelle campagne social, ne abbiamo già parlato, ma hai ragione sul fatto che dobbiamo trovare il modo, il nostro modo, per promuovere i nostri lavori. Io punto più sugli incontri de visu, variamente organizzati. Ma ogni strada è buona se è giusta per noi, che non siamo ancora arrivati da nessuna parte e che se siamo intelligenti non ci arriveremo mai

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  2. “Checché” io lo scrivo, a volte, quindi siamo almeno in due! 😀 Non immagino tutti gli autori alle prime armi così presuntuosi e ottusi. Piuttosto me li vedo ignoranti (com’ero io all’inizio) del mondo della scrittura, e alcuni sì, anche convinti di saper scrivere chissà cosa di buono solo per le lodi sperticate di amici e parenti. Quando al promuoversi, ho trovato nel mio vagabondare tra blog statunitensi un concetto che mi è piaciuto: smetterai di sentirti un piazzista quando ti renderai conto che proponi valore, non fuffa. Un’accettazione dell’autopromozione basata sull’autostima, insomma. Aggiungo che sì, scrivere senza essere disposti a muoversi per far conoscere il proprio lavoro è una contraddizione in termini; soprattutto se per te scrivere significa sudare sette camicie per mesi o anni per ottenere il testo che vuoi. Forse se ti fai bastare una prima stesura un po’ corretta, la contraddizione sparisce… 😉

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  3. Ne ho sentiti diversi dire che non amano il marketing, perché scrivere è un’arte. Certo, ma se vuoi vendere ciò che scrivi, allora devi promuoverlo. Se decidi di autopubblicare, devi fare tutto da te, altrimenti stai peggio che con un editore.
    Però chi si autopubblica e fa marketing non è vero che non ha concorrenza: forse non da altri autori autopubblicati, ma nelle librerie deve combattere anche contro tutti gli altri.

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  4. L’autore indipendente, oltre a scrivere, deve fare marketing o cercare in qualche modo di promuovere i propri scritti, non si può restare ad aspettare il miracolo dal cielo, bisogna farsi conoscere, le promo facebook servono anche a questo, se nessuno sa cosa scrivi, come potrebbe eventualmente comprare. La tua campagna ha avuto efficacia perché ha portato delle vendite e addirittura una recensione (le recensioni spontanee sono merce rara e preziosa), cosa non semplice con i racconti. Poi più si investe più si raggiungono risultati…

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  5. La fata Zucchina? Ma non era forse la fata Turchina?! 😀
    Comunque, checché tu scriva di no, alla fine mi dai ragione: la scrittura è un lavoro per ricchi… che possono pagarsi il marketing. 😛
    Ma soprattutto che ne capiscono l’importanza. Di solito, quelli che aborrono (chi usa ancora “aborrire”?) il marketing sono in realtà quelli che lo subiscono più facilmente, senza rendersene conto. 😉

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  6. Certo fare promozione o marketing, fa più figo con le parole inglesi, si deve fare ma in modo intelligente. Quindi l’editore indipendente deve scegliere il social adatto a quello che ha pubblicato e investire soldi e tempo.

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  7. Come diceva qualcuno, “la pubblicità è l’anima del commercio”, e comunque promuoversi è un lavoro a tempo pieno. Non è un caso che le case editrici abbiano i reparti “promozione e sviluppo”: se i libri si promuovessero da soli sulla base della qualità, non ce ne sarebbe alcun bisogno. E anche così i risultati post-promozione sono del tutto imponderabili…

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