Il mondo di una volta nel mio prossimo romanzo


 

 

di Marco Freccero. Pubblicato il 30 novembre 2020.        

 

 

 

A dicembre uscirà il mio nuovo romanzo, autopubblicato. Sì, il #progettoIOTA Mi sono divertito a scriverlo anche perché se non ti diverti (più di 20 personaggi, ma alcuni per fortuna dicono poche battute) diventi matto. Sul serio. È ambientato nella città di Savona, nel 1987. E questa è stata anche l’occasione per riflettere su quanto è cambiato il mondo.  Eppure allora credevamo che tutto sarebbe più o meno durato a lungo. Esattamente in quel modo e in nessun altro.

Erano gli anni…

Erano gli anni del ciclostile. Delle cabine telefoniche che accettavano le monete (non solo i gettoni. Forse in quegli anni arrivarono le schede prepagate da diecimila Lire, ma non ricordo bene).  Degli elenchi telefonici corposi. Di Berlino tagliata in due e di due Germanie.  E di tante altre cose.
Eppure sono solo passati trent’anni. 
Solo?

La mia sveglia adesso è un cellulare; trent’anni fa era una… Sveglia. Quando scrivevo degli articoli, lo facevo con una macchina per scrivere, naturalmente. La mia Olivetti adesso è in soffitta, a riposare nella sua custodia nera di plastica. Le fotografie: si stampavano dopo che si erano scattate non con il cellulare, ma con una macchina fotografica (ne ho ancora due). Poi, si andava a fare sviluppare il rullino nel negozio del fotografo, e spesso (almeno nel mio caso) circa l’80% degli scatti era da buttare. I libri erano solo di carta, niente digitale.

I dischi? Vinile, a 33 oppure a 45 giri. Ricordo la sorpresa quando capitai da Sperati, il negozio di dischi in via Manzoni, e vidi che i dischi erano stati sostituiti dai CD. Doveva essere però l’inizio degli anni Novanta, anche in questo caso non ricordo bene. Naturalmente Sperati non esiste più. I dischi però stanno tornando.

Nulla di pianificato (tanto per cambiare)

Ma ora che rileggo tutte le frasi che ho appena scritto, mi accorgo che non ho alcuna intenzione di fare un elenco delle cose che adesso non ci sono più. Sostituite da altri oggetti più potenti e pratici. 
Né di scrivere che si stava meglio allora; perché non lo credo affatto. (A parte forse per la pandemia: ma in fondo era prevedibile che prima o poi saremmo andati a sbattere, vero?

A ben vedere: io e un pugno di altri amici avevamo previsto proprio in quegli anni che o il sistema si “dava una regolata”; oppure… Nulla di eccezionale, non eravamo profeti. Ma invece di andar dietro alle sirene del “Tutto va per il meglio, siamo i migliori e lo saremo sempre”, usavamo, per giudicare l’andazzo, ben altri criteri.

Come ho già detto, non c’è nulla di pianificato in questa storia che sarà su Amazon e gli altri negozi online. Non ho scritto questo romanzo perché gli anni Ottanta “si vendono”. Di certo i miei anni Ottanta si venderanno (come sempre) molto poco. E non lo scrivo per scaramanzia; è la verità. 

Né lo scrivo per alzare la curiosità: non ho studiato il pubblico, il mio pubblico, i suoi gusti, eccetera eccetera. Ho avuto un’immagine, anni fa, e quell’immagine alla fine ha trovato la storia; la sua. 

C’è questa bislacca superstizione che dice che devi studiare il pubblico, e se lo farai con attenzione e cura sarai infine premiato. Troppo semplice. 

Questa realtà che si può domare, studiare e infine comprendere mi fa, serenamente, smascellare dalle risate. E il fatto che funzioni (di rado) non vuol dire che domare, studiare e comprendere servano. Servono solo a illudere che tutte le cose obbediscono al nostro schema, alle nostre idee e alla nostra logica. E qui mi sganascio di nuovo.

Si potrebbe affermare che la mia posizione è quella, in fondo, di chi se la tira, oppure di chi pensa di essere migliore di quelli che invece, studiano appunto il pubblico, poi pubblicano e vendono circa 100 volte di più del sottoscritto.
Può darsi.

Ma io ormai so che la letteratura non obbedisce a nessun autentico criterio al di là del caso. Della fortuna. Buona parte dei classici non potevano diventare classici (secondo l’opinione di quanti videro, sugli scaffali delle librerie, “Moby Dick” o “Delitto e castigo”. E invece. Un romanzo (che sarà seguito dalla seconda e poi dalla terza parte; ma non so dire precisamente quando la seconda parte arriverà, figuriamoci la terza!) è uno strano animale. Sempre. Non lo puoi controllare perché è lui che in fondo conduce il gioco. Se ogni storia è (anche) la tua visione del mondo; essa (la storia) è sempre imprevedibile e bizzarra. E quando metti il punto alla prima parte (che uscirà a dicembre), ti rendi sempre conto che hai lasciato fuori tanto. Tutto. Forse l’essenziale.

Quindi dovresti azzerare di nuovo tutto e ricominciare da capo. Ma non lo farai. Poi inizi a pensare a come annunciare l’uscita di questa nuova storia (perché comunque il cerchio dei lettori un po’ si deve allargare, giusto?). Ma non segui le serie televisive, i dibattiti, le elezioni americane (ormai andate), e quindi ti perdi un sacco di occasioni per entrare nel “cuore degli eventi” per farti notare.
Perciò alla fine finisci con lo scrivere articoli sconclusionati come questo, del tutto privi di capo o coda. Il punto è che questo mondo pieno di immagini, di video (a proposito: conosci il mio canale YouTube?) crede (oppure credeva?) di poter fare a meno di quello strano strumento chiamato libro. Digitale o cartaceo non importa. O meglio: immaginava di incrociarlo, di renderlo ibrido, di farne chissà cosa purché quella parete di parole che si ripetono magari per due o trecento pagine o anche di più si adeguasse ai tempi nuovi. Per renderlo più affascinante, più al passo dei tempi. Della moda. Magari rendendolo… Leggibile, come con gli audiolibri. 

Se tornano i dischi…

Mi chiedo come si faccia ad ascoltare qualcosa nella propria testa con una voce che non sia la MIA.
Sia chiaro: gli ebook ibridi ci saranno, avranno successo e sarà pure colossale. Tra cinque anni, probabilmente avranno spedito in un angolo il libro cartaceo; o forse no. E come sempre parlo di tutto tranne che del mio prossimo romanzo.  Ma se tornano i dischi, forse il libro (cartaceo e solo cartaceo), potrà tornare ad avere più peso di prima? Potrà, orgogliosamente, ribadire il proprio ruolo e la sua natura così decisamente poco sociale? 


In realtà non ne ho la più pallida idea, e naturalmente non intendo certo affermare che proprio il mio sarà l’alfiere di chissà che cosa. Spesso scambiamo (è comodo e bello), il progresso tecnologico per il nostro progresso; ma noi siamo rimasti un po’ indietro. E forse questa arretratezza che ci spingerà ad aprire di nuovo i libri (cartacei e non), e a ficcarci dentro il naso. Per scoprire che il mondo di una volta non se ne era mai andato. Aveva solo cambiato taglio di capelli e vestito, ma è sempre lui. 

Sì, perché non è affatto il mondo di una volta (a dispetto del titolo di questo articolo). Al di là del progresso tecnico o tecnologico, è sempre il solito mondo. Sul serio.

Elaborazione in corso…
Fatto! Sei nell'elenco.

12 commenti

  1. Gli anni ottanta sono sempre attuali, costituiscono un’epoca in cui la vita sembrava più facile, ma forse era solo un’illusione, perché il mondo non cambia mai 😉

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  2. Tanta tecnologia e oggi la gente non ha più tempo per fare nulla. Strano, no? A quei tempo avevamo tempo per fare tutto.
    Io conservo ancora un po’ di quei gettoni. E le monete d’argento da 500 lire te le ricordi? Ho anche quelle 😀
    Mi piacerebbe scrivere un romanzo ambientato fra gli anni 50 e 70 a Roma, raccontando il mondo di una volta che a me piace più di quello odierno.

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  3. Già, il tempo. Ha ragione Daniele: come mai siamo tanto più aiutati dalla tecnologia e ci sembra di avere sempre meno tempo? Non ci sarà forse qualche piccola svista nel piano del progresso? Tra l’altro il tempo si presta bene ai paradossi: ho notato che riesco a sentire di avere tempo soltanto se smetto di andare di fretta. Perfettamente illogico. 🙂

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