L’uomo nuovo – Tre racconti di Solzenicyn


 

di Marco Freccero.
Pubblicato su YouTube il 21 gennaio 2021.
Ripubblicato su questo blog nel medesimo giorno.

 

 

 

Oggi andiamo alla scoperta di un libro di tre racconti dello scrittore russo Solzenicyn.

Buona lettura!

 

 

“L’uomo nuovo” è il titolo di questo libro di Aleksandr Solzenicyn che racchiude tre racconti, in meno di 120 pagine. L’editore è Jaca Book mentre traduzione e note sono a cura di Sergio Rapetti.

Questi tre racconti, il primo si intitola “Giovani e forti”; il secondo “Nasten’ka”, mentre il terzo è “La confettura di albicocche” sono ambientati nell’amata Russia, ma i primi due sono stati scritti o iniziati quando Solzenicyn risiede ancora nello stato del Vermont, Stati Uniti d’America. E sono ambientati negli anni Venti del Novecento, quando la Russia era impegnata nell’impresa di forgiare l’uomo nuovo.

Ma con quali esiti?

Il primo racconto narra di un professore universitario e di un allievo per nulla portato allo studio. Il primo crede nell’istruzione, ma ripete a se stesso che non tutti i giovani sono uguali, e che alcuni dovrebbero essere lasciati fuori da questa pretesa del partito comunista di fornire a tutti uguale istruzione. Decide di aiutare comunque quel giovane a superare un esame particolarmente difficile (per lui).

Dopo qualche anno il professore viene arrestato: con quali accuse? Non importa: in quegli anni, in Russia, ogni uomo o donna o era colpevole di qualcosa, o lo sarebbe presto stato. E chi trova a interrogarlo nella prigione? Quell’allievo poco incline allo studio che però ha fatto carriera.

Il finale è terribile: il professore, pur di salvarsi, accetterà di diventare una spia. C’è da costruire l’uomo nuovo, e costui sarà appunto: una spia.

Nel secondo abbiamo due donne come protagoniste: in apparenza si tratta di due parabole molto diverse. La prima si adegua e accetta tutto pur di vivere e sopravvivere, qualunque compromesso va bene pur di restare in vita. La “donna nuova” non è molto diversa da quella precedente, quando c’era lo zar.

La seconda è un’insegnante che vorrebbe insegnare ai suoi alunni la bellezza della letteratura russa. Ma le direttive del partito comunista sono tali che il suo impegno non può che essere votato al fallimento. C’è da costruire l’uomo nuovo, basta con la letteratura borghese e provinciale.

Infine il terzo racconto: si apre con la lettera di un povero ragazzo, figlio di contadini, spedito nei Gulag, i campi di lavoro forzato creati dagli zar e perfezionati dal regime comunista, a uno scrittore di regime. Gli chiede aiuto, descrivendogli le violenze subite da lui e dalla sua famiglia.

Dallo scrittore non riceverà mai alcuna risposta, ovviamente. Ma in una dotta conversazione con un paio di suoi simili, lo scrittore apprezzerà lo stile di scrittura semplice, immediato, di quel povero ragazzo imprigionato e probabilmente destinato a morire di stenti.
Anche questo è l’uomo nuovo: non vede affatto l’orrore di cui è protagonista, complice, carnefice. Forse il migliore dei tre di questa raccolta.

C’è forse una punta di amarezza, e tanta durezza, in quello che scrive Solzenicyn, perché lui in gioventù, è bene ricordarlo, aveva creduto nel comunismo, nel suo sogno di costruire appunto l’uomo nuovo e quindi un mondo nuovo.

Questi piccoli racconti sono come una fredda operazione chirurgica, nella quale l’autore russo affronta la disillusione e poi la resa dei protagonisti che, esattamente come lui, avevano avuto fiducia nel comunismo, nella sua capacità di rigenerare il mondo, rendendolo migliore.

Un mondo dove il materialismo, la pianificazione e l’uniformità di pensiero deve per forza stritolare qualunque desiderio di bellezza e di libertà, di sogno, esattamente come avviene nel mondo occidentale, anche se con altri mezzi, e che per questo sarà duramente criticato da Solzenicyn.

Alla prossima e: non per la gloria, ma per il pane.

7 commenti

  1. C’è sempre il folle sogno di creare una società giusta e perfetta in ogni organizzazione, il comunismo e il capitalismo sono due esempi, entrambi portati alle loro estreme conseguenze portano aspetti negativi e aberranti.
    Anni fa lessi un romanzo intitolato Un’altra vita di Trifonov (non so se è scritto bene mancherà qualche j) descriveva la vita quotidiana di alcune famiglie russe, quello che emergeva era l’infelicità legata alla mancanza di una propria affermazione individuale, dover essere uguale agli altri con regole imposte uccideva la gioia di vivere.

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  2. Io sono ancora immersa nelle ambientazioni di Anna Karenina, quindi molto prima dell’idea dell’uomo nuovo, anche se Tolstoj fa scrivere a Lèvin un libro su come dovrebbe essere la nuova agricoltura in Russia, contro l’idea di altri proprietari terrieri che vedono nei contadini solo dei porci arraffatori… Essendo io nipote di contadini, non l’ho digerita bene bene eh. 😉

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