di Marco Freccero. Pubblicato il 7 novembre 2022.
Qualche tempo fa, a un commento della blogger e scrittrice Barbara Businaro a questo mio articolo, replicavo scrivendo:
“Io ho una vita molto banale. Ma forse la banalità è uno degli ingredienti per scrivere storie?”.
E mi è parso che ci fosse del vero in una simile affermazione.
Chi diavolo è Marco Freccero? Un vecchio che si avvia verso i sessant’anni senza aver mai oltrepassato i confini del Paese (a parte una volta, quando sono stato a Grasse, in Francia). Non sono mai andato al di sotto di Roma. Né mi piace viaggiare o l’idea di viaggiare. Apre la mente? Ne dubito; ma se con tutte le aperture che comportano i viaggi, poi mi busco un raffreddore?
Qualcuno potrebbe pensare:
“Questo spiega un sacco di cose!”
Cosa diceva Cechov
Forse. Magari la mia scrittura soffre di provincialismo (che diavolo avrà di così interessante la città di Savona per ambientarci sempre le mie storie?), ma alla mia veneranda età non vale la pena cambiare; non ne ho alcuna voglia. E poi, per ottenere quali risultati? Probabilmente poco o nulla, quindi va bene così.
Il bello della scrittura è che essa non richiede esperienze eccezionali. Mi piace sempre ricordare che cosa scriveva il buon Anton Cechov:
“È più facile scrivere di Socrate che d’una signorina o d’una cuoca”
E aveva ragione. Se esiste una forma d’arte che più di altre ha bisogno di materiali umili per emergere, lo è la scrittura. Ormai ci si fa poco caso, perché siamo tutti molto impegnati (in parte giustamente) a rendere sociali i nostri libri. A farli giungere a più persone possibili, insomma. E quello che emerge troppo spesso è una scrittura che deve per forza di cosa celebrare le cose eccezionali, enormi. Eccellenti. Si dirà che questo modo di pensare, e di scrivere, riguarda sì molti autori indipendenti e non solo loro; ma sono destinati ai margini, e poi al dimenticatoio.
Verissimo, concordo su tutta la linea.
Ma forse se queste persone comprendessero questa semplice verità, vale a dire che la scrittura ha bisogno di materiali umili, forse vivrebbero leggermente meglio. Non è detto, certo. Magari smetterebbero di scrivere (e anche in questo caso ci tratterebbe comunque di un buon risultato, se le loro opere sono superficiali).
Siamo un soffio
Ma torniamo all’argomento di questo articolo.
In fondo Omero (che probabilmente non è mai esistito), scriveva delle cose più comuni del mondo (il suo mondo): la guerra (l’Iliade). E i viaggi, perché erano prerogativa soprattutto dei soldati, o dei commercianti (l’Odissea). A quei tempi EasyJet aveva qualche problema con le piste di atterraggio.
Era un mondo nel quale si celebrava l’eroe forse perché in breve sarebbe finito nella polvere; come puntualmente accadeva perché in guerra, concetti come valore, coraggio, forza, sono sottoposti all’arbitrio della sorte. Quindi oggi vinco io, domani il mio sangue disseterà la terra.
E il materiale più umile di cui si occupa la letteratura che cos’è, se non l’essere umano? Al di là delle banali affermazioni del progresso impegnato in maniera forsennata (pare) a rendere la vita lunghissima (a chi potrà pagare certi trattamenti sanitari, si capisce), abbiamo a che fare con una povera creatura che un ictus può stroncare in qualunque momento. Tutto il successo che può raggiungere; tutto il potere che può gestire non riescono a fermare l’imprevisto, l’imprevedibile.
Ma forse inseguiamo successo e ricchezza proprio perché, sotto sotto, a livello nemmeno troppo inconscio, siamo perfettamente consapevoli che siamo un soffio. E quindi sogniamo di dominare con ogni mezzo e a qualunque costo, perché gli altri ci ricordino.
Argomento lugubre? Può darsi. Chissà se per esempio questa riga, e le seguenti, saranno ancora lette da qualcuno.
Il cuore è la parola
Il cuore di questo articoletto è la scrittura, la parola. Una faccenda che forse in origine nasceva per altri scopi (parlo dell’oralità). Magari ci siamo messi a parlare per proteggerci, per proteggere gli altri componenti del gruppo, o meglio del branco, dagli attacchi delle bestie feroci. Non bastava il grido di allarme, i rumori; avevamo bisogno di spiegare e spiegare a noi stessi che tipo di pericolo si stava avvicinando, occorreva un modo per descriverlo, catalogarlo, e quindi reagire.
Reagire, invece di subire.
Forse l’umanità nasce nella savana africana quando non tollera più di subire gli attacchi da parte delle bestie feroci; e decide di reagire. Di opporsi. Ma questo è un argomento che io non posso certo affrontare.
La scrittura nasce, e in seguito si impone, perché occorreva fissare su un supporto “solido” ciò che non poteva essere affidato alla memoria. Infatti si scrive (in Mesopotamia) per tenere traccia dei raccolti, delle tasse. Il mondo si faceva più complicato, e occorreva adeguarsi al tasso di complicazione che portava con sé.
Poi (o nello stesso periodo?), ecco che la scrittura diventa altro. Quello che ancora adesso incontriamo andando su Amazon o entrando in una libreria. D’accordo, forse non è esattamente la medesima cosa; ma continua a rivolgersi a quel materiale fragile, umile che conosciamo trattando appunto di cose fragili e umili. La scrittura cambia (forse…), si adegua (solo in parte?); ma alla fine tutto quello che rappresenta sono sempre le medesime cose. C’è solo da chiedersi ancora una cosa.
Perché esiste questa ideologia che tende a rappresentare l’essere umano così differente da quello che è? Un essere fragile e umile.
Ci si vergogna, probabilmente. E si snatura perciò la parola, riducendola a un olio lubrificante per rendere l’ideologia più accettabile e anzi: simpatica. Ecco allora parlare del sogno americano; o del sogno della felicità spesso a scapito degli altri; o del sogno dell’immortalità, o del successo. Tutti, a mio parere, figli di un’idea che si vuole respingere (con discreto successo): siamo roba umile. Celebrare questa realtà, o anche solo parlarne, pare sconveniente.
Soffermarsi su tutto quello che non è forza e potenza viene spesso considerato una perdita di tempo. Certo, ognuno fa quello che vuole, e sceglie come preferisce l’argomento delle proprie storie. Peccato solo che molti perdano l’occasione di avvicinarsi agli altri, a se stessi, e preferiscano inseguire chimere che alla lunga sì, li renderanno memorabili.
Da parte di creature fragili. A me pare una follia.
Si scrivono storie di cui si conosce la trama ambientate in un mondo familiare.
Scrivere una storia ambientata in Perù, ad esempio, senza conoscere paese e usanze si fa un peccato di superbia.
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In realtà io nel mio commento all’epoca avevo espresso un’altra idea. 😀
Dicevo: “Sulla scrittura, raramente attingo alla mia vita e ai miei ricordi, sai che noia e che barba! L’ho spiegato varie volte, per me scrivere è immaginare altro, lontano dalla mia quotidianità, perché proprio lì sta il MIO divertimento.”
Perciò la noia non sarebbe tanto del lettore, quanto di me a scrivere qualcosa che non mi piace, più che noia, fastidio direi. Questo non vuol dire che scrivere “lontano dalla mia quotidianità” sia sempre scrivere di fantasmi e spiriti, anzi, io raccolgo e scrivo storie vere. Prendo “l’ordinario” e lo elevo (o almeno ci provo) a “straordinario”. La prossima sarà in uscita al 15 novembre, sarà per altro la prima storia vera dove la protagonista si palesa con cognome e foto pubblicata. Storia quotidiana, una lunga malattia, ma straordinaria per la forza d’animo. 🙂
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Si sa come funziona. Tu scrivi, e qualcuno in quello che scrivi ci trova tutt’altro 😀
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La scrittura ha bisogno di materiali umili? È possibile, ma io credo che la “letteratura” debba “ disturbare” lo disse uno scrittore famoso in una intervista di Fazio (ma non mi ricordo più chi sia 🙃) però il concetto mi é rimasto impresso. É importante raccontare le storie che (forse) nessuno vuol sentire perché disturbano, sono le storie dei più umili, poveri e bistrattati dalla vita, oppure semplicemente storie di gente comune in cui qualcuno possa riconoscersi. È così che sono nati romanzi come quelli di Verga (I malavoglia o Mastro Don Gesualdo)…
I tuoi racconti e romanzi parlano della gente comune, per esempio. A proposito del fatto che non hai mai viaggiato ti ricordo che Emilio Salgari ha scritto i suoi romanzi sulla tigre della Malesia senza aver mai viaggiato!
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Sì, Salgari non ha mai viaggiato… E secondo i critici si vede! Perché le sue descrizioni sono abbastanza superficiali, prese dai libri che consultava in biblioteca.
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Vabbé ma i critici sono dei criticoni 😉
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Lo dice il nome! 😀
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La scrittura ha bisogno di materiali umili? È possibile, ma io credo che la “letteratura” debba “ disturbare” lo disse uno scrittore famoso in una intervista di Fazio (ma non mi ricordo più chi sia 🙃) però il concetto mi é rimasto impresso. É importante raccontare le storie che (forse) nessuno vuol sentire perché disturbano, sono le storie dei più umili, poveri e bistrattati dalla vita, oppure semplicemente storie di gente comune in cui qualcuno possa riconoscersi. È così che sono nati romanzi come quelli di Verga (I malavoglia o Mastro Don Gesualdo)…
I tuoi racconti e romanzi parlano della gente comune, per esempio. A proposito del fatto che non hai mai viaggiato ti ricordo che Emilio Salgari ha scritto i suoi romanzi sulla tigre della Malesia senza aver mai viaggiato!
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