di Marco Freccero. Pubblicato il 25 luglio 2022
Qualcuno se la ricorda ancora? Esatto: la teoria dei 1000 fans. Era stata enunciata (se vogliamo dire così) da Kevin Kelly. Ed era qualcosa del genere: un artista ha bisogno di “solo” 1000 persone per vivere decorosamente, ma devono appunto essere veri, sfegatati fans.
Mica facile.
Mille e non più mille
Quindi non numeri colossali, nulla del genere. Molti, nella disperata e vana impresa di raggiungere il successo con la “s” maiuscola, nemmeno ci provano a raggiungere la fatidica soglia dei mille. Probabilmente è un errore; molti pensano che il successo sia solo essere come Follett o King; eppure un autore indipendente dovrebbe essere più ambizioso.
E con “più ambizioso” non intendo altro che questo: 1000 (ma anche 500, anche 300, forse anche meno) fans. Non c’è bisogno di molto di più in realtà. Ma anche questo non è facilissimo da conseguire.
Scrivere per il giusto pubblico?
Il punto è che si crede che si debba scrivere per un pubblico preciso. Che prima di partire si debba studiare con cura il mercato, e poi scrivere la storia che il mercato vuole. Ho detto il mercato? Sì, ma potrei dire: una nicchia di mercato particolarmente agguerrita e battagliera.
Sia chiaro: funziona. Potrei anche citare casi di autori indipendenti italiani (ma non solo) che pianificano, e poi scrivono le loro storie riuscendo a ottenere consensi lusinghieri (roba da favola, per me).
Perché tutti gli altri non ci riescono?
Perché tu oppure io non ci riusciamo?
L’obiezione più forte è la seguente: noi abbiamo scritto una storia (o più storie) per un mercato che non esiste. Per un pubblico composto da una o due persone. Quindi, il risultato non può che essere deludente. Il solo modo per uscire da una tale situazione è studiare bene il mercato e proporre quello che esso desidera.
Qui occorre puntualizzare un aspetto: nulla di nuovo sotto il sole. In fondo anche Charles Dickens (mica cotica) faceva così. Lo scrittore belga Georges Simenon regalava ai suoi lettori le inchieste del commissario Maigret; e poi scriveva dei grandi romanzi (che solo dopo furono apprezzati anche dalla critica). Pare che Louisa Mary Alcott (quella di “Piccole donne” per intenderci) infarcisse di “zuppette moralistiche” i suoi libri per assecondare i desideri del pubblico che voleva leggere qualcosa di sobrio ed edificante. Con le conseguenze che conosciamo: il successo.
Però attenzione: non è scritto da nessuna parte che questo modo di agire funzioni sempre e comunque, anzi. Puoi anche pianificare, studiare il mercato, poi proporre un libro che farà un buco nell’acqua. Anzi, nella maggior parte dei casi probabilmente accade questo.
Ci sono gli Harry Potter e la serie Millenium che smentiscono la teoria della pianificazione; opere rifiutate perché “il mercato vuole ben altro”. Eppure quel mercato che non esisteva, che era folle inseguire perché non puoi inseguire quello che non c’è: alla fine si è materializzato. Ma attenzione: si tratta di casi, come gli altri. Come le storie pianificate, alcune delle quali alla fine riescono effettivamente a emergere. La maggior parte galleggia, o affonda.
Quello strano animale chiamato “lettore”
Per l’ennesima volta siamo alle prese con una banale verità: se esiste qualcosa di imprevedibile è il lettore. (Dovrei scrivere lettrice perché almeno in Italia sono appunto le donne che leggono). Se nemmeno le case editrici, che due soldi in tasca li avranno pure, riescono a costruire i best-seller; ma cadono loro in testa come un vaso di gerani: allora occorre proprio riconoscere che c’è della follia in tutto questo.
Possiamo raccontarci che le case editrici non hanno capito la Rete, e le potenzialità che offre se solo si conoscono e si impara a utilizzarle. Può darsi che sia vero, non dico di no.
Ma alla fine quello che conta è il fattore Fortuna.
Forse non si scrive per un mercato che c’è già e che bisogna assecondare: questa è la spiegazione che ci diamo perché detestiamo restare senza risposte, vero? E allora raccontiamo che abbiamo semplicemente “ascoltato” il pubblico, e poi ci siamo messi all’opera. Infine (colpo di scena!) troviamo il consenso e il successo.
Tuttavia…
Tuttavia se osservo la parabola di alcuni autori indipendenti noto anche dell’altro; e forse è proprio in questo indistinto “altro” che si nasconde il segreto (chiamiamolo così per darci un tono) che conduce un libro, e un autore, a spiccare sugli altri.
Sono riusciti a essere coerenti e unici, rispetto al resto degli autori. Prima, è ovvio, c’è la qualità del libro, della copertina, e molto altro ancora. Il successo (chiamiamolo così per comodità; ma non coincide con grossi numeri, spesso) si costruisce perché diversi elementi concorrono a quell’esito. Quindi: copertina, prezzo, descrizione, parole chiave, la giusta categoria del libro, e ancora: la promozione su Amazon o Facebook… Spesso è sufficiente sbagliare anche uno solo di questi elementi per compromettere tutto il lavoro.
Se però tutto fila liscio…
Sto divagando, vero?
Coerenza e unicità
Il nocciolo della questione è il modo che queste persone hanno di proporsi: con coerenza e unicità. Questo permette di avere poi un pubblico sempre più vasto; e quando hai dei grandi numeri allora sai che lì, da qualche parte, ci sono dei lettori che potrebbero diventare i tuoi lettori. Perché se ti seguono in 50 forse da lì otterrai 13 lettori. Se ti seguono in 500 è possibile che tu riesca ad averne 82.
Che cos’è però che spinge un lettore a investire su di te? In parte credo di avere già risposto: coerenza e unicità (possiamo scrivere: lealtà?). Scendendo dall’empireo delle idee (come vedi qui si usano solo espressioni molto come si deve) possiamo arrischiare ad affermare: se le persone hanno un bisogno che nessuno ha soddisfatto prima di allora, e tu invece ci riesci: è fatta. Quel lettore è diventato il tuo.
Perché io ho comprato per esempio “Cantilena mattutina nell’erba” dello scrittore islandese Thor Viljalmsson? Per la copertina; il prezzo; la casa editrice; l’Islanda.
Soprattutto credo che la decisione di acquistare quel libro, e non un altro, sia nata perché speravo che quella lettura fosse in grado di soddisfare appunto un mio bisogno. Non molto tangibile magari, ma credo che accada sempre così quando si sceglie di dare fiducia a un nome sconosciuto.
Potremmo a questo punto sviscerare meglio la questione per cercare di comprendere questo benedetto bisogno che spinge me (ma anche tu che leggi queste righe) a comprare un titolo di uno scrittore sconosciuto.
Aspetta un secondo…
Non posso farlo perché l’articolo è già abbastanza lungo, tu ti stai stancando di passare da una riga all’altra, un paragrafo dopo l’altro con la non tanta bislacca idea che chi scrive alla fine ti lascerà con un pugno di mosche. (Io vorrei conoscere qualcuno che è riuscito ad acchiappare un pugno di mosche. È già tanto se io ne piglio una).
Se sei un autore indipendente però devi, a mio parere, lavorare su coerenza e unicità. Sempre tenendo conto del fatto che non ci sono mai garanzie. Ma almeno in questo modo inizi, forse, a imboccare la giusta direzione.
Certezze ce ne sono ben poche, in questo mestieraccio.
Comunque, ci vediamo a settembre!
Coerenza e unicità. Significa dare il meglio di sé, a prescindere dal resto, secondo me. Perché l’unica vera coerenza è rispetto alla propria evoluzione, non rispetto alle esigenze del mercato o altro. E’ la missione di una vita ma, del resto, cosa c’è di più importante?
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Lo sapevo che avresti risposto così 😉
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Coerenza soprattutto verso i lettori, perché se non si è coerenti, se non si è sinceri, prima o poi se ne accorgono. Sull’unicità, penso che come esseri umani siamo già unici, perciò basta esprimere noi stessi anche nella scrittura.
Buone vacanze intanto. 🙂
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Eh sì, c’è anche quella, di coerenza. 🙂
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Altrettanto!
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scrivere per il mercato? Certo sarebbe bello ma vuol dire snaturare la propria essenza.
I ‘romance’ vanno forte. Perché? Si scrive per un pubblico femminile che legge harmony, Liala e altri autori del genere ‘rosa’.
Domanda da zero punti: saresti in grado di scrivere una storia del genere ambientat che ne so mel 1800?
Io no e diffatti non vendo nulla o quasi.
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No, non sarei in grado di scrivere qualcosa del genere.
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neppure io. Eppure conosco delle scrittrici self che vendono un sacco
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Non credo si possa programmare la scrittura in base a ciò che si pensi possa interessare al pubblico, il mercato può essere imprevedibile (come dimostra il successo di alcuni libri da te citati). Secondo me bisogna scrivere seguendo il proprio sentire. Buone vacanze
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Però non di rado la programmazione funziona. Non sempre, ma funge. Buone vacanze anche a te.
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1000 fan sfegatati significa che devi averne 10.000 totali o più.
Se da una parte è vero che occorre studiare il mercato, dall’altra bisogna considerare le proprie aspirazioni.
Il mercato, poi, lo fanno anche gli autori.
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Però per creare un proprio mercato occorrono capacità non comuni.
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