Il self publishing è un colossale fallimento?


 

 

di Marco Freccero. Pubblicato il 21 marzo 2022.

 

 

 

È probabile.

E allora?

Come sempre si crede che il fallimento dimostri chissà cosa. Ma come diceva il professor Tolkien: Il fallimento non è una confutazione. Dimostra solo che hai fallito, non che avevi torto.

Quello che appare strano assai, è che questo sfugga a certi editori…

Uno strano animale

Sì, perché che il self publishing sia considerato un fallimento è l’opinione di un editore; mi pare della casa editrice e/o e di cui non ricordo il nome. Anzi no, eccolo: Sandro Ferri (che poi dicono che noi autori indipendenti siamo spocchiosi. Niente del genere. Io per esempio sono ligure).

È abbastanza semplice ricordare (soprattutto a noi stessi), che un libro è uno strano animale che tutti apprezzano solo dopo che ha un po’ di successo; e che apprezzano praticamente tutti se ha grande successo. 

Ma questo metro di giudizio è del tutto sbagliato o molto sbagliato. E sorprende assai che un editore affermi tali cose. Perché se io che ne sono fuori so queste cose, chi ci lavora dovrebbe conoscerle meglio di me. Nessuno sa perché un libro ha successo, perché a un certo punto intercetti i lettori e scali le classifiche.

Sì, passa in televisione; la pubblicità ne parla. Ma quelli che per davvero diventano un successo più o meno colossale riescono persino a fare a meno di questi strumenti.

Intercetta un bisogno che nessuno prima aveva considerato?

Offre un particolare punto di vista che nessun altro offre?

Raccoglie i desideri di una fetta di pubblico particolare? 

Chissà!

Una evoluzione 

Il punto è che se fino a ieri l’autore scriveva e poi toccava all’editore sobbarcarsi di tutto il resto (se l’editore era disposto a farlo…); adesso la tecnologia mette in mano al povero autore un sacco di opportunità. Purtroppo per lui, non è ancora in grado di comprendere quali leve abbassare, e come mettere in moto la macchina dell’interesse nei confronti delle sue creature (dove per creature si intendono i propri libri, ovviamente).

È arduo liberarsi della mentalità del miracolo. Sarà perché molta “letteratura” ci racconta che un bel giorno Tizio è uscito di casa e gli è accaduto quello che gli ha cambiato per sempre l’esistenza. Ma è una letteratura piuttosto banale, di terz’ordine in realtà; e in breve tempo si capisce che conta solo l’olio di gomito.

Il fallimento del self-publishing (ma possiamo davvero definirlo in questo modo approssimativo?) semmai è tutto qui. Nel credere che basti attendere il miracolo. Che magari avverrà; più probabilmente: no.

Ma non nella qualità delle storie che il fenomeno racchiude. Perché accanto a tante storie pessime oppure inutili, ce ne sono altre che avrebbero spazio per crescere e farsi notare. Se soltanto si scovasse il modo…

Ormai è evidente che un autore indipendente che voglia essere letto da più di 5, 6 persone deve avvicinarsi a questo mondo in modo ben differente.

Deve avere:

  • un blog
  • una newsletter
  • e magari essere presente su una o più reti sociali (Facebook, eccetera)

E non deve solo esserci. Deve anche fare in modo che la sua presenza non sia solo un numero in più; ma che ne valga la pena. Deve quindi produrre i celeberrimi contenuti.

Torniamo però al fallimento.

Credi in quello che scrivi?

Alla fine l’alternativa non è affatto (io credo) tra successo o fallimento. Ma se e quanto sei disposto a fare per emergere dall’oceano dei tanti che pubblicano. Quanto credi in quello che scrivi. Quanto sei disposto a tenere duro perché alla fine due o tre persone scelgono la tua storia, invece di quella di un altro.

I miei lettori lo sono diventati perché un giorno sono capitati sul mio blog. Avranno trovato dei pregi (chissà dove. Se ci sono, essi vivono quasi a mia insaputa) e hanno deciso di tornarci ogni volta che pubblicavo qualcosa. 

Hanno compreso più o meno il mio modo di ragionare, di vedere le cose e alla fine, mossi da compassione o interesse (spesso sono sentimenti che si sposano alla perfezione, vero?) hanno compiuto il G.A. (o Grande Atto). Vale a dire hanno acquistato uno o più libri.

Tecnicamente non possiamo affatto parlare di fallimento, anzi. Se guardo indietro, per esempio alla Trilogia delle Erbacce, sono assai sorpreso di aver avuto così tante recensioni. Parliamo di racconti, di tre libri di racconti. 

trilogia delle erbacce

E “Stella Nera”? Idem. Certo, un altro con una storia ambientata negli anni Ottanta avrebbe venduto agevolmente almeno venti volte in più di quanto è accaduto. 

Gli anni Ottanta, per tutte le bombarde!

 

Ma attenzione: continuare a scrivere temo che non significhi affatto che si crede in quello che si scrive. Alla fine, diventa una cara abitudine, e separarsi da essa diventa complicato. Anche se si legge, la scrittura è diventata col tempo una compagna delle giornate, si è innestata su ciò che facciamo. E reciderla è una violenza che non desideriamo perpetrare (faccio notare che qui si usano dei termini mica da cotica. Quando è stata l’ultima volta che hai letto “perpetrare”?).

Quindi si arriva al dilemma: ma non se scrivere, o smettere di farlo.

Bensì se provare a uscire dalla nicchia, o restarci. Sempre ricordando che ci sono storie inevitabilmente destinate a essere di nicchia, e che non avranno mai e poi mai una grande considerazione, e quindi scarsissimo successo. Proprio perché ogni autore è un tipo particolare, e non è scritto da nessuna parte che una buona storia debba essere comprata, tra cartaceo ed ebook, da 600 persone. (Tecnicamente credo che con una tale cifra si debba parlare di “successo”).

Per esempio, io non mi sono mai chiesto se Stella Nera ha oppure no un pubblico. Non mi sono mai soffermato un istante su questo genere di problemi perché so che buona parte della letteratura nasce senza pubblico. Senza badare al pubblico. Buona parte degli autori hanno iniziato a scrivere immaginandosi a malapena un lettore. 

Ti ricordi il mio motto?

Ricordi?

Prima la storia, poi il lettore.

È sempre stato, e resta il mio motto. E l’ho coniato non perché sia pazzo (be’, un po’ sì). Ma proprio in conseguenza alla semplice considerazione di cui sopra.

Vale a dire: costruisci una buona storia, e poi il lettore arriverà (presto o tardi).
Spesso non arriva. E torniamo da capo.

Il punto della situazione non è affatto nel presunto fallimento del self-publishing. Non sono pochi gli autori che iniziano così, e finiscono presso una casa editrice.
Né il “fallimento”, lo scarso successo di un autore, può essere la giusta misura per giudicare la bontà della sua scrittura.
Il punto è se hai tempo e voglia e soldi per osare.

16 commenti

  1. Se sia un fallimento è forse troppo presto per dirlo, visto che è nato da poco tempo. Ce lo dirà la storia.
    Il problema è la diffusione, ma non solo. Nel self-publishing è come se non esistesse il cartaceo, perché è stampa su richiesta, se non ho capito male.
    Su Amazon è così, giusto? E nel caso di Amazon, a me non piacerebbe leggere su un mio libro “Made in USA”…
    Ma per forza è stampa su richiesta: un ebook non costa, è un file. Prova a far stampare 2000 copie di un libro. Ho preso un sito a caso: il costo per 2.000 copie di un libro di 150 pagine supera i 7.000 euro.

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    • Forse è vero che è troppo vero (anzi, lo è senz’altro). Ma veder applicato anche a questo settore categorie bolse come quelle del successo, quando ci sono case editrici che dal dimenticatoio tirano fuori romanzi passati sotto silenzio. È la prova che esiste una schizofrenia ben evidente.

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  2. Ha ragione Tolkien. Il tema è il successo (inteso come numeri di vendite, non solo di apprezzamento) che in self può avvenire solo se hai la forza del passa parola, del battage che si può fare in molti modi (il blog non è tra i migliori, o forse sono io che non riesco a utilizzarlo bene per questo) e delle recensioni. Invidio chi ne ha molte, sembra che ci sia molta reticenza nel fornirle, e, nel nostro ambiente, anche una certa invidia. Non fornisci un criterio numerico per affermare se un self sia o meno fallimentare, le 4, 5 copie sono una provocazione. Per me vendere duecentocinquanta copie è un successo, 40 una cosa di nicchia che serve a te e a pochi altri.

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    • Sul blog non saprei. O meglio, per me è il mezzo migliore per raggiungere i lettori esponendo quello che pensi, e come vedi la realtà. Ma con Instagram e compagna cantante, come la mettiamo? Che non funziona nulla del genere (non accetta link verso l’esterno) e occorre pensare ad altri contenuti. Altri contenuti?? Ma chi ha tempo per “altri contenuti”?
      Anche per me 250 copie sono un successo. Mai arrivato lì.

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      • Non ho fatto un reale investimento di tempo su Instagram, su Facebook, come sai perché ne abbiamo parlato, ho provato ma senza soddisfazione. Ci vuole una dedizione totale per produrre contenuti originali e che ‘convertano ” non ho il tempo, a mala pena riesco ad aggiornare il blog! Se avanzassi tempo proseguirei con la stesura del romanzo, che invece è fermo perché manca un tempo congruo per farlo (io alla storia dei 10 minuti al giorno per scrivere non ho mai creduto)

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  3. Qualità della scrittura e risultati di pubblico non sempre vanno a braccetto, questo è certo. Detto questo, secondo me non è soltanto questione di avere tempo e voglia per osare. Anche con tempo e voglia di osare, non è detto che funzioni. Forse se “osi” spendere qualche migliaio di euro ogni mese in ads su Amazon E scrivi un genere popolare E riesci a muoverti bene con tutti gli strumenti che hai citato… ma è sempre un forse. Però, come dici, la scrittura nel tempo diventa una grande amica, e farne a meno diventa davvero difficile. Al punto che puoi trovarti a pensare: non m’importa delle vendite, scrivo e basta. Se ci riesci sei un re, oppure un fallito. Un re fallito? 😉

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    • (Ovviamente il concetto di fallimento è del tutto relativo. Dipende dalle aspettative e dalle ambizioni, tutte personali e spesso sproporzionate.)

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      • Affatto. Interessanti anche le considerazioni degli altri commentatori sul fallimento. Mi sembra che a questo si applichi bene il concetto espresso da Tolstoj: “Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.” Per quanto riguarda le vendite – il “successo” – ognuno vede il proprio mondo e non quello altrui, mondi che a volte non si confrontano mai. Per questo in passato ho voluto pubblicare sul blog le cifre di Cercando Goran. Mi sembra importante uscire da certi dubbi: quando l’autore X dice di avere venduto bene un suo romanzo, intende che ha venduto cento copie? Cinquecento? Tre? Siamo tutti nella stessa barca, oppure io sono aggrappata a una zattera mentre i miei colleghi viaggiano tutti in una barca a remi? Saperlo aiuta a vedere le cose nella giusta prospettiva, e anche a venirci a patti, se possibile. Non sto dicendo che dovremmo tutti pubblicare il report delle nostre vendite, sia ben chiaro. Sto solo ragionando su come il concetto di fallimento, in ultimo, sia legato non solo alle nostre aspettative, ma anche alla nostra percezione dell’ambito in cui ci muoviamo.

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  4. fallimento? Da Treccani ‘falliménto s. m. [der. di fallire]. – 1. ant. a. Fallo, errore: fare f., commettere errore; senza f., infallibilmente, con certezza di non errare. b. Mancanza, difetto di qualche cosa: f. di vittovaglia (G. Villani)’
    Il selfpublishing è un errore? Non direi, anzi tutt’altro è un modo per superare certe strettoie.
    Seguo un blog che lenca giorno dopo giorno tutte le uscite delle case editrici più importanti. Ebbende sono dozzine. Possiamo parlare id fallimento di tutte queste pubblicazioni? Certo, perché la maggioranza non arriva in libreria e non venderà nemmeno un libro.
    Le CE odiano gli ebook? Certamente ma poi si lamentano se la carta va alle stelle.
    Il selfpublishing è molto più democratico: le vendite non saranno moltissime ma ci sono. Per contro il testo pubblicato dalla CE per il 90% e oltre dei casi ha destinazione macero.

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    • Anche questo è un aspetto da tenere in considerazione. Se si consulta l’elenco degli autori di Mondadori: l’80% sono dei perfetti sconosciuti. Gente che ha pubblicato con la casa editrice numero uno in Italia, e che nessuno conosce. Anche perché una casa editrice, anche se Mondadori, non può investire lo stesso impegno e risorse su tutti. Ne vale la pena?

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  5. Sandro Ferri è l’editore di E/O, sono andata a controllare chi fosse su google (Google invece non è mai un fallimento), mi sembra normale che un editore presuntuoso come lui (è definito così da un articolo di giornale) screditi il self publishing, però ci sono molti autori che hanno costruito il loro successo proprio su quello, non credo quindi che sia un fallimento. Ci sono poi molti autori minori che vendono poche copie (ma è lo stesso per gli autori pubblicati da case editrici medio-grandi). Tra gli autori partiti dal self e ora di successo ti cito per esempio Riccardo Bruni, ora sempre in vetta alle classifiche.

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    • Non conoscevo Riccardo Bruni. Riguardo al fallimento: è corretto. I poeti (gradi poeti) vendono pochissimo: quindi? Dobbiamo parlare di fallimento? Però mi ha colpito questa idea (di un editore), che un intero settore debba essere considerato tale. Non dovrebbe essere curioso, o dare una possibilità? Quello è il giudizio di chi non è curioso…

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  6. Bisognerebbe vedere che si intende per fallimento. Io credo che se consideriamo le aspettative dell’autore, il fallimento è la norma. Il problema generale è però che qui non stiamo parlando di un gioco tipo roulette, in cui può andarti bene o meno, a seconda della fortuna. In realtà il gioco è truccato e chi gioca in modo pulito è inevitabilmente destinato al fallimento (a meno di eccezionali colpi di fortuna). Con gioco truccato mi riferisco alle pratiche purtroppo comunissime di acquistare recensioni e affini. Sono stata contattata più volte da questi soggetti e i rifiuti hanno avuto conseguenze poco piacevoli. Vorrei scriverci un post ma le ritorsioni sarebbero inevitabili e in questo periodo non avrei proprio la forza di sopportarle. Tutto quello che ci resta è andare per la nostra strada e prendere il meglio di questo gioco.

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  7. Il 96% dei titoli pubblicati in un anno non supera le 1.000 copie vendute (statistica GFK del 2018). Capisci bene che in quel 96% ci sono anche i titoli pubblicati dalle case editrici tradizionali, non si salvano nemmeno loro.
    E per dare più consistenza ai numeri, se nel 2021 sono stati pubblicati 85.000 titoli (dati AIE), il 96% di questi sono 81.600 titoli che non hanno superato le 1.000 copie. E quanti le hanno superate? il 4%, ovvero solo 3.400 titoli. Che sono pochi, pochissimi, rispetto a tutte le fascette gialle che troviamo in libreria tutto l’anno e recitano bugie colossali come “100.000 copie vendute solo nella prima settimana”. Tzè.
    Alla luce di questo, non si può parlare di fallimento per il self-publishing. Così come tante case editrici, a volte pure le big, non possono parlare di successo, non hanno niente di cui vantarsi rispetto ai numeri del self-publishing. E non lo sanno nemmeno come a volte certi titoli arrivano al successo ed altri no. Non lo sanno.
    Il self-publishing è semplicemente un’altra via, un altro modo. Quasi una filosofia di vita direi.

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