Stella Nera: come è nata la trama?


 

di Marco Freccero. Pubblicato il 30 maggio 2022.

 

 

 

Come nasce una trama? Non è semplicissimo spiegarlo. 

Qualcuno dirà che basta sedersi al tavolo e costruirla (e spesso accade esattamente così).

Altri affermeranno che, sì, c’è anche tanto di imprevisto e imprevedibile; ma le basi devono essere solide e ben strutturate (quindi: pianificazione).

Altri ancora proclameranno che se c’è qualcosa di pianificato, allora è una storia di serie B.

Come è nata la trama di “Stella Nera”? Adesso lo posso “spiegare” (ammesso che a qualcuno interessi) perché ormai il romanzo (in tre parti) è finito e rimane solo da attendere il mese di dicembre del 2022 quando uscirà appunto il capitolo conclusivo.

 

 

È vero che qualcosa ho già spiegato in precedenza, quindi esiste il rischio che si tratti di una minestra riscaldata, ma correrò il rischio. Ma di certo stavolta non parlerò dell’immagine che ha fatto scaturire tutto (una donna morta distesa sul letto, la persiana che sbatte nella notte…). Quello è a malapena uno scheletro, e con lo scheletro si può combinare ben poco. La trama è qualcosa di molto più complesso che una banale immagine. Non la ottieni nemmeno con l’ispirazione.

Proviamo a ragionare

Secondo me, semplificando parecchio, la trama è quella serie di avvenimenti che creano un percorso, che ha come fine… La conclusione della storia. Non è detto che alla fine si registri una evoluzione del personaggio, o dei personaggi; potrebbe benissimo registrarsi una involuzione. 

Di certo tutto deve essere guidato dal principio della coerenza. Se saltasse fuori che uno dei protagonisti usa un iPhone (siamo nella Savona degli anni Ottanta), avremmo un enorme problema.
Quindi un’immagine, per quanto particolare, seducente, evocativa, può ben poco. Devi costruire, oltre a essa, una ossatura completa in grado di avere muscoli, nervi, cicca, eccetera eccetera. Perché come dico: siamo fatti appunto di ciccia e colesterolo, e anche i personaggi devono essere così.

Non ricordo affatto perché a un certo punto la signora morta è diventata tedesca (in principio era solo… Una donna morta); né perché aveva un fratello che era nazista come lei. Certo, l’aver portato indietro le lancette dell’orologio della Storia (il romanzo come ho scritto in precedenza, è ambientato negli anni Ottanta) mi forniva su un piatto d’argento la possibilità di affrontare una mia… Ossessione. Non la guerra soltanto, ma il massacro degli ebrei. Per questo ho letto o riletto alcuni libri, e benché “Stella Nera” accenni solamente a quanto accaduto, dovevo comunque rinfrescare la memoria. 

Probabilmente (però, e qui mi ripeto: non ricordo affatto i passaggi precisi. Forse tutto è sbocciato all’improvviso), l’opportunità di scrivere una storia di un certo tipo mi ha indotto ad avventurarmi in una foresta. Non conoscevo la via d’uscita (il finale), ma ho accettato il rischio.

Molte letture passate contribuiscono a creare degli “ingredienti” che poi il singolo combina come vuole, producendo quindi piatti (storie) proprie. Quasi certamente l’idea che i totalitarismi del XX secolo avessero gettato via la maschera più truce per una più rassicurante mi affascinava e mi pareva divertente e persino interessante esplorarla (perché divertente? Perché se scrivi 3 romanzi in tre anni, o ti diverti almeno un poco, o diventi matto da legare).
Però anche in questo caso: è qui la trama di “Stella Nera”? Direi di no.

Quello che unisce

La storia ha inizio nell’agosto del 1987 (l’idea originaria era di partire nel 1985, poi ho dovuto bocciarla). Da una parte desideravo raffigurare come certe presenze avessero trovato rifugio tra di noi; e dall’altra desideravo, grazie ai tre ragazzi che abitano l’appartamento di via Mistrangelo, raccontare esperienze, desideri (sogni?) e soprattutto la volontà di gettare le basi di un mondo differente. 

La storia non poteva certo essere solo la morte di una vecchia, e il suo passato. O, accanto, quella di tre ragazzi che svolgono il servizio civile. Bisognava scovare “qualcosa” che le unisse, e che permettesse a entrambi i polmoni della storia di vivere: assieme e separati. Ecco che allora salta fuori Giovanni, e la sua telefonata (chi lo ha letto sa di cosa parlo. Chi non lo ha letto: leggetelo!).

Giovanni tira dentro Davide (e un poco anche gli altri due amici) perché c’è questa professoressa in pensione che sta scrivendo un libro su un quadro sconosciuto del Bernini. Un Ecce Homo. Scomparso perché un ufficiale nazista nel 1943 lo ha rubato a un prete della chiesa di San Bernardo in Valle (una frazione che si trova alle spalle di Savona).

Ecco dunque il collante. Le storie sono due, ma viaggiano assieme. (Non voglio ripetere che probabilmente la faccenda non è filata così lisca come adesso la racconto. Anche perché non ricordo i passaggi che mi hanno condotto a un tale assetto. Ma non scherzo quando scrivo che… Non lo so).

Qualcuno penserà: è un pretesto il quadro. Si capisce.
La caccia alla balena è anche un “pretesto” per indagare l’uomo e il suo abisso (“Moby Dick”).
L’invasione della Russia da parte di Napoleone è pure un “pretesto” per indagare su come un popolo agisce, reagisce, e come i singoli rispondono alle sfide (“Guerra e pace”).

Oltre la rappresentazione

Le storie però non sono solo una rappresentazione. Così come un quadro non si limita a raffigurare un panorama, o una scena.
“Stella Nera” è (ai miei occhi) anche un piccolo viaggio dei tre ragazzi verso un’amicizia più solida. In grado, forse, di rendere il posto di ciascuno nel Mondo più genuino e attivo.

Se nel romanzo “Stella Nera” il primo ad apparire è stato Davide (l’integralista? Il classista?), l’ultima parola (attenzione attenzione: ghiotta anticipazione) sarà di Filippo. E questa specie di “passaggio di consegne” (non so come definirlo altrimenti) avviene proprio perché forse Davide comprende (o inizia a farlo) che determinati toni e giudizi sono eccessivi. Che c’è bisogno di tutti. Che occorre mediare, sostenere l’arte del compromesso. 

Ai miei occhi (spero anche dei lettori), una storia come questa, come tutte le storie, o conduce a una evoluzione (Leonardo Perrone: è differente questo vecchio, alla fine del primo libro, da come si è presentato all’inizio); o a una involuzione (Don Mario. E non scrivo altro perché ho già anticipato troppo).
Quello che succede racchiude sempre un significato che va oltre le apparenze. E aggiungo anche: una storia dovrebbe anche mostrare che è un errore ritenere che la Storia si ripete identica a se stessa. Che non cambia nulla, che in fondo tutto procede come ai tempi di Pericle o Nabucodònosor. 

Ma non dovevo parlare della trama? Mi pare di averlo fatto. 

10 commenti

  1. scrivere una storia, ovvero la trama su cui si muoveranno i vari personaggi non è mai semplice, mi pare che nell’introduzione ne hai parlato. Quindi se è interessante, comunque sia stata ottenuta, produrrà un buon libro. Certo la trama va riempita ma averla è già una grande cosa.

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  2. Scrivere una storia comporta anche “mettersi a tavolino” e scriverla, puoi averla ben chiara nella tua testa, ma poi finché non la scrivi non sai come si svilupperà davvero, perché i personaggi sono strani, a volte ti prendono per mano e ti guidano. A me è capitato, credo che capiti un po’ a tutti quelli che scrivono, qualche piccola variabile c’è sempre. Confermi?

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  3. Sono convinta che parlare di come si è costruita una trama sia estremamente difficile. Quando per esempio mi chiedono “come è nata questa storia?”, io vado nel pallone perché non ne ho la minima idea. Come te parto da una piccola cosa e il resto lo costruisco tutto intorno. Nel tuo caso è stata la donna morta che non era ancora né tedesca né criminale nazista, se ho capito bene. D’altra parte a volte ho l’impressione che la storia, la trama e tutto il resto siano già in qualche modo nella nostra testa ma vadano tirate fuori pezzetto dopo pezzetto.

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    • In effetti è difficile spiegare la nascita e lo sviluppo di una trama, perché a un certo punto ti ritrovi a scrivere qualcosa che ignoravi, sino a un momento prima. Ma è il bello della scrittura.

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  4. La trama nasce sempre da uno o più dettagli, si parte da qualcosa che in apparenza è privo di senso, da un personaggio che non sai perché è lì e poi espandi, espandi, incroci altri personaggi e, soprattutto, realizzi delle sotto trame che vanno a collimare le une nelle altre, e quindi capisci che tre personaggi conoscono quell’altro di cui hai parlato all’inizio e che nemmeno tu sapevi che già conoscevano. La cosa importante è aver chiara la situazione finale, il climax ed eventualmente l’inizio e da lì iniziare a scrivere quando sei convinto. Devi avere una minima idea di come portare avanti la cosa. Non è che si deve pianificare ogni cosa, basta avere un certo numero di idee chiare, anche se poi cambiano. Man mano che si procede si riesce ad avere una visione migliore sulla cosa. Almeno io procedo così.

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