di Marco Freccero.
Pubblicato il 21 febbraio 2022.
Qualche mese fa da qualche parte (non ricordo più dove), qualcuno ha segnalato un articolo sul New York Times (mica cotica. Qui si fanno letture di un certo peso). Dove si parlava di un aspetto molto celebrato, ma che probabilmente è stato sopravvalutato per molto tempo, forse troppo.
Libri e followers (tanti followers) garantiscono ben poco.
Ma è davvero una novità?
Una lotteria senza biglietti?
Non credo.
Lasciamo da parte gli esempi riportati nell’articolo statunitense.
Mettiamo da parte i libri di certe “stelle” della Rete che in Italia hanno dato alle stampe la loro biografia solo perché su YouTube avevano e hanno qualche milione di seguaci.
Pare insomma che il libro si confermi un “prodotto” guidato dalla follia. Insomma: se a Natale si vendono panettoni e io vendo panettoni (scrivo queste righe a meno di 15 giorni dal Natale 2021), so che venderò un mucchio di panettoni.
A Pasqua, colombe. Sin qui tutto è prevedibile e quasi sotto controllo.
Ma coi libri? Una lotteria dove probabilmente non ci sono nemmeno biglietti in vendita.
Eccitante, vero?
Ripeti con me: Non ci sono garanzie
Possiamo affermare che se uno conosce un poco la letteratura sa bene che uno scrittore (per esempio Melville) può diventare famoso solo dopo la sua morte.
Oppure: vendi tanto in vita (Bruce Marshall), e poi dopo la tua morte nessuno sa più chi sei.
O ancora: sei Dumas o Dickens e vendi a carrettate sia in posizione verticale che orizzontale fissa sotto un metro di terra.
Alcuni editori (negli Stati Uniti, ma pure qui), si sono illusi che se uno ha tanti seguaci, e pubblica un libro, quel libro schizzerà in alto, nella classifica delle vendite. Non è matematica, non c’è nessun due più due capace di sfornare il quattro.
Se raccontare storie è ormai una faccenda per tutti (per fortuna); vendere più di venti o 100 copie è diventato ormai una faccenda che coinvolge fattori solo in parte prevedibili e manovrabili.
Io non sono certo una “stella” della rete italiana, ma una cosa credo di averla compresa da un pezzo. Vale a dire: che il successo non è legato a dinamiche riproducibili, o meglio. Puoi riprodurle, ma il risultato è un “BOH”.
Non ci sono garanzie.
Un po’ mi sorprende che alcuni editori lo comprendano solo adesso. Non dico che io sia un veggente, o che ci sia arrivato prima di tutti. Ma, appunto: un po’ conosco la letteratura. So bene che il successo premia chi se lo merita; e chi non se lo merita.
È come la televisione: che tu abbia o no qualcosa di interessante da dire, se ci vai il giorno dopo, per arrivare alla macchina sotto casa, devi farti largo a randellate, perché tutti vogliono stringerti la mano e “conoscerti”.
E questo è qualcosa di leggermente spaventoso, probabilmente.
Che cosa ci vuole?
Sì, ci vuole il blog.
La newsletter.
Investire in annunci pubblicitari su Facebook.
Una copertina professionale.
Eccetera eccetera.
Questi sono i passi che deve compiere un autore indipendente che desidera fornire alla propria scrittura una cornice di elementi almeno passabile.
Esatto: la conversazione
E poi? E poi è nebbia.
L’ho già scritto in passato: Livio Garzanti diceva che si possono investire un sacco di soldi in un libro. Ma come e soprattutto perché diventi un best-seller, nessuno lo sa.
La “scorciatoia” delle reti sociali, imboccata da molti editori con convinzione, forse li ha chiusi in un vicolo cieco. Adesso che si continuano a sfornare libri su libri, di ogni genere, forse anch’essi si stanno rendendo conto che devono tornare a stamparne di meno. E a investire di più in una mia idea fissa piuttosto datata: la conversazione.
Se chi scrive di fatto fonda un ecosistema, questo significa che chi entra in esso deve trovare ad accoglierlo un clima adatto alla conversazione. Un clima che, come tutti gli elementi di questo genere, non ha alcuna fretta. Perché ci sono climi e climi: i tropici; il Polo Sud. E anche se tanti vorrebbero vivere ai tropici, non sono pochi quelli che amano il Polo Sud (ma sono di un numero ben inferiore agli altri, giusto?).
Quindi: Caio vende 100.000 copie (ma credo che ormai non accada più). Sempronio 50. Il primo diciamo che parla dei Tropici; il secondo del Polo Sud, e quelle 50 copie forse sono comunque un grande successo.
A questo punto io non so bene perché ho scritto un simile articolo. Se lo rileggo, mi rendo conto che, stringi stringi (come si dice dalle mie parti), parlo sempre delle medesime cose.
Se un autore riesce a costruire un ecosistema, e questo garantisce la conversazione: allora ha fatto meglio di certi editori che hanno reclutato la “stella” di certe reti sociali per pubblicare la sua biografia e portare in cassa soldi freschi.
Ma questo autore che ha lentamente prodotto il proprio ecosistema, ha fatto meglio di quegli editori che pensano: diamo un po’ di libri a questa o quella personalità della Rete affinché ne parlino: le vendite decolleranno.
Non funziona così, o almeno: non garantisce nulla tanto per cambiare.
E, sì: quell’autore indipendente ha fatto meglio anche se ha venduto solo 15 copie del suo libro.
Le vendite forse decollano solo se l’autore ha realizzato, nel tempo, quello di cui ho già accennato in precedenza. Ma tranquilli: non ci sono certezze. Per questo ho messo un “forse”.
Il futuro
In futuro (ma il condizionale è d’obbligo), le case editrici potrebbero cominciare a riflettere con più cura sui libri, o almeno su certi libri. Non dico che le autobiografie delle “stelle” della Rete spariranno; non credo che succederà tanto presto. Inoltre tutti festeggiano perché, a quanto pare, il 2021 ha visto le vendite del libri risorgere.
Ma sono quasi persuaso che alla lunga alcuni (pochi) inizieranno a pensarla un poco come me. Lo so che pare impossibile. Ma in fondo, è (quasi) sempre andato così. Pensavamo che il libro potesse essere “curato” e condotto al successo con una serie di ingredienti e pratiche uguali, riproducibili, e in grado di fornire comunque numeri di peso.
Be’, mi pare evidente che non è così. Il libro ha un prezzo, è un prodotto, ha bisogno di pratiche pubblicitarie, annunci e altro ancora. Ma alla fine è un essere bislacco.
Meglio inseguire un buon italiano (intendo la lingua italiana), che il successo. Il primo non garantirà mai il secondo. Ma staccarci dalla mediocrità di una lingua sciatta e uniforme, non è già un successo?
Grazie Marco per queste belle riflessioni, che largamente condivido, eccetto la faccenda della promozione su Facebook, come ben sai non sono così convinta che serva. Invece mi pare molto interessante la questione da te posta sull’ecosistema e sulla imponderabilità del successo. Boh! Personalmente sono piuttosto annoiata dal trend di produzione di libri e dai contenuti proposti, sempre gli stessi, sempre lo stesso “filone”. Se il tanto celebrato decollo o tenuta del mercato editoriale è legato alla scia di Youtube per capirci, allora forse si tratta di una bolla che pagheremo presto.
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Alla fine quelli che si renderanno conto che “seguire la corrente” non conduce a molto saranno sempre pochi. Molti abbandoneranno, per essere sostituiti da altri. Oppure ci riusciranno (in pochi). Costruire un ecosistema attorno a sé è una faticaccia immane, per tanti è preferibile imboccare qualche scorciatoia.
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L’equazione follower = libri venduti non esiste. E mi sorprende che gli editori se ne rendano conto soltanto adesso, almeno alcuni.
Semplicemente perché quel tipo di equazione non contiene solo le due variabili: libro=follower, ma parecchie di più.
Se l’influencer parla ci cibo, e sforna un libro di ricette, è evidente che ha molte più possibilità di vendere.
Ma se l’influencer parla di videogiochi e poi prova a vendere un libro di ricette, molto probabilmente sarà un flop.
Il prodotto libro (che brutta parola prodotto, ma commercialmente è questo) deve essere in target con il pubblico.
Ma queste sono cose elementari, chiunque fa pubblicità lo sa. E che gli editori non lo sappiano è grave. Durante un programma di Maria De Filippi le pubblicità sono di prodotti di bellezza, l’acqua che fa plin plin etc… Viceversa durante una partita del Milan le pubblicità sono automobili, assicurazioni e rasoi elettrici.
E’ chiaro che tutti coloro che seguono sui social Dan Brown, nell’attimo in cui il loro autore preferito pubblica un nuovo libro, correranno a comprarlo. Non tutti, ma in percentuale parecchi.
Poi comunque rimane una regola base. Più hai un seguito, più probabilità hai che il tuo libro si venda. Legge dei grandi numeri. Un conto è che acquista il libro l’1% di 10 mila follower (cento copie), un conto che acquista lo 0,1% di un milione (mille copie).
Ma secondo me, il vero problema della vendita dei libri è un altro. La quasi totalità dei libri pubblicati soffre di invisibilità. Cioè, quante persone vengono a sapere che un dato libro esiste? Nel momento in cui King pubblica un nuovo romanzo, ecco che ne parlano giornali, siti letterari, fioccano recensioni, le librerie pongono il libro in vetrina. In pratica, a prescindere dal brand fortissimo di King, l’uscita del suo nuovo libro ha un’altissima visibilità, è facile venire a sapere che c’è quella nuova pubblicazione.
Viceversa, per un autore self, ma anche per il 99,99% dei pubblicati da editore, la difficoltà è far sapere al mondo che quel dato libro esiste. Poi il libro può non piacere, può non attrarre la trama. Ma finché della sua esistenza ne sapranno in pochi, quel libro resterà relegato ai margini.
Gli editori, per ovviare al problema cronico della visibilità, ormai da anni hanno elaborato la pratica del pubblicare il più possibile. Alla fin fine per loro non è più importante il singolo titolo, la cosa più importante è la probabilità. Più pubblicazioni immettono nel mercato, più è alta la probabilità che qualcuno li scopra e possa nascere un passa parola.
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Però adesso è arrivata (finalmente?) la resa dei conti. Il prezzo della carta è schizzato alle stelle, e continuerà a salire probabilmente. Quindi gli editori devono per forza tirare il freno a mano (pubblicare di meno?) e magari (magari!) puntare di più sul digitale e farlo a regola d’arte. Anche se certi vizi non si perdono facilmente.
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Per me, parlando da lettrice, la scelta è oggi così enorme e dispersiva e in continuo cambiamento (fuori un autore e dentro subito un altro) che diventa davvero difficile scegliere. Bisogna andare a fiuto, perché anche se si trovano in giro commenti, recensioni o presentazioni o quant’altro, sono così tanti ma così tanti (e a volte contrastanti tra loro) che alla fine si rimane per forza disorientati. Quindi evito in gran parte la narrativa contemporanea e rivolgo i miei interessi al passato, che bene o male resta lontano dai clamori mediatici del momento.. I quali, appunto, durano quasi sempre il tempo di un battito d’ali, visto che le proposte editoriali del momento vengono ogni settimana scavalcate e sostituite da altre proposte ancora. A tutto questo bisogna sommare il rischio di imbattersi in presentazioni entusiastiche, probabilmente fatte ad arte, su libri che in realtà non valgono quel che promettono. Certo, ogni tanto anche i talentuosi riescono a mettersi in luce e a rimanere sull’onda, ma sono appunto delle rare eccezioni. Il problema è e resta nell’offerta editoriale spropositata, dove a tutti oggi è concesso di pubblicare qualcosa (basta pagare, o avere qualche appoggio strategico), fosse anche solo la lista della spesa o i pensierini della buona notte.
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Concordo. Qui si aprirebbe un vastissimo argomento da esplorare. Vale a dire: siamo certi che qualunque esperienza meriti di essere messa per iscritto? La risposta è: sì (non possiamo stabilire chi o come o cosa deve pubblicare). Il punto è che molti credono ormai di avere un diritto alla pubblicazione (che non esiste). Quindi si riversano in massa nell’autopubblicazione e usano qualunque espediente pur di vendere qualcosa. Mentre occorrerebbe prima di tutto leggere tanto; e poi forse (forse) scrivere. Ma senza inseguire il successo in modo ossessivo.
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Scrivere con il gusto di farlo bene (o credere di farlo bene, che è lo stesso) è un grande successo, altroché. Anche perché tra tutti questi “forse” e questi “boh” la voglia di scrivere può anche passare.
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Però ci arrivi, a questa “verità”, solo dopo parecchio tempo 😉
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Poi c’è da dire che non stiamo parlando di niente di necessario. Se anche, da lettore, vieni a sapere che è uscito un libro, quanto te ne deve importare? Ce ne sono tanti altri in giro, anche ottimi e più “garantiti” (fino a un certo punto). E i classici? Non puoi avere il timore di perderti qualcosa, a meno che non ci sia dietro la pubblicazione un lavorone mirato a fartelo credere. Ergo auguri a tutti gli autori. Ne abbiamo sicuramente bisogno. 😉
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Mi hanno rovinato i classici! Io l’ho sempre saputo! Se non c’erano, io a quest’ora chissà dov’ero 😉
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Argomento interessante quello del successo. Io sono una persona fatalista e sono del parere che puoi fare del tuo meglio (o un editore può fare del suo meglio) per portare al “successo” un libro ma non tutto dipende da questo impegno personale. Basta pensare agli autori del passato, ai poeti, ecc. O anche ai musicisti. C’è un fattore imponderabile che decreta il destino di una storia o di un’opera d’arte. Ci sono libri che partono male e magari dopo alcuni anni vengono scoperti dai lettori. O altri che restano nell’oblio per sempre, anche se non lo meritano. O ci sono libri che salgono subito in cima delle classifiche per poi passare nel dimenticatoio.
L’importante per quanto mi riguarda è essere a posto con la coscienza. Ovvero scrivere perché sentiamo di farlo e fare del nostro meglio per condurre le nostre creature ai lettori. Il resto non dipende da noi.
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Esatto. Aver fatto tutto quello che era in nostro potere per raccontare al meglio la storia. Poi, il resto, non dipende da noi.
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Il successo è un mistero, almeno quello dei libri, certi romanzi possono avere un grandissimo successo iniziale e poi finire nel dimenticatoio, altri restano in vetta alle classifiche per anni…
Poi ci sono quei romanzi che vengono scoperti e osannati solo dopo la morte dell’autore (che sfiga però…io se fossi l’autore mi incazzerei moltissimo, pensa che Il gattopardo – oggi considerato un grande romanzo classico – fu pubblicato solo dopo la morte dell’autore da Feltrinelli perché Mondadori lo rifiutò)
A volte però c’è anche la miopia di lavora nel campo dell’editoria, come accadde alla scrittrice di Harry Potter…
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Se ti inoltri un po’ nel marketing, capisci che il libro è una faccenda dannatamente difficile e complicata. È anche interessante e divertente, ma alla fine capisci che le tue energie è bene spenderle in altro. Magari nella lettura; o nella scrittura 😉
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Non vi sarà sfuggito (ridooo oh come rido di me…) che ho smesso molto presto di credere a qualsiasi ricetta per il successo di un libro, tutto quel bla bla di marketing che mi aveva intrippato così tanto in passato. Funziona diciamo per il minimo della decenza di una pubblicazione, ma poi non garantisce nulla; soprattutto su un mercato italiano, piccolissimo e ricco di gente che vuole scrivere più che di gente che vuole leggere. Ho smesso presto di fare promozione a Buck e Notte, non c’è neanche lontanamente paragone con le energie che ho investito nel progetto di Buck e il Terremoto, per esempio. E questo non perché sono buonina come Lupo de’ Lupis, ma solo perché mi sembrava tempo e denaro speso meglio. E sono arrivate comunque delle soddisfazioni, considerato il niente che ho fatto.
Successo. Non so bene cosa sia il successo. Mi sento molto vicina a quello che dici, Marco, sulla conversazione, anche se quello che sto per scrivere ti farà probabilmente accapponare la pelle XDDD Ho iniziato scrivendo fanfiction su Twilight e ho avuto la fortuna di essere letta; di pubblicare tante storie, tra le quali una di quaranta capitoli, che erano attese, lette, commentate. Ho riso, pianto, mi sono appassionata alle vicende di personaggi presi in prestito o creati da me, e ripeto ho avuto la fortuna e l’onore di essere letta. Avevo un gruppo di amici con i quali si passavano serate, fino a notte fonda a volte, a chiacchierare di stile, adeguatezza di un personaggio, svolte di trama, mondi e trame possibili. Sto rileggendo quella roba in questi giorni e mi commuovo, sia perché alcune cose sono decisamente buone (“Ma l’ho scritto proprio io? Ma va, impossibile!”) sia per il senso di immensa gratitudine per la gioia di quel periodo. Non mi sono mai divertita tanto. Ecco, per me quello è successo, me lo sono messo via come una delle cose più belle che mi siano capitate. Ed era appunto una conversazione, tra me che avevo voglia di raccontare una storia e gente che voleva ascoltarla. C’erano le circostanze perfette, l’ecosistema giusto. In quel periodo ho stretto amicizie che reggono ancora, nonostante l’orsaggine che mi contraddistingue ultimamente. Buck e Notte non se la cavano malaccio, ma non mi hanno dato un centesimo di quella gioia e di quel divertimento. Per inciso, la storia più “tosta” che ho scritto, quaranta capitoli, si è praticamente scritta da sola. Sapevo per istinto che in un certo punto doveva succedere qualcosa, e basta: poi improvvisavo, come se ci fosse stato qualcuno a sussurrarmi ogni capitolo all’orecchio. Alla faccia di struttura, progettazione eccetera eccetera… (come si fa a inserire una risata in un commento?)
E pensare che una volta mi vergognavo a dire che avevo scritto fanfiction! Pensa quanta importanza mi davo… Proprio vero che invecchiando molte cose cambiano 🙂 Un caro abbraccio.
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Che sorpresa! Felici di leggerti di nuovo 😀
Pure io non è che organizzo poi molto. Per “Stella Nera” ho preparato qualcosina, ma non ho pianificato molto. Ancora adesso procedo nella scrittura sapendo poco di quello he succederà nel capitolo seguente. Non parliamo poi della pianificazione vera e propria (“Studia il mercato! Studia il mercato!”). Quella continuo a ignorarla.
Un abbaraccio.
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Felice anch’io di rileggerti! Sì, guardando indietro ci si fa un po’ tenerezza. 😀
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il successo lo decreta il lettore indipendentemente dai numeri. Non sono le comparsate in TV che trasforma un pessimo — o Dio raddrizzo il tiro.. in un best seller.
Pubblicità su Facebook? Boh!.
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