Il professor Tolkien e l’evasione


 

 

 

di Marco Freccero. Pubblicato il 14 marzo 2022.

 

 

 

 

Il professor Tolkien, vale a dire l’autore de “Il signore degli anelli” e de “Lo Hobbit”, è stato considerato, e continua a esserlo, come il creatore del genere fantasy. Definizione che lui non amerebbe affatto anche perché ha preso, non so dire se sin dall’inizio oppure in seguito, la patina di qualcosa dedicato a persone che si rifiutano di crescere. Di assumersi delle responsabilità e che per questa ragione si rifugiano appunto nella lettura di determinate opere.

Almeno qui in Italia mi sembra che questo sia il modo di affrontare la sua figura, e le sue opere. Un filologo di Oxford che, invece di continuare a studiare lingue, a pubblicare dotti studi sull’evoluzione dell’inglese nel Medioevo, chissà perché si è messo a scrivere una storiella con orchi, nani, hobbit e via discorrendo. Ah, dimenticavo: c’è anche il drago ovviamente, e lo stregone. Anzi, più di uno.

Mentre in Inghilterra e negli Stati Uniti, ormai il professore è annoverato tra le grandi penne del XX secolo. Insomma: c’è George Orwell; Graham Greene; e poi John R.R. Tolkien (assieme a un sacco di altri, naturalmente).

Lo scopo delle storie

E il professore ne sarebbe contrariato perché per lui quelle sue storie avevano uno scopo ben preciso. No, non quello di arricchirlo, perché Lo Hobbit nasce per racontare delle storie ai suoi figli e poi in maniera imprevedibile finisce sulla scrivania di un editore. Mentre Il Signore degli Anelli doveva essere il proseguimento della prima storia, accolta con grande entusiasmo dal pubblico. Ma per anni il professore dovette arrangiarsi per riuscire a procurare alla sua famiglia il necessario per vivere decorosamente. Perché Oxford era una sede prestigiosa per gli studi superiori; ma non è che coprisse di denaro i suoi docenti. Chissà adesso…

Ma il cuore della letteratura tolkieniana (adoro usare queste formule che mi fanno apparire come uno davvero preparato) è il concetto di evasione, non di fuga.

Credo sia necessario un passo indietro per capire.

La modernità e il professor Tolkien

Per prima cosa, occorre ricordare che il professor Tolkien era contrario alla modernità, intesa come quella spinta che non conosce limiti o confini, e che ha travolto (e stravolto) definitivamente il mondo uscito dal Medioevo (un’era di grande sviluppo, studio e progresso, e che solo chi non conosce può considerare buia) e che l’Illuminismo aveva gravemente ferito.

Non fu l’unico a essere avversario (sconfitto?) della modernità. Possiamo affermare che probabilmente buona parte degli scrittori del Novecento (e anche prima), erano sulla stessa lunghezza d’onda.

Dostoevskij, Tolstoj, Tolkien stesso, Knut Hamsun, Georges Bernanos, Simon Weil, Joris Karl Huysmans, e tanti altri non apprezzano affatto quello che sta arrivando.

Viceversa autori come Zola erano persuasi che il futuro sarebbe stato semplicemente meraviglioso.

Eppure: come si fa a essere contrari alla luce elettrica? Al telegrafo e poi al telefono? Alla radio? 

Primo problema: non sono pochi quelli che per opporsi a questa modernità che procede come un rullo compressore riducendo tutto a cosa, e alla sua sotto-categoria “cosa utile” oppure “cosa inutile”, si gettano tra le braccia dei totalitarismi. Knut Hamsun (ne ho già parlato), odia il mondo anglosassone (è stato due volte negli Stati Uniti, non parla per sentito dire), ne disprezza il sistema scolastico, e parecchio altro. Quindi? Quindi appoggia il nazismo.

Il professor Tolkien, no. Detesta Hitler perché renderà la cultura tedesca odiosa forse per sempre agli occhi di mezzo mondo, mentre al contrario è una delle più interessanti e belle a livello europeo. Detesta il comunismo (no, il fatto che Mordor fosse a est non voleva affatto dire che lo si dovesse identificare con l’ideologia comunista). Detesta quello che gli Stati Uniti porteranno al suo Paese, e all’Europa.

Ecco perché scrive (soprattutto Il Signore degli anelli).

Il secondo Hobbit

Il secondo Hobbit ben presto diventa qualcosa che lui non sa bene come classificare. Sì, teoricamente è la seconda parte dello Hobbit; ma è decisamente di un’altra pasta.

È un’opera di evasione, non nel senso che molti credono. Non è una lettura per chi vuole distrarsi, oppure sognare (benché di sicuro ci siano un discreto numero di persone che hanno interpretato così Il Signore degli Anelli). Non è la lettura di chi per un attimo si toglie il giogo dal collo, per poi rimetterselo e tornare mogio mogio alla sua vita.

È l’opera che celebra l’evasione del coraggioso che scappa dalla prigione della modernità. No, non è affatto il gesto del codardo che sfugge alle sue responsabilità inseguendo fate, elfi o orchi. 

Può davvero un simile libro compiere una tale opera di liberazione? E come diavolo ci riuscirebbe?

Probabilmente ci riesce perché ci sono libri (pochi) che raggiungono questo intento. Spiegare nel dettaglio come sia possibile non è particolarmente agevole, come si può capire. Non è una formula chimica. Non è un’operazione aritmetica: 2 +2 = 4.

Il grande consenso che Il Signore degli Anelli raccoglie, non risiede solo nella qualità della parola (la descrizione degli ambienti; quella del viaggio della Compagnia dell’Anello sono magnifici per la vastità, la varietà e la bellezza che comunicano). È nello sguardo, nella visione che il professor Tolkien riesce a comunicare. E cosa c’è di particolare? 

Tolkien e la Grande Guerra

Il professor Tolkien aveva partecipato alla Prima Guerra Mondiale. Era nella battaglia della Somme (come Adolf Hitler e Otto Frank). Non solo vide decine di uomini morire orribilmente. Non solo morirono amici. 

Forse lui vide in quella guerra la dissoluzione di tutte le qualità dell’uomo, sino a renderlo una “cosa”. 

Se nel Signore degli Anelli i nemici si affrontano faccia a faccia, con la modernità chiunque può diventare un eroe; anche un vigliacco. Chissà se il professore conosceva l’opposizione che agli inizi ebbe l’artiglieria tra tanti condottieri. Con un falconetto (un piccolo cannone) potevi ferire Giovanni dalle Bande Nere (come infatti accadde), e procurargli la morte per cancrena (come infatti avvenne). 

No, non è che il professore fosse favorevole alla guerra; anzi. Ma la guerra ai suoi occhi raffigurava alla perfezione il succo e il senso della modernità.

Il valore del singolo non conta. Coraggio, codardia; paura o ardimento: sciocchezze. Conta soltanto la buona sorte. Che poi si celebri il singolo: sta bene. È inevitabile. Qualcuno, per fortuna, caso, abilità, ne esce bene e viene celebrato per il suo coraggio. Quando in verità è la tecnica a produrre il successo. Chi poi maneggi quello strumento, diventa secondario. 

Bruto uccide il dittatore? Sì. Ma ne è coinvolto. Ha ben presente cosa è in gioco (la sua vita e non solo). 

Viceversa chi ha sganciato l’atomica su Hiroshima, o chi ha usato i droni in Siria nell’operazione Talon Anvil non vede negli occhi i morti (civili, classificati come terroristi per mascherare gli errori. Con la benedizione di Barack Obama. Se lo avesse fatto Trump? Tutti ugualmente silenziosi?).

No. Non è nemmeno un articolo, questo, su come era bella la guerra un tempo, mentre adesso sarebbe troppo impersonale. Credo che per il professore la guerra rappresentasse, con brutalità assoluta, il cuore della modernità. Che poi ha continuato nella sua opera di riduzione dell’uomo a cosa, ma con mezzi meno spicci. Con la pace (ma nel mondo le guerre hanno continuato a mietere morti), il benessere, la tecnologia.
Se ne esce? E come?

Storia di una liberazione

La storia del Signore degli Anelli è la storia di una liberazione. Non bisogna usare il potere per battere il nemico di turno; ma rinunciare proprio al potere. Distruggendo l’anello del potere.

È una logica che mette in crisi la stessa modernità che non prevede rinunce, mai; né limiti o auto-imposizioni. Ogni limite è una sfida, e questa deve essere affrontata e vinta a ogni costo. Scegliere una sfida in base a un criterio che sia diverso dall’efficienza, dal successo, dalla produttività, dall’utile, non è previsto. Solo in certe particolari circostanze si possono persino fare scelte distanti da questi criteri; ma per poco.

Poi si torna a cosa serie.

Quindi per Tolkien chi legge Il Signore degli Anelli evade dal mondo della modernità ( e fa benissimo) perché ha compreso cosa lo muove per davvero, al di là del fascino e delle luci fantasmagoriche. Era un prigioniero, e scappa giustamente dalla prigione. Certo, qualcuno potrebbe chiedere a che pro tutto questo.

Anche la fuga di un solo uomo è importante. Perché è un uomo che torna a essere tale, e non è più una cosa utile, o produttiva.

5 commenti

  1. “…qualcosa dedicato a persone che si rifiutano di crescere. Di assumersi delle responsabilità e che per questa ragione si rifugiano appunto nella lettura di determinate opere.”
    Ma chi? Come e dove è nata una definizione così semplicistica? Mi pare proprio fuorviante e riduttiva. Non solo dell’opera di Tolkien, ma anche per il genere fantasy proprio. Poi ovvio: come per qualsiasi altro genere letterario, ci sono libri belli e libri brutti, o meno riusciti. Ma definirli libri per bambini non cresciuti proprio no. Il fantasy usa un’ambientazione fittizia per mostrare quello che poi non funziona nella nostra realtà. È un dire senza dire. Semmai, non è un genere per tutti.

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    • In Italia solo da poco si è iniziato a produrre sul professore dei lavori accademici di una certa importanza apprezzati anche nel Regno Unito. Proprio perché nessuno voleva e vuole avvicinarsi alla sua opera. La situazione è cambiata un poco con i film di Jackson, per fortuna. Ma sarà dura…

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  2. Mi è apparsa riduttiva le definizione di fantasy. Forse dai credito a chi il vero fantasy non l’ha mai letto e ha costruito l’assiona fantasy = libri per ragazzi, ammesso che si possa parlare di libri per ragazzi, per adulti, per donne, ecc. Stereotipi semplicistici per incasellare i libri.

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