Quel che rimane dell’autore indipendente


 

di Marco Freccero. Pubblicato l’11 luglio 2022.

 

 

 

Ci hai mai pensato?
Che cosa resterà delle nostre scritture, dei nostri libri; delle nostre opere insomma? Dove per “nostre” intendo quelle degli autori indipendenti.
Tra trent’anni anzi: cinquanta. Un tempo tutto sommato ragionevole.

Perché qui ci diciamo vicendevolmente che sono di qualità, e che stanno emergendo; oppure emergeranno. E chi lo garantisce?
Ah, ecco: il signor Nessuno. 

Nel futuro. Tra settant’anni

Avrei anche potuto scrivere, prima: tra settant’anni. Che paiono un tempo lontanissimo, ma invece è appena dietro l’angolo. E questa riflessione è scaturita dalla lettura di un articolo sui recuperi che fanno le case editrici (vorrei indicare il link, ma non lo trovo più). Di autori che non hanno pubblicato in vita; o che hanno pubblicato raccogliendo poco o nessun consenso.
E poi, abbondantemente morti e sepolti, ecco che le loro opere balzano fuori e (incredibile!) sono un successo clamoroso.

Di tali esempi ce ne sono un discreto numero, e per le case editrici è un affarone. Siccome sono defunti da un pezzo, i diritti d’autore non si pagano affatto, e questo è un elemento che ha un indubbio fascino (per l’editore). 

Certo, esiste la controindicazione che essendo defunti non puoi organizzare con questi autori alcuna intervista o incontro in libreria, e ricorrere alle sedute spiritiche è alquanto rischioso.
Se invece dell’autore, s’intrufola il Savonarola? O Groucho Marx?

Esatto, è un banale articolo sulla qualità delle nostre opere, e se sono destinate a durare. Naturalmente ciascuno di noi (dove per noi intendo soprattutto l’autore indipendente) afferma che il proprio libro è di qualità, che lo ha pubblicato per quella ragione; ed è sincero. Ma potremmo liquidare la faccenda affermando che, in fondo, quello che capiterà ai nostri libri tra 50 anni è una faccenda del tutto inutile. 

Non solo perché per esempio il sottoscritto difficilmente sarà ancora presente; ma perché è un argomento scivoloso.

Nabokov spara a palle incatenate contro Dostoevskij; e stiamo qui a disquisire sulla qualità della scrittura di un povero autore indipendente ligure? 

Anche se vendi quindici copie, sei sempre convinto di meritare molto di più; anzi parecchio. Non esiste al mondo autore che non sia persuaso al massimo grado di poter entrare nell’Olimpo degli scrittori; proprio quegli scrittori lì. Lavorando duro, lavorando senza requie per anni.

Poi naturalmente fa mostra di modestia: 

“Chi, io? Che cosa volete, sono un povero autore indipendente ligure”

Ma sotto sotto… 

Sotto sotto spera probabilmente che almeno i posteri lo vendicheranno, scoprendo le sue opere e poi passando il tempo a recriminare:

“Quelli scimuniti dei suoi contemporanei: ma cosa avevano in testa? Avevano un autore di questo calibro, e non lo leggevano?”.

Una terribile eventualità

Me ne rendo conto: a quel punto sarei abbondantemente defunto, ma l’idea, questa precisa speranza in questo momento, non è malaccio, nella testa dell’autore indipendente.

Poi esiste anche l’altra terribile eventualità. Le tue opere non valgono molto. Non è che siano brutte, o mediocri. Ma per un insieme di circostanze, alcune delle quali al di fuori del proprio controllo, non sono in grado di fare quello “scatto”; di spiccare il volo, ecco. 

Puoi sempre dare la colpa alla tua scarsa attitudine a fare marketing; alla tua incapacità cronica di promuoverti, e queste sono giustificazioni che aiutano.

Ma forse sei solo uno “medio”. Un poco sopra alla mediocrità, ma distante anni luce non dico dall’eccellenza; ma anche dal buono. E sia chiaro: sotto sotto ogni autore indipendente non desidera affatto essere un autore “medio”. Vuole sempre eguagliare i maestri. Sempre.

Zola.

Dickens.

Tolstoj.

Eccetera eccetera.

Anche qui farà mostra di modestia; ma a loro pensa, incessantemente o quasi, e vorrebbe essere esattamente come loro (magari un poco meglio). E se continua a scrivere (ma continuerà a scrivere?) lo fa solo perché è del tutto simile al giocatore che al tavolo da gioco perde, ma rilancia perché “la prossima” sarà quella giusta. E se fallisce? Nessuna paura: la volta seguente andrà meglio, la sera dopo sarà quella giusta.

La prossima storia di certo andrà decisamente bene. Bisogna solo resistere, avere determinazione; e denaro (o storie da scrivere). 

Una scelta da pazzi

Più passa il tempo e davvero comprendo che chi scrive, e continua a scrivere nonostante tutto, è pazzo. Non completamente forse; ma di sicuro gli manca qualche venerdì. E poi, si capisce, la scrittura diventa una rassicurante compagna. Ti chiedi come potresti farne a meno; ma sai bene che potrai eccome farne a meno.

Potresti ma non vuoi, o almeno non adesso. Forse più avanti, ecco. Sapendo, nel tuo cuore, che non arriverà mai quel giorno dove apparirà la parola “fine” a decretare che le storie da raccontare non ce ne sono più, perché non puoi permetterti di voltarti indietro e vedere che non hai combinato nulla di rilevante. Che gli anni si sono sommati agli anni e non hai cavato un ragno dal buco.
Che cosa diavolo potresti raccontare a quel tipo di vent’anni che si mise in testa, tanto tempo fa, di raccontare storie? Che non era per lui, questo mestieraccio? Che avrebbe dovuto occuparsi di altro? Ma di cosa, precisamente? Di quello che fanno tutti?

Lui non voleva agire come gli altri, non voleva esserlo. Non crede all’uguaglianza. Sapeva che c’era un prezzo da pagare (ogni scelta ne ha uno, giusto?), ed era pronto a pagarlo.
Ma solo perché era persuaso di essere perfettamente capace di agguantare quello che gli stava davvero a cuore: il successo. Uguagliare i grandi scrittori, essere come loro, non uno dei tanti.

Chissà se la scelta di percorrere una determinata strada (esatto: la scrittura) non sia il risultato di qualche strano scompenso che rode la testa e il cuore di chi decide di scrivere storie. Credo di sì.
L’ambizione smisurata; un egocentrismo gigantesco (“Il Mondo non lo sa, ma ha bisogno delle mie storie”) che però è necessario domare, o si finisce fuori strada.

Ma prima di tutto c’è qualche altro elemento, una miccia, che mette in moto tutto il meccanismo; e da lì in avanti le scelte che si compiono hanno in vista solo quel traguardo. E se realizzi 5 vendite ne vuoi 10, e dopo quelle 10 ne vuoi 20, poi 40… 100. E se non gira come vorresti…

Andrà meglio la prossima volta. Ho giusto in testa un’idea per una storia che…

13 commenti

  1. Ho smesso di chiedermi quanto vale ciò che scrivo. Ho anche smesso di pensare che magari il prossimo romanzo sarà quello della grande svolta. Se penso ai miei libri tra settant’anni, li vedo ancora lì, su Amazon, a vendere poco o molto. Sono tranquilla, però, perché sono convinta che siano degni di essere letti. Dici poco? Per me è molto. Che siano opere immortali o semplici belle storie ben raccontate, va comunque bene. La possibilità che siano mediocri o delle ciofeche per me non esiste. Credo fermamente nelle mie storie, indipendentemente dal percorso che seguono. Ogni autore deve farlo, o smettere di scrivere, alla fine.

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    • Tutti noi crediamo nelle nostre storie, guai se così non fosse 😉
      Io invece mi chiedo sempre: ma che cosa scrivo? Che roba è? Ha davvero un qualche valore? Perché le mie storie avrebbero un valore mentre quelle di X,Y, o Z no? E non trovo mai la risposta definitiva.

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  2. Tra settant’anni sono certo che non ci sarò più e nemmeno i miei eredi – mia figlia – Ergo chi si ingrassa con le mie improbabili vendite sarà Amazon, Smashwords che non sapranno a chi pagare le royalties. Ma Amazon, smashwords esisteranno ancora tra settant’anni?
    Se vengono tolte dalla pubblicazioni, chi si ricorderà di me?

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  3. Me lo sono chiesta anch’io, che ne sarà delle mie storie dopo la mia morte? Forse dovrei fare testamento per i miei eredi (non che sia una grande eredità in termini di guadagno, sarebbe più un’eredità di una parte di me che non conoscevano). È una riflessione che ho fatto proprio in questi giorni perché ho comprato un racconto di Giorgio Faletti ed erano indicati per i diritti gli eredi di Faletti.

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  4. Qualche anno fa avevo cominciato a leggere degli autori recuperati del Ventennio fascista, da parte di una casa editrice, che nella loro epoca andavano per la maggiore, e ora sono dimenticati: li ho trovati deliziosi. Questo però è il caso contrario a quello che tu scrivi nel post.
    Per quanto riguarda i miei romanzi, ho un unico erede cui andrà l’onore – e l’onere 😉 – di gestirli come meglio crede… e chissà che non riesca a farli “fruttare” meglio di quanto stia facendo io.

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  5. 10 vendite? E chi le ha mai viste 10 vendite? Io ancora non vendo niente… 😀
    Ogni tanto ci penso al futuro, ma non ho eredi, temo che le mie storie comunque moriranno con me. Potrei pensare di lasciarle un cura a qualche amica e sua prole, ma sarebbe più un fardello che un regalo?! Mah…

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