Perché Raskolnikov uccide la sorella dell’usuraia?


Fedor Dostoevskij

 

 

di Marco Freccero.

Pubblicato il 15 marzo del 2021.

 

 

 

 

Perché Raskolnikov uccide la sorella dell’usuraia?

Potrebbe apparire una questione di lana caprina: succede. Doveva succedere.

Non poteva fare altrimenti. 

In parte è esatto. Ma è il risultato di un percorso che senza dubbio doveva approdare anche a quella sponda. Era del tutto inevitabile. E Dostoevskij raffigurando così un altro omicidio (non previsto), ci dice qualcosa di semplice e interessante. Come tutte le cose semplici.

Certo, Raskolnikov non vorrebbe uccidere la sorella Lizaveta. Anzi, grazie a un caso del tutto fortuito scopre che in un certo giorno, a una determinata ora, lei non sarà in casa. Quello sarà il giorno per commettere il suo omicidio. Non ha nulla contro di lei, anzi. Il suo obiettivo è appunto la vecchia Alena Ivanovna, solo lei. Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco, come dice il proverbio.

Tuttavia il problema, come dicono quelli bravi, era nato a monte.

Il problema a monte

E il problema nato a monte era il seguente: la rimozione della vecchia usuraia dalla categoria di volto. Di essere umano. Raskolnikov nelle sue lunghe elucubrazioni portate avanti in solitudine nella stanzetta “grande quanto un armadio”, ha ridotto la vecchia usuraia a un insetto. È un passaggio fondamentale, essenziale. Lui esce dal novero degli uguali; si pone la questione del perché i “Napoleoni” possano tutto, mentre invece lui, no. Ma non è sufficiente. Il passo successivo (ma forse è precedente, in realtà), è quello di rendere l’altro un insetto. Un essere senza volto, poco più di un’idea, che si può schiacciare senza alcuna remora. 

Strano (strano?) che le parole che pure usiamo per conoscere e capire, siano perfettamente in grado di ridurre l’altro a una categoria infima. Un categoria che attende infine l’annientamento. Questo dovrebbe quindi ricordarci che in realtà le parole non sono affatto quella medicina, quel toccasana che crediamo. Prima di esse c’è un essere umano che decide: per il bene o per il male.

È lui che decide che cosa fare di quelle parole. Se usarle per andare incontro all’altro; oppure per andare contro.

E Raskolnikov?

Agguantare la vita per la gola

Raskolnikov.

Lui crede di avere in pugno la situazione. In fondo l’ha pianificata. Vuole essere un nuovo Napoleone. Ha contato anche i passi che separano la stanzetta grande quanto l’armadio dall’abitazione della vecchia usuraia. Benché impacciato, debole, confuso, è convinto di aver finalmente agguantato per la gola la vita, la sua vita; e di darle una direzione potente (prepotente?) con l’omicidio. E che solo un atto del genere (purché se ne abbia il coraggio) possa permettere a uno come lui di imprimere una svolta.

Razumichin, l’amico povero come lui, è un po’ nella sua situazione. Ma lavora. Offre del lavoro a Raskolnikov (che rifiuterà naturalmente. Che farsene del lavoro quando stai finalmente per agguantare per la gola la tua vita, e darle la direzione che merita?). Resterà sempre disponibile nei confronti dell’amico, poi della sorella. È ciò che Raskolnikov avrebbe potuto continuare a essere se avesse deciso di non ridurre gli altri al ruolo di semplici insetti. 

Spostare il prossimo, retrocederlo a una categoria così infima non è semplicissimo. Benché le parole sia facili da usare (sono sulla punta della lingua), poi viene il momento della lacerazione. Del distacco dalla comunità degli esseri umani. È indispensabile un simile passaggio, perché solo quando ci si persuade di essere destinati a grandi cose, quando il proprio io si avvelena lentamente con il cibo andato a male della presunzione e dell’odio. Allora la mano è pronta a colpire. Ma non è affatto un passaggio semplice.

Quando ci si ferma? Ci si ferma?

Inesorabile

Raskolnikov non si ferma, infatti. Non può fermarsi. Quando vede la sorella dell’usuraia (che non doveva rientrare in casa) in mezzo alla stanza, la deve uccidere non solo perché è lì, e potrebbe urlare da un momento all’altro. Non solo per farla franca almeno per un poco.

La uccide perché ormai per lui gli esseri umani, una certa categoria di esseri umani, sono insetti. Anche quelli che non lo sono. Anche quelli che proprio non sono affatto insetti, fanno la fine degli insetti. Lizaveta è buona; è tiranneggiata dalla sorellastra. Ma a questo punto non ha più molta importanza. 

Se non fosse rientrata! Già; quasi è colpa sua. Raskolnikov mette a punto un omicidio e cosa ti va a succedere? Che lei rientra prima del tempo! Ma non poteva fare due o tre giri attorno al palazzo? Andare sul lungofiume? Niente del genere: torna a casa magari perfino prima del tempo!

Raskolnikov ha messo in moto un meccanismo inesorabile e questo deve percorrere una determinata strada. Non solo devono morire appunto gli insetti come l’usuraia. Devono inevitabilmente morire pure quelli che non sono proprio insetti, ma che in un certo senso non sono nemmeno… Come Napoleone. I tiepidi, quelli che non sono né carne né pesce: anche essi devono morire. Il metro di giudizio è l’uomo che prende la vita per la gola e osa; magari è incerto, barcolla. Ma osa.

Raskolnikov ha fatto la scelta e (bizzarro!), forse si rende conto che è quella scelta che adesso lo guida. Credeva di avere preso per la gola la vita, il proprio destino; invece si trova ad agire in modo inevitabile. Quasi che non potesse più esimersi dal fare certe cose, come se “adesso” fosse meno padrone della sua vita. Eppure, pensava di averne preso il controllo pieno, totale e di guidare lui le danze.

Deve uccidere Lizaveta. Se non voleva ucciderla doveva fare come Razumichin. Doveva cioè continuare a scorgere negli altri un volto, anziché degli insetti. Quando si prende questa china, si rotola. Si uccide anche chi non avevamo preventivato di uccidere.

Nessuna sorpresa

Dostoevskij non sarebbe certo sorpreso di vedere in che modo il Novecento ha eretto questa deriva come bussola, come stella polare. Credo che buona parte della sua opera letteraria sia dedicata a mostrare che cosa succede se il volto viene sostituito dalla massa.

Quando il volto viene soffocato dall’io. Quando si lacera liberamente il tessuto che ci lega agli altri per i motivi più diversi (ma sempre molto nobili, naturalmente), la catastrofe è questione di tempo. Non “se” ma “quando” arriverà. 

Quello che Dostoevskij scorgeva con sufficiente chiarezza era l’arrivo di un mondo che rendeva questa semplice idea (probabilmente era considerata da molti lettori una specie di delirio), un sistema: politico e anche militare. Una strategia insomma che sarebbe stata applicata senza pietà a milioni di “insetti”. Ma anche tutti quelli che per le ragioni più differenti si trovavano nel posto sbagliato, sarebbero stati spazzati via come cimici. Ed è puntualmente avvenuto.

In fondo, quando si realizza l’uguaglianza (tutti insetti), il passo successivo è l’inevitabile ricorso alla violenza. Ma qui a questo punto bisognerebbe parlare di George Orwell. Un’altra volta, magari.

Elaborazione in corso…
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13 commenti

  1. Tutte le volte che penso a Raskolnikov non riesco a non pensare al film di Woody Allen “Match Point”. Se non l’hai visto, devi rimediare, subito. C’è un legame profondo tra il film e il libro di Dostoevskij, tanto è vero che il protagonista legge proprio Delitto e Castigo in una scena). Solo che Woody Allen introduce un elemento in più: la fortuna. Il film inizia con questo monologo del protagonista Chris Wilton, insegnante di tennis, ex giocatore professionista: “Chi disse “Preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no, e allora si perde.” C’è proprio la pallina che batte la rete in cima e non si sa da che parte andrà.
    Non voglio spoilerare troppo, ma ad un certo punto Chris si trova ad uccidere per non rischiare il proprio matrimonio con una ricca ereditiera e perdere i privilegi acquisiti. Nell’uccidere, ci va di mezzo una vicina di casa della vittima, esattamente come la sorella dell’usuraia, con la differenza che la uccide di proposito per depistare le indagini, far credere sia una rapina andata male. Trafuga dei gioielli e li lancia nel fiume. Un anello farà esattamente come la pallina da tennis e deciderà le sorti di tutto.
    Posso dirti che c’è il Delitto, ma siccome c’è anche la Fortuna, non ci sarà il Castigo. 🙂

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