L’idiota di Dostoevskij e il capolavoro della scimmia


 

di Marco Freccero. Pubblicato il 24 maggio 2021

 

 

 

 

Parliamo ancora de “L’idiota” di Fedor Dostoevskij. Il principe Myskin come “uomo nuovo” capace di riformare un’intera società? Ha senso questa “proposta” di Dostoevskij? Assolutamente no.
Fedor non sta dicendo che l’unico uomo buono possibile su questa Terra debba essere malato e aver conosciuto la sofferenza, o meglio: non è tutto qui.  Perché se lo fosse sarebbe in realtà ben poca cosa. Credo che “L’idiota” contenga molto altro, e che io non sia in grado di raggiungerlo, né ora, né mai. Ma ci provo comunque.

I soliti personaggi di Fedor

Il primo incontro tra il principe Myskin e Nastasja Filippovna non è certo dei migliori: gli dà dell’idiota, oltre a scambiarlo per il maggiordomo. Lei piomba nella casa di quello che dovrebbe diventare suo marito: Ganja (per mettere tutte le cose a posto lei deve appunto sposarsi). È una casa dove alcune stanze sono date in affitto, e una è appunto occupata dal nostro principe. Ma in questo appartamento c’è pure il padre di Ganja, un ufficiale a riposo, che è svampito assai: inventa episodi, oppure quello che gli capita di leggere sul giornale lo applica disinvoltamente a sé, come accaduto a lui medesimo; eccetera eccetera. In questa casa abitano altri ospiti e lì soprattutto abitano la sorella di Gavril Adalionovic (Ganja è il diminutivo), e la madre, e lui le tiranneggia entrambe.

La grande detonazione

Nastasja in questo episodio dimostra la forza, la cattiveria, la volontà feroce di adeguarsi al sistema che l’ha umiliata per anni; agli inizi tratta il principe come uno straccio. Ma assieme a questo, manifesta la determinazione ad andare oltre.  Allo scopo di creare la grande detonazione. Tanto per cominciare, lei sa bene che piombando nella casa di Ganja lo avrebbe messo in grandissimo imbarazzo. E lo fa apposta:il suo futuro marito è un tipo ambizioso, e non tollera che la sua condizione reale finisca per essere conosciuta da tutti. Certo: siccome si dovrebbe sposare è inevitabile la conoscenza dei suoi genitori, ma in realtà lui aveva un piano per “nascondere” il padre. Così come Nastasja fa apposta ad aver annunciato la sua decisione definitiva (sì o no al matrimonio) proprio la sera dell’arrivo del principe a San Pietroburgo. Ma lo fa solo per torturare meglio Ganja, e non solo lui ovviamente.

Colpi di scena

Tutto dipende da quel sì, o no dunque. E il principe, che ha riconosciuto in questa donna una specie di sofferenza unica, un mistero forse, decide di presentarsi a casa sua, la sera; benché non sia invitato. Ma non importa: riuscirà a entrarvi senza problemi.
Ancora una volta è lei, Nastasja il centro di attrazione. Tutti, in quella sera (tutti coloro che sono in qualche modo implicati), sono nella sua casa. Lussuosa, che però non appartiene a lei, perché Totzkij (l’uomo che ha abusato per anni di lei) con il lusso sperava di liberarsi della follia di quella donna, ben sapendo che le agiatezze inducono le persone a usare una condotta prudente.

Proprio per evitare di perdere tutte le comodità acquisite. 

Ma Nastasja non è una donna come le altre, non è un essere comune. È perfettamente in grado di rinunciare a ogni cosa, all’istante, a vivere sulla strada o in Siberia. È una mina vagante, sempre e comunque. In questa casa succede di tutto un po’: piomba Rogozin e la sua allegra brigata con 100.000 rubli con cui comprare Nastasja. Salta fuori che il principe (sì, il nostro principe), ha un’eredità favolosa (un milione e mezzo di rubli?), e lui offre il matrimonio a Nastasja. E lei lo rifiuta. Certo: riconosce che lui è l’unico uomo vero che ha mai incontrato.

Ma preferisce andarsene con Rogozin, non prima di aver preso il pacco dei 100.000 rubli e… Non dirò che cosa ne farà, ma credo che sia una delle scene più belle del romanzo.

Il capolavoro della scimmia

Così si chiude la prima parte del romanzo. Nastasja fugge con Rogozin, verso la festa.  Perché Nastasja rifiuta la proposta di matrimonio da parte del principe Myskin? Non perché la storia finirebbe subito (al contrario). 
Semplicemente perché al di là delle ovvie obiezioni (davvero lui sarebbe sempre così? Davvero lui mai le rinfaccerebbe il passato? Lei non ne è affatto convinta) ha sviluppato verso la realtà, la sua realtà, una completa e totale diffidenza. Forse potremmo anche chiamarlo nichilismo.
Non crede a essa, crede a un’ideologia che la stravolge, che la allontana, come tutte le ideologie, dalla realtà. Lei è disposta a tutto, anche a finire a fare la lavandaia pur di restare fedele a questa idea della vita che ha creato. 

Sognava quell’uomo, quel principe un po’ ingenuo, quando nella tenuta di Totzkji attendeva che il proprietario tornasse per trastullarsi con lei. Ma ormai quello è un sogno che non si potrà più tramutare in realtà. Perché Rogozin, la sua volgarità (la compra per 100.000 rubli), dopotutto è dannatamente divertente. La bruttura di Rogozin (che comunque a suo modo ama Nastasja alla follia, infatti si procura quei soldi a un tasso di interesse da infarto), seduce. Quello che Fedor sembra ricordare è che il male ha un suo fascino; una sua bellezza.

Che cosa c’è di “bello” nell’ubriacarsi?  Un sacco di cose, in realtà. Certo, una persona ubriaca suscita disprezzo negli altri, ma è esattamente ciò che si desidera. 

Forse Fedor ci dice che quando non puoi essere un re, una regina, un capolavoro, l’essere umano può scegliere di essere il re dei buffoni (come per esempio Lebedev, uno dei personaggi di questo romanzo), la regina delle lavandaie, il capolavoro della scimmia. A modo suo, l’ubriacone crea un’opera d’arte che può essere condivisa e apprezzata solo da quanti (e sono comunque un gran bel numero) hanno veduto la bellezza; e l’hanno celebrata secondo i propri modi. Una bellezza capovolta, però.

È sempre bene ricordare questo termine che più avanti tornerà: la bellezza. È proprio in questo libro che esiste la frase più fraintesa di questi ultimi tempi. Esatto, quella relativa alla bellezza, che tutti ripetono senza avere la più pallida idea di che cosa significhi. Fedor già qui ce lo ricorda: è possibile amare la bellezza, riconoscerla, e celebrarla nella sbronza. Poco importa che dopo, o anche prima, ci sia lo schifo, la consapevolezza dello schifo, della bruttura più completa. 

Nella sbronza c’è comunque una promessa, e anche se poi ovviamente non sarà mantenuta, ci si ritornerà fedelmente e a lungo. Almeno fino a quando l’individuo non avrà scelto di considerare la propria vita non più come un’idea; bensì come una materia da costruire, ricostruire e plasmare. La prima parte di questo romanzo si chiude quindi con la fuga di Nastasja assieme a Rogozin verso quella bellezza capovolta, verso la sbronza, la dissolutezza come si diceva una volta. E con il principe Myskin che decide di inseguirla. 

È in un certo senso il trionfo dell’ideologia sulla realtà: Nastasja sembra proprio rinunciare a essere protagonista della propria vita, e insegue, con Rogozin, non la vera vita, ma la scimmia della vita. Persuasa che, anche se esiste qualcosa di meglio, e qualcosa per lei, è preferibile un Rogozin a un principe idiota.

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