Come fai a mettere la parola “Fine” a una storia?


 

di Marco Freccero.
Pubblicato il 21 dicembre 2020.

 

 

Torno su questo argomento (che in parte, ma solo in parte, ho affrontato poco tempo fa in questo articolo dal titolo: “La scrittura del finale di una storia (secondo me”). E lo faccio perché una domanda nei commenti, da parte di Nadia Z., mi induce a proporre lemme riflessioni. 

Io allora le ho risposto naturalmente, però mi sono anche ripromesso di parlarne in modo più esteso perché l’argomento forse può interessare. E persino uno scarpone come me ha qualcosa da dire al riguardo.

Mi pare però ovvio prenderla alla lontana.

Che ci vuole a scrivere racconti?

Nelle scorse settimane ho concluso la lettura di “Calendar of love” dello scrittore e poeta delle isole Orcadi George Mackay Brown.

Ancora lui? Ancora lui: magari mi nomineranno Console di quelle isole, a furia di parlarne (magari!). Non esiste la traduzione in italiano di quei racconti, alcuni davvero superlativi, a mio modo di vedere (“The ballad of the rose bush”; “Master Halcrow, Priest” tra i migliori). Si sa che i racconti sono circondati dalla “leggenda” che sono facili da scrivere: che ci vuole? 

Arrivi a un certo momento e metti il punto. Finito: che ci vuole (appunto)? Ma se uno è davvero uno scrittore, con tutti i crismi, scrive romanzi, che diamine! 

Ma pure in questo caso si potrebbe dire: allungo il brodo mettendoci più dialoghi, e infine piazzo il punto. Ho terminato il romanzo!

Questo è la prova che la faccenda è più complicata di quello che appare. Per rispondere alla domanda di questo paragrafo: ci vuole una testa che pensi parecchio.

Le idee non sono sufficienti

A tutti capita di sentire persone che dicono: 

Ho diecimila idee in testa. Sai quanti romanzi potrei scrivere, se ne avessi il tempo?”.

La riposta più onesta sarebbe: “Nemmeno uno”. Per intanto, sarebbe necessario alzarsi dal divano, spegnere la televisione e sedersi a una scrivania (per il 95% delle persone che parlano così: un’impresa titanica). Un sacco di gente è persuasa che le idee siano la storia, che in un certo senso la storia (breve o lunga che sia), si scriva da sé. 

Un po’ come una mucca: portala all’aperto, su un prato rigoglioso. Ci penserà lei a brucare. La sera, la mungerai e avrai il latte, il burro, dopo qualche mese i formaggi (adoro i formaggi).

L’idea è appunto un’idea. Come ripeto spesso su queste pagine: Siamo ciccia e colesterolo e non puoi raggiungere questi elementi con le idee; ma con ciccia e colesterolo. 

Tutto all’interno della storia deve rispondere a una logica, anche se il personaggio non ha una logica. E poi non dimentichiamo che il personaggio non è mai, in nessun caso un burattino al quale posso fare qualunque cosa (se è un tipo riflessivo e non perde mai le staffe, non deve perderle tre paragrafi dopo perché deve passare, che so, sotto una scala. Se accade senza una spiegazione, una logica: abbiamo un problema).

Frodo (parliamo brevemente de Il signore degli anelli) nel momento decisivo non vuole gettare l’anello nel fuoco del monte Fato; sì, è un colpo di scena, però ha una sua logica evidente. La sua natura è stata lentamente corrotta dall’anello e noi abbiamo visto il suo decadimento fisico lungo le pagine. Benché “sorprendente”, il suo rifiuto non ci coglie del tutto impreparati. Proprio perché il signor Tolkien ci ha pensato: a lungo.

Ma torniamo all’interrogativo di questo articolo (però avevo avvisato che la prendevo un po’ alla lontana, giusto?).

Perché si scrive una storia

Una storia si scrive perché succede qualcosa; breve o lunga che sia non importa. E a un certo punto si arriva (finalmente) al suo cuore. Ma non è detto che sia all’ultima pagina, all’ultimo paragrafo, o all’ultima riga. C’è da qualche parte una rivelazione che forse il protagonista coglierà: forse no. Ma è per quella rivelazione che si è scritta quella storia (racconto o romanzo che sia).

Citando me stesso (spiacente, ma ogni tanto lo devo fare), credo che nel racconto “Il lupo cattivo”, dentro la mia raccolta “La follia del mondo”, la rivelazione sia proprio nell’ultima frase:

Non c’è al mondo un posto sicuro, quando il lupo è a caccia”.

Tra l’altro credo sia uno dei migliori racconti che io abbia mai scritto.

Copertina La Follia del Mondo

 

Il protagonista va a trovare sua figlia (lui un tipo ordinato, tutto d’un pezzo). E trova la casa della figlia in un caos totale. Vive nel disordine, con i piatti da lavare, non si cura del riscaldamento guasto. Ha un modo di affrontare la vita all’opposto del padre, e l’essere uscita di casa ne ha svelato una natura… Anarchica? ma se lui credeva che vivere a modo suo fosse una garanzia: si sbaglia. Non esiste alcuna garanzia.

Quando la storia è così, quando cioè la “rivelazione” arriva nell’ultima riga, è una pacchia. Ma non succede sempre così.

Ancora una volta citerò me stesso e in particolare il racconto “Intelligenza” sempre racchiuso ne “La follia del mondo”.

Una donna che vive sola, in un appartamento sotto il livello stradale. Uno di quegli esseri ai quali non diamo alcuna importanza perché non lo sono. Lavora, non le pagano lo straordinario, è una donna rassegnata al suo destino.

Un uomo, cerca di imporle una specie di pizzo: se non vuole che la sua casa sia svaligiata, deve pagare la protezione. Lei eccetta, naturalmente (no, non pensa nemmeno a rivolgersi alle autorità. Quella è una faccenda che riguarda “gli altri”).

Un vicino di casa, che la spia perché innamorato di lei, le fa un favore: ammazza il tipo. Questo è il finale:

Arianna lo sentì salire gli scalini, poi udì la porta di casa aprirsi e richiudersi quasi subito. Si lasciò cadere sulla sedia e vide la rosa. Provò l’istinto di balzare in piedi e gettarla via, ma non si mosse.

Esatto, non è qui il cuore della storia, naturalmente; ma molto prima. All’incirca qui:

Non si offenda però. È anche tanto stupida.

Questo era il cuore della storia. Arianna (il nome della protagonista) è vista da tutti come una stupida; intelligente magari, ma sostanzialmente stupida. Non perché lo sia; ma perché un certo tipo di persone, che non alzano mai la voce, sono considerate automaticamente in questo modo. Fissato questo (un sacco di gente penserà che il cuore sia altrove, ma si capisce!), si deve “solo” arrivare al finale della storia. Ma a quel punto è tutta discesa (be’, quasi). 

Lei doveva restare sola come era sempre stata, con la sua piccola dignità che non le serve a nulla (salvo che a tenerla distante dall’orrore). 

In un certo senso, il finale è una convenzione. Anzi: lo è di certo. Non è lì che si gioca la storia (nella maggior parte dei casi), ma appunto prima. Occorre, a mio parere, cogliere il cuore della storia, portarlo a galla. Se ci riesci, quel punto è fatta.

C’è però da aggiungere un elemento alla riflessione che faccio. Io scrivo una storia e porto a galla quello che mi sta a cuore.

Ma il lettore? Il lettore probabilmente penserà che io intendessi altro. Per esempio questo (sempre tratto da “Intelligenza”):

Mi scusi eh, ma lei, chi è? Nessuno. Non è una di quelle persone che se fanno del male, subito arriva l’avvocato che la aiuta a preparare un bel rimorso e poi lo presenta in televisione e dice a tutti: “Qui, signore e signori, abbiamo un bel rimorso. Non possiamo essere davvero duri con questa persona”. No. Lei va dai Carabinieri e appena dice loro dove abita, capiscono al volo chi è lei. E pensano: “Eh, va bene. Ma non è una di quelle persone lì, che si presentano sempre con il rimorso in tasca”. E fanno poco e male. Perché mica crederà che piazzano una pattuglia qua davanti. E chi siamo noi, magistrati, onorevoli, senatori?

Vale a dire: la disparità sociale. La diseguaglianza. Che lo creda pure, ma non ho scritto quel racconto per parlare di un argomento del genere. Bensì per ricordare che queste persone marginali ci sono, ci saranno, e saranno sempre disprezzate. Derise.
Ma loro continueranno a comportarsi esattamente così.

 

P.S. Ci si rivede al nuovo anno. Buon Natale e buon 2021!

Elaborazione in corso…
Fatto! Sei nell'elenco.

11 commenti

  1. La fine è importante, ma anche il percorso per arrivare a quella fine può essere molto importante.
    Un romanzo o un racconto deve tendere all’armonia tra questi elementi.
    Riguardo alla scrittura per riuscire a scriverlo serve molta determinazione per alzarsi dal divano e passare ore al pc per sviluppare l’idea che vuoi scrivere, quindi sono perfettamente d’accordo con te, puoi avere mille idee ma se non le metti sulla pagina con il duro lavoro resta tutto nell’aria come appunto un’idea…

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  2. Le storie hanno necessità del punto finale. Per me, come ho spiegato altre volte, il finale è già scritto prima di cominciare, quindi il punto fermo non è un problema.
    Ricambio gli auguri. Serene festività

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  3. Interessanti queste tue considerazioni sul finale. Ho sempre avuto l’impressione che il succo della storia arrivasse davvero alla fine, ma può non essere così. Se non ci sentissimo, tanti auguri!

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  4. Non sono convinta ci sia sempre una “rivelazione” da cogliere. A volte si scrive una storia solo per il gusto di scriverla, quanto per il gusto di leggerla.
    Buon Natale e Buon Anno dunque! 🙂

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