L’unico uomo nuovo è il principe Myskin?


 

 

 

di Marco Freccero. Pubblicato il 17 maggio 2021.

 

 

 

 

A mio parere, l’incipit de “L’idiota” che sto rileggendo (che sto rileggendo mentre scrivo queste righe. Probabilmente lo avrò terminato quando tu le leggerai) non è male. È inferiore a quello di “Delitto e castigo” (forse il migliore di Fedor Dostoevskij), ma superiore a quello de “I demoni”.

Come in “Delitto e castigo” le prime frasi, i verbi, rappresentano il movimento. Là il buon Raskolnikov scendeva le scale, usciva, camminava. Invece ne “L’idiota” siamo in treno (proveniente dalla Svizzera), e ci stiamo avvicinando a tutto vapore a San Pietroburgo.

Quanti incontri

E già in treno il principe Myskin (il protagonista di questa storia), chi ti va a incontrare? Lebedev e Rogozin. 

E di chi farà la conoscenza (non ancora diretta)? Esatto: di Nastasja Filippovna, il vero centro di attrazione, il catalizzatore del romanzo (o almeno: uno di essi).

Poi il principe finisce a casa del generale Epancin per incontrarne la moglie (forse una sua lontana parente?), e lì di chi si finirà per parlare? 

Corretto: ancora di Nastasja Filippovna, e pure di quello che potrebbe diventare suo marito. Di quest’ultimo non solo si parla: ma è proprio lì, ben presente.

Qualcuno potrebbe dire: troppe coincidenze. Non lo so. Diciamo pure che non mi interessa troppo, anche se a me pare che siano effettivamente eccessive, e tutte che capitano in un lasso di tempo decisamente breve: ma è davvero importante?

Il magma di una società malata

Quello che nei primi capitoli di questo romanzo emerge non è tanto la figura dell’idiota (cioè del principe Myskin), che semmai si delineerà meglio nel prosieguo (anche se già dal capitolo VII il principe inizia a mostrarsi meno banale di quanto potrebbe apparire).

C’è un magma di cui Nastassja Filippovna è la vittima. Una società malata (di prevaricazione, di violenza) che considera gente come il principe Myskin malati. Mentre guardando a se stessa, ritiene di godere di ottima salute (o di stare bene).

Il principe, ormai guarito (?) torna in Russia dalla Svizzera, che non è certo un paradiso. Nella civile Europa il principe ha assistito (ma a Lione), a una decapitazione tramite ghigliottina.

Nel piccolo e ameno villaggio svizzero, ha assistito alla violenza che i cittadini hanno messo in moto contro una giovane. Sedotta e abbandonata, dileggiata dalla madre, poi dal prete (quando la donna morirà), infine da tutti, compresi i bambini. Solo il principe “idiota” riuscirà a parlare ai bambini e a convincerli ad avere pietà di quella ragazza, che infine morirà di tisi.

Non credo che sia un caso che Fedor Dostoevskij nei primi capitoli di questo romanzo voglia stabilire subito la sostanziale “uguaglianza” tra l’evoluta Europa dei diritti, che ha dichiarato guerra alla superstizione e profonda fede solo nel progresso, e dove buona parte della sua civiltà si vede nell’adozione della ghigliottina (un mezzo più “umano” per uccidere). E la Russia che guarda sì all’Europa, ma che coltiva dentro di sé lo stesso odio o disprezzo per i deboli.

E in entrambi i casi i deboli sono le donne. Solo che la ragazza svizzera è remissiva, e morirà felice di aver ritrovato un po’ di amore; ma non Nastassja.

Ancora non si vede, ancora non la conosciamo, ma pare proprio che con lei cammini la furia. Il fuoco. 

Lei è stata il giocattolo di un ricco possidente di nome Totzki che si era deciso ad adottare sia lei, bambina, che la sorella (che però morirà), perché rimaste orfane e senza mezzi. Scoprendone un giorno la bellezza (perché le bambine crescono), diventerà per un po’ il suo trastullo.

Una mina vagante

Lui poi se ne andrà a San Pietroburgo (tutto si consuma in provincia, lontano da occhi indiscreti), perché ormai ha una certa età (circa cinquant’anni), ed è ora di mettere la testa a posto. Cerca una moglie che dovrà essere buona, devota, eccetera eccetera.

Ma a San Pietroburgo piomba proprio Nastassja che ha saputo delle sue intenzioni. Vuole far saltare in aria i suoi progetti, creare scandalo, rovinarlo. 

Proprio lì, nella grande città che dà del tu all’Europa civile (o almeno ci prova), e dove le forme, la civiltà, i bei modi devono essere difesi a ogni costo. Mentre questa giovane donna vuole in un certo senso dare alle fiamme ogni cosa.

Ha letto, studiato (il suo “benefattore” non immaginava che lo studio producesse simili effetti collaterali). E cosa intende fare?

Rovinarlo, appunto: a costo di finire in Siberia. Probabilmente questa donna ha ben chiaro che cosa fare, e le conseguenze: ma non le importa un bel niente. 

È divorata da una volontà che distrugge.

Solo vendetta?

Attenzione però: è vendetta certo, ma anche molto di più di una vendetta. Non credo che questo personaggio agisca così solo perché ha subito violenza e ingiustizia e vuole farla pagare al proprio carnefice; o perché per tutta la vita rischia di restare comunque soggiogata da un sistema che fa della violenza e della prevaricazione (e del denaro), il suo unico credo.

In fondo, potrebbe farsi andare bene l’offerta di Totzki, che si appoggia nelle trattative al generale Epancin: un bel matrimonio, una somma di denaro ma non per riparare chissà che cosa. Si tratterebbe di una specie di dono. In cambio, Nastassja dovrebbe solo cercare di tornare a essere ragionevole. Lasciare quindi che il possidente Totzki possa finalmente sposarsi con una delle tre figlie del generale Epancin, per godere delle gioie del bel mondo.

Io credo che Nastassja agisca in questo modo perché ha compreso da un pezzo di vivere in un sistema che non permetterà mai la libertà e il rispetto. L’unico modo per cambiarlo davvero è: il metodo del principe Myskin.

Non l’amore di questo o quell’altro uomo, che sono espressioni di un sistema malato. Un sistema che si puntella sul denaro, sulle forme e sul formalismo. Che davanti ai begli occhi della società di San Pietroburgo richiede di recitare la parte delle persone perbene, serene, fedeli e posate. 

Perché per anni ci si è sfogati in campagna con le ragazzine.

Ma è necessario un uomo nuovo, che non è certo l’uomo nuovo dei socialisti che in Russia, in quegli anni, facevano proseliti. Semmai, è quello del principe Myskin.

Un uomo che ha conosciuto e conosce la malattia, che sa riconoscere la sofferenza degli altri da uno sguardo, da una fotografia. 

Ne parlerò ancora.

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