di Marco Freccero. Pubblicato il 2 novembre 2020.
Che cosa succede dietro le quinte del #progettoIOTA?
Diciamo che ne succedono di cotte e di crude. Accadono cose che voi umani non potete proprio immaginare. E come potreste? Ecco perché adesso esiste questo articolo: destinato a fare piena luce (be’, o quasi), sul mio prossimo romanzo che autopubblicherò nel mese di dicembre di quest’anno.
Mi rendo conto che un sacco di gente è lì che si domanda: “Ma che titolo avrà?”.
Buona domanda, sul serio. Mi piace. È una di quelle domande che quando la senti dici: “Uao”. Ma per intanto iniziamo il percorso di avvicinamento a questa storia andando a sbirciare un poco dietro le quinte.
Ti va? (Domanda retorica perché si presume che se tu leggi queste righe, allora qualche interesse lo avrai pure, non è vero?).
Dietro le quinte significa che qui mostrerò alcuni dettagli di questa storia: di che tipo? Si tratta dei commenti che ci scambiavamo io e la scrittrice Morena Fanti che è fondamentale come sempre nell’appoggiarmi in… Tutto no, assolutamente! Anzi: guai se fosse così.

Inutile spiegare che la storia, quando leggerai questo articolo, sarà finita, sì insomma: avrà la parola “Fine”, nell’ultima pagina (non è vero, perché poi nel 2021, forse, arriverà pure la seconda parte, ricordi?).
Il romanzo ha subito un bel po’ di riletture e riscritture; e tagli. Soprattutto tagli.
È questo l’aspetto divertente di una storia: non la scrittura, ma quando viene il momento di eliminare tutte le parti inutili.

Una storia come questa (poco meno di 340.000 caratteri escludendo ringraziamenti, la solita sezione “Chi è l’autore” e via discorrendo), ha visto sparire non solo paragrafi, ma anche interi capitoli perché inutili oppure completamente sbagliati. Come si fa a scrivere una storia del genere?
Basta pensarci…

Può sembrare una sciocchezza: ma la riflessione è il metodo giusto per arrivare a scrivere una storia, corta o lunga che sia. Sì, la storia inizia a far parte della tua vita. Magari scopri che un certo dialogo non gira a dovere: è pesante, pare un sermone, ma che cosa puoi fare?
Nel dubbio si taglia, si elimina insomma, e tanti saluti. Esiste forse un’altra possibilità: te lo leggi per bene, rileggi anche quello che c’era “prima” del dialogo e poi ci pensi. Non conosco altro metodo che questo. La storia non deve rendere migliori gli altri (se “essi”, i lettori, non hanno a cuore se stessi, perché diavolo dovrei occuparmene e preoccuparmene io?). Deve funzionare. Deve essere interessante e non ammazzare di noia il lettore; e non è facile.

Un po’ di tempo fa mi sono letto “Illusioni perdute” del grande Balzac. Si tratta in realtà di tre libri, ma non è di questo che voglio parlare adesso.
Il punto è che quell’ottimo romanzo è stato scritto in un’epoca ormai lontana dalla nostra. Scrivere in quel modo, adesso, vuol dire odiare i lettori. I tempi sono cambiati; ecco perché alle elucubrazioni dei personaggi è meglio sostituire un bel dialogo; oppure tagliare (di nuovo, lo vedi? Il “taglio” è fondamentale nella scrittura; come nel bosco).
Cosa c’entra il bosco, adesso? Cosa c’entra il bosco con la scrittura? Tantissimo: praticamente sono gemelli separati alla nascita.

Il bosco lasciato a se stesso, è di fatto potenzialmente pericoloso. Vivo in Liguria, e le piogge dello scorso anno hanno provocato un mezzo disastro sulle strade provinciali. Solo di recente la strada che collega la frazione di Stella San Martino con quella chiamata Madonna del Salto è stata riaperta: perché era sprofondata. Anche quella alle spalle di Maschio, in località Naso di Gatto, che era crollata travolgendo l’abitato abbandonato di Cà di Ferré, è stata ricostruita interamente e adesso la si può percorrere.
E questo succede (anche) perché i boschi sono completamente abbandonati. Gli alberi muoiono e nessuno li taglia; schiantano al suolo e nessuno se ne preoccupa. Ettari ed ettari sono abbandonati da decenni e il risultato è che ormai viviamo all’interno di un ambiente che in determinate condizioni (estreme) diventa incontrollabile e pericoloso.

Visto? Ho iniziato a parlare del #progettoIOTA, e finisco col parlare di boschi: non è meraviglioso?
Ma torniamo al romanzo.

Naturalmente ho già iniziato a scrivere la seconda parte che inizia dove finisce la prima. Ma di questo parlerò in altre occasioni.
Uno dei pericoli che ho cercato di scongiurare è stato il “sermone”.
La retorica.
Non è stato semplice, perché era indispensabile distanziarsi e avere uno sguardo che ha a cuore la storia. E attenzione: la storia ha una sua economia e o la rispetti, oppure rischi un mezzo disastro. Perché si potrebbe credere che proprio per la storia devi scrivere così, perché magari è successo davvero così.
Non importa come sia successo. Non importa che sia accaduto proprio così. Se l’economia (di un Paese) dice: “Guai a fare debiti, perché poi te ne pentirai amaramente”.
L’economia di una storia dice: “Guai ad annoiare un lettore. Ti mollerà alla velocità della luce”. Ed è vero.

Leggere Balzac è stato dannatamente utile perché:
- è sempre utile leggere Balzac
- capisci, leggendolo, che cosa devi evitare. Non annoiare il lettore.
Ci sarò riuscito?

La risposta potranno darla solo i lettori (soprattutto le lettrici: in Italia, si sa, sono le lettrici che sostengono l’asfittica industria editoriale), nel prossimo mese di dicembre.
Un romanzo che ha richiesto anche un po’ di ricerche storiche, perché ci sono dei rimandi al 1943 (ma come ho già dichiarato, è ambientato negli anni Ottanta), e per questa ragione mi sono dovuto documentare su quanto è successo sia nella provincia di Savona, che altrove.

Come al solito ho condotto la faccenda da perfetto suicida.
No, non ho studiato il mio pubblico (anche se un po’ lo conosco. È formato soprattutto da donne, dai 35 anni in poi). Né mi sono seduto al tavolino per capire se questa storia ha un suo pubblico (ce l’ha quasi certamente), e quanto ampio (credo sia risicato). Come sempre io bado al sodo, e guardo sempre al mio motto:
Prima la storia, poi il lettore
Che come sanno tutti mi ha garantito vendite stellari e successi difficilmente replicabili. Ho dovuto cercare di capire per esempio in quali categorie inserire il romanzo, su Amazon. Grazie a un amico, che mi ha parlato del romanzo di Fabio Geda, credo di avere azzeccato almeno una categoria; non la più “affollata” naturalmente, ma quella che magari (molto magari) potrebbe essere utile alla mia storia.

Non credo affatto che spiegare che è ambientata negli anni Ottanta sarà una buona idea, anche se lo farò. Perché gli argomenti che tratta non sono esattamente i più semplici e capaci di interessare il grosso pubblico. Sarà un piccolo pubblico che leggerà questo libro, di certo più ampio di quello che ha letto la Trilogia delle Erbacce e “L’ultimo dei Bezuchov“.

Ma non credo che sarà un libro che venderà molto di più, ma questo non vuol dire che non cercherò di fare tutto quello che potrò per arrivare a un po’ più di pubblico. Sono partito, per scrivere questo romanzo, da una immagine e per fornire all’immagine (allo scheletro) ciccia e muscoli mi sono chiesto:
E se…?

E poi ho continuato a scrivere, scrivere e scrivere. E continuo a scrivere, si capisce, ma la riflessione, il pensarci su senza fretta, è di certo fondamentale.
La SIP!!!!! …ho la sensazione che sto romanzo mi farà sentire vecchia! 😀 😀 😀
Comunque ho riso per tutta la lettura di questo post e il merito è di… Morena! 😉
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Eh, lo so. Siamo vecchi e pieni di dolori. Eppure AMO il divano 😃
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Me la ricordo la SIP, quando i telefoni funzionavano.
Hai chiamato un personaggio Aonzo? 😐
Non ho capito: tutto il romanzo è lungo 340.000 caratteri?
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No, Aonzo è una via.
Sì, siamo oltre i 340.000 caratteri
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La SIP ha colpito molto anche me, che ricordi!
La scambio di battute con Morena mi ha fatto sbellicare, siete fantastici.
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Siamo delle sagome 🤣
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Veramente una bella idea quella di inserire stralci delle conversazioni tra te e Morena. In uno c’è uno spoilerino, messo ad hoc, giusto? Comunque sono già contenta che questo romanzo – che non ho ancora letto – abbia un seguito. Quando si dice la fiducia! 😉
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Sì? Uno spoiler? Non me ne sono nemmeno accorto. 😉😃
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La SIP? Io ricordo la TIMO dalle mie parti, poi è arrivata la SIP che come dice il nome era tutt’altro che un’attività telefonica. Società Idroelettrica Piemontese, ovvero una società elettrica risarcita coi telefoni quando l’energia elettrica è stata nazionalizzata. 😀
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Qui c’era solo la Sip. Ma la luce era gestita dalla Cieli (anni Cinquanta, mi pare), e ancora adesso tra i vecchi si dice Cieli, non Enel.
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ok, come qui si timo per il telefono 😀
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Gli scambi tra te e Morena sono un romanzo a parte, alla fine li puoi raccogliere in un ebook e rivenderteli 😀
Ma poi la ascolti questa povera beta reader o fai comunque di testa tua? La domanda sorge spontanea.
La Sip… il fatto che sappia cos’è mi rende datata 😀
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Io la ascolto sempre! Sono un tipo diligente 😃
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