di Marco Freccero. Pubblicato il 7 giugno 2021.
Si dice spesso, e a ragione, che chi racconta storie deve essere preciso, documentarsi, verificare prima di scrivere certi dettagli. È vero che magari pochi saranno quelli che andranno a verificare che in una certa data sia effettivamente accaduto quanto riportato nella storia.
Ma anche se sono pochi, è bene prendersi del tempo e fare le opportune verifiche.
Pensavo proprio a questo qualche giorno fa, leggendo il romanzo di Aleksandr Solzenicyn dal titolo “Nel primo cerchio”.
Dumas ha mai visitato una prigione?
In questo romanzo (non starò qui a dire di che cosa parla), uno dei personaggi, alter ego dello scrittore russo, a un certo punto parla de “Il Conte di Montecristo”. E gli pare impossibile che Dumas non dica una sola parola del bugliolo. E che nessuna delle guardie del castello d’If (dove l’ingenuo Dantès è rinchiuso), si sogni di verificare mai la cella dell’abate Faria, che così, per anni, può tranquillamente scavare il suo cunicolo e tentare così la fuga.
Ho letto il romanzo dello scrittore francese anni fa, quindi non ricordo precisamente se è proprio così; probabilmente sì.
Ma perché ci sono queste mancanze nel romanzo di Alexandre Dumas? Perché, e l’ipotesi ha una sua base, lo scrittore francese non è mai stato in una prigione. Non ne ha mai visitato per davvero una, non ha mai chiesto alla guardia quali erano le sue mansioni. Forse nemmeno ha mai interrogato un autentico detenuto.
Quindi ignora come i detenuti si liberassero dei loro bisogni; e che le guardie facevano ogni giorno un giro in tutte le celle per verificare che non ci fossero dei tentativi di fuga. Non si era documentato, esatto. Magari era stato nel castello d’If, ma si era “dimenticato” di chiedere di certi dettagli. E magari, sarebbero stati pure considerati sconvenienti, se li avesse riportati.
Ma la maggior parte dei lettori, di allora e di adesso, non nota queste mancanze. Si immerge nella storia, e queste cose nemmeno le immagina.
Poi però capita un Solzenicyn (mica cotica), ed ecco che vengono a galla queste mancanze.
Stella Nera, parte seconda
Quando è entrata l’Armata Rossa in Ungheria? Quindi è plausibile che sia successa quella cosa, nei mesi seguenti?
In Ungheria, c’era una minoranza di lingua tedesca? Quindi ha una base solida quel racconto che avviene in quel capitolo?
Adesso invece sto parlando della seconda parte di “Stella Nera”, il mio romanzo che dovrebbe arrivare a dicembre. Sia chiaro: si tratta di robetta rispetto a Dumas o Solzenicyn. In entrambi i casi sono appunto dei dettagli che buona parte dei lettori scorrerà con lo sguardo e poi passerà oltre. Non è nulla di fondamentale.
Però mi sono dovuto comunque documentare, e così ho scoperto che per esempio, dopo la Seconda Guerra Mondiale, milioni (sì, milioni) di tedeschi hanno dovuto abbandonare terre (e anche case dove abitavano magari da decenni, o da secoli) in Ungheria, Cecoslovacchia (che adesso si è divisa), Polonia per rientrare in Germania. I confini degli Stati furono ridisegnati, e poi un sacco di gente non li voleva più tra i piedi. Era anche un modo veloce (ma non indolore), per mettere le mani su terre che tornavano così ai loro “legittimi” proprietari, mentre i tedeschi se ne potevano andare all’inferno. Una pagina che pochi conoscono, e che io ignoro del tutto, e che naturalmente non affronterò nel mio romanzo.
Anche perché volevo parlare di altro. Succede sempre così: voglio parlare di un certo argomento; inizio. E poi finisco per andare in un’altra direzione. Per fortuna me ne rendo conto abbastanza in tempo e così cerco di metterci una pezza.
La pezza
Se l’autore è bravo (King per esempio, ma pure tanti altri), ti agguanta e ti porta via con sé. In un certo senso ti strega, ti ammalia. Pochi sono quelli che leggendo riescono a mantenere la freddezza necessaria per osservare se e quando ci sono delle inesattezze. Ecco perché (per esempio) l’editor non è un mestiere per tutti.
L’editor, a mio parere, deve avere (o forse può imparare, anche se in principio non ce l’ha?) la capacità di osservare con sguardo sereno e severo lo scritto. Ma, ripeto: non tutti hanno una tale capacità. Magari essa emerge un po’ solo dopo una seconda o terza lettura, ma temo che sia troppo tardi. Vale a dire: l’editor già al primo colpo deve essere in grado di cogliere quello che gira, e quello che invece è tirato assai per i capelli.
Proprio in “Stella Nera”, la seconda parte che ho terminato e sto rivedendo, sono riuscito (ma per puro caso), a notare ciò che non girava.
Per esempio.
Mi ero convinto che tra due personaggi ci fosse una qualche relazione. D’un tratto, il dubbio atroce. Sono andato a rileggere la prima parte di Stella Nera, e mi sono reso conto dell’errore. Ho dovuto rimediare riscrivendo due capitoli, ma adesso dovrebbe essere a posto.
“Ma ce l’hai fatta da solo!” starai pensando.
Se rileggi un sacco di volte quello che scrivi, probabilmente qualcosa salta agli occhi. Un editor, viceversa, ha un modo di lavoro, e una mente, ben diversa da chi scrive.
Ripeto: è una questione che non riguarda tanto la capacità di scrittura, di creare mondi e personaggi indimenticabili. Bensì quella peculiarità, che non appartiene a tutti, di sviscerare il testo in un certo modo. Un modo che chi racconta storie non ha; oppure ce l’ha ma agisce “a scoppio ritardato”.
Ho anche cancellato un intero capitolo (ma forse l’ho già scritto in precedenza? Boh!). Se non serve, al diavolo!
E ho anche pensato questo: forse scrivere sempre storie ambientate a Savona è anche un modo per non complicarsi troppo il lavoro.
Solzenicyn lavorava dodici ore al giorno per preparare i suoi romanzi. Ed erano ore che lui impiegava anche a documentarsi, in una ricerca estesa, complessa, che conduceva con l’aiuto della moglie, e poi quando rientrò in Russia, anche di una collaboratrice (la stessa, credo, che ne ha scritto una monumentale biografia, disponibile in italiano, che costa circa 80 euro).
Io invece mi limito alla città della Torretta. I soliti quartieri: il centro storico; Villapiana; Oltreletimbro, la Rusca, Legino, Zinola, Lavagnola, Santuario (spesso solo citati, senza che vi si svolga davvero qualche azione). Al massimo un po’ di entroterra (nei racconti della Trilogia delle Erbacce però: Sassello, Pontinvrea). E poi? Nient’altro.
D’altra parte, non sarete mica così pazzi dal credere che uno come il sottoscritto possa davvero aspirare a diventare chissà chi.
Sono un raccontastorie, e basta. Non mettetevi in testa chissà che cosa.
Documentarsi è importante, però si può anche scrivere di ciò che già si conosce, perché no?
Savona è una città che conosco poco, quindi ben venga un romanzo che parli di questa città (mica si può parlare sempre di Roma e Milano…l’Italia è piena di cittadine interessanti).
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Infatti Dumas lo ha fatto 😉
Comunque credo che anche i savonesi conoscano poco Savona…
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se non si conosce l’ambiente o la localizzazione bisogna documentarsi ma non sempre è sufficiente. Operare su quello che si conosce è meglio ma non sempre è possibile.
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Concordo. Certo che Dumas poteva farsi almeno arrestare 😉
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pensi di emulare Silvio Pellico e poi scrivere le tue prigioni?
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No, assolutamente no!
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Allora perché costringere il povero Dumas?
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Perché lui se lo poteva permettere! 😉
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capito
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Non ho letto “Il conte di Montecristo”, ho visto lo sceneggiato in tivù a suo tempo. Ma la domanda sulla prigione è interessante. Mi ha fatto pensare che nemmeno Stephen King ha visitato una cella di prigione, ma quando ha scritto il racconto lungo “Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank” (dentro Stagioni diverse) sembrava aver fatto le sue ricerche. Certo, un evaso che scava un tunnel dal muro della cella fino alle fogne con un martelletto da collezionista di pietre minerarie è un po’ incredibile, pur essendo le fogne vicine. Anche lì: possibile che nessuna guardia avesse verificato cosa c’era dietro il poster di Rita Hayworth?? 🙂
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Però non puoi fare uno sgarbo del genere a Rita…
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