di Marco Freccero. Pubblicato il 21 novembre 2022.
Lunedì 5 dicembre 2022 uscirà la terza e conclusiva parte di “Stella Nera”.
Oggi, puoi leggere gratis il primo capitolo di “Stella Nera”, dal titolo “Le luci dell’Occidente”, pubblicato nel dicembre 2020. Il libro, disponibile in formato cartaceo solo su Amazon, è in vendita, anche in formato digitale, sui principali negozi online.
Buona lettura!
La crucca
(Città di Savona – Anno 1987)
La crucca era morta: alleluia. Anche se non gli pareva che fosse proprio crucca; forse era austriaca, o ungherese, ma tanto era di quella genia lì: veniva dalla terra dei crucchi, appunto. Per Leonardo Perrone, chi abitava fuori Savona era un “foresto”. Quelli che stavano sopra l’Italia, erano tutti crucchi.
Adesso che era morta doveva sbrigarsi. Chiamare la guardia medica, o l’ambulanza, ma non conosceva la procedura, se prima l’una o l’altra; oppure il medico di famiglia? Ma chi era il medico di famiglia della crucca?
Erano le sei e trentacinque quando si era deciso a usare la chiave e aprire la porta, dopo aver suonato, suonato, suonato il campanello. Tra una scampanellata e l’altra, un’imprecazione sottovoce.
Lui aveva dormito poco quella notte, perché la persiana della camera da letto della donna aveva sbattuto. Nei vicoli del centro storico di Savona il vento pareva trovarsi a suo agio, e in certe notti non faceva che tornare e tornare. In quegli stretti camminamenti che dividevano i palazzi, dove i palazzi stessi parevano mura di fortezza, il vento si infilava e giocava coi fili della luce, i lampioni, i pochi panni stesi o le persiane lasciate senza il fermo. Quella aveva sbattuto perché la donna era morta e non aveva potuto chiuderla.
Eccola lì infatti, distesa sul letto, vestita nella sua camicetta bianca coi pizzi ai polsini, la gonna lunga, il grembiule rosso vino, le calze nere sulle gambe gonfie, le ciabatte sullo scendiletto. Forse si era distesa per riposare un po’, oppure si era sentita male e aveva raggiunto il letto solo per morire. Aveva sentito qualcosa, lui, a parte la persiana: forse un grido, una richiesta di aiuto? Non gli pareva; si strinse nelle spalle e si avvicinò al cadavere. Gli occhi socchiusi come la bocca, il viso liscio e smunto; solo la carne, bianchissima, mormorava di morte.
Se ne rimase per qualche minuto immobile, senza pensare, gli occhi sul cadavere. Infine recitò la preghiera L’eterno riposo a bassa voce, frenando uno sbadiglio.
Si sfregò le mani, guardò negli angoli della stanza e sorrise. «Vediamo cosa c’è di bello nella tua casetta».
Leonardo abitava al secondo piano di un edificio di via dei Sansoni, in affitto da oltre quarant’anni. Lui ne aveva ormai sessantacinque, ed era in pensione dopo aver lavorato, da quando era tornato dalla guerra, come spazzino per il Comune di Savona. Non si era mai sposato.
Quattro mesi prima, all’inizio di aprile, il canonico della Cattedrale gli aveva chiesto di dare una mano a quella donna che viveva da sola, usciva pochissimo e aveva le gambe che le facevano male. Tanto abitava sul suo stesso pianerottolo, aveva aggiunto. I preti, si sa, si fanno in quattro per le persone cattive; i buoni, invece, li usano come scalini per il Paradiso.
La vicina era una persona riservata, con un viso che pareva di marmo e che ignorava quel movimento muscolare chiamato sorriso. Quando usciva di casa e lui era sul pianerottolo, si affrettava a chiudere la porta, quasi che oltre ci fosse qualcosa di sconveniente. Salutava tenendo lo sguardo basso, quasi fosse costretta da un dovere al quale si obbligava di malavoglia. Dopo tanti anni di vicinato, lui aveva la percezione che quegli occhi chiari fossero in grado di cogliere, negli altri, debolezze e dettagli a loro stessi ignoti. Stanavano perché osservavano, e Leonardo, nei lineamenti del volto della vicina, scorgeva la glaciale consapevolezza della sua superiorità.
Aveva accettato la richiesta del canonico. Per quella ragione aveva una copia della chiave di casa della vicina: per poter intervenire in caso di emergenza, ma doveva essere vera emergenza, gli aveva spiegato la donna, col dito indice agitato vicino al viso, tondo e un po’ da bambino, di Leonardo. Lui aveva sgranato gli occhi sporgenti, dietro gli occhiali di plastica; aveva cercato di replicare, senza riuscirci.
«Io so chi essere tu. Tu non mi freghi, italiano» gli aveva detto la prima volta che lo aveva fatto entrare in quella casa. Lui nemmeno aveva osato replicare.
Alla fine la “vera emergenza” era arrivata.
Ogni mattina, alle sei e mezza, e questo faceva parte dell’accordo, Leonardo suonava il campanello, e lei gli apriva. La salutava, col suo basco sempre in testa qualunque fosse la stagione; cambiava solo il colore: nero, marrone, oppure blu.
Lei lo squadrava con quel paio di occhi piccini, come se ogni giorno dovesse verificarne l’identità. Si scostava dalla soglia e con un gesto del capo gli faceva cenno di entrare. Corridoio corto e buio, pareti bianche appena ingrigite, a sinistra la camera da letto, la porta spalancata su mobili scuri e colori smorti; a destra un’altra camera, sempre chiusa. In fondo la cucina, accanto il bagno. Lei a quell’ora aveva già preparato la lista della spesa, coi soldi accanto.
«Ultima volta mele troppo dure»; «Sedano vecchio»; «Basilico con foglie troppo piccole»; «Banane troppo acerbe». Non parlava; emetteva sentenze con quella voce grave, quell’italiano che in bocca sua perdeva la musicalità per diventare una lingua di metallo. Era incredibile come trovasse sempre da ridire sulla spesa fatta; come controllasse per tre volte il resto, senza mai dargli duecento lire per il disturbo.
Guardò l’ora: le sette meno cinque. Doveva sbrigarsi.
Voleva dare un’occhiata in giro, prima di comunicare la notizia. Dietro la porta della cucina c’era il calendario di Frate Indovino, la foto in bianco e nero della facciata di una chiesa; e un attaccapanni di plastica nera dove era appesa una borsa rossa. C’infilò la mano destra, pescò il portafoglio di pelle chiara. Lo aprì: c’erano centocinquantamila lire e due banconote da cinquemila; sorrise.
«E brava la mia donnina! Questa sì che è una sorpresa» disse.
Prendersi tutto sarebbe stato eccessivo, anche se lui era quasi certo che la donna non avesse nessuno al mondo. Ma se avesse avuto davvero dei cugini o dei nipoti, lassù nella terra dei crucchi, come potevano capire se mancavano dei soldi? Si sistemò gli occhiali di plastica nera scivolati sulla punta del naso aquilino, lasciò le banconote da cinquemila lire, le restanti finirono nella tasca posteriore destra dei calzoni.
L’aeratore sul vetro della finestra con le cordicelle ingrigite era aperto; decise di lasciarlo così, perché l’aria circolasse.
Si mosse verso la camera che non aveva mai visto aperta. Abbassò la maniglia; era chiusa a chiave. Indietreggiò, strabuzzò gli occhi; riprovò ad aprirla. Se riceveva poche visite, se era sola al mondo: perché tenere una camera in quel modo?
«Qui potrebbe esserci qualcosa di buono come il pane» mormorò, e si guardò attorno. «Se dopo quei soldi, qua dentro ci fosse il meglio?».
Tornò nella camera dove giaceva la morta; restò sulla soglia, soprappensiero. Si avvicinò al letto, si grattò il naso e aprì il cassetto del comodino, frugò, fece attenzione a lasciare intatta ogni cosa. Tutto era suddiviso, in ordine, sulla carta colorata che copriva il fondo; era certo che tutti i cassetti fossero in quel modo, perché ogni più piccolo dettaglio in quella abitazione era sistemato con rigore. Lì dentro c’era un fazzoletto di tela bianco; una confezione di batterie intatta, una pila tascabile e una scatola di cerotti. Socchiuse lo sportello che stava sotto: c’era un vaso da notte di metallo. Lo richiuse. La sveglia continuava a scandire il tempo per la sua padrona indifferente, mentre a lui suggeriva di darsi da fare.
Spalancò l’armadio con al centro un alto specchio, vide cappotti, gonne e giacche, tutto in tono scuro, al massimo grigio; provò col comò, aprì i primi due cassetti, ma era inutile cercare, lo sentiva mentre il naso riconosceva un tenue odore di lavanda. Mettere le mani nella biancheria intima di una donna lo metteva a disagio, e non voleva che qualcuno, in seguito, potesse sospettare che le mani di uno sconosciuto avevano frugato. Si voltò di scatto verso il cadavere: forse ce l’aveva addosso.
Cercò nella tasca destra del grembiule; fazzoletto di tela umido e caramelle Rossana. In quella sinistra: una chiave. Sorrise.
Tornò alla porta chiusa, infilò la chiave nella toppa, la girò e la serratura scattò. Abbassò la maniglia e spinse la porta, silenziosa sui cardini.
Attese che gli occhi si abituassero al buio. Era un ambiente piccolo, fresco, mentre là fuori si aggirava un tre di agosto indebolito dalle piogge, ma capace ancora di un’afa muscolare. Riconobbe un armadio, dei tappeti, alcuni arrotolati e appoggiati alla pareti chiare; delle sedie accatastate, un tavolo rotondo impolverato, un letto singolo con tanto di branda e materasso. Le pareti erano spoglie. Entrò e guardò il pavimento, anche lì di piastrelle quadrate rosse e nere. Accese la luce, e quella parve scendere come una stanca ragnatela sull’ambiente impolverato.
«Hai già finito di masticare, caro mio» disse, e piegò le labbra in una smorfia.
Continuò l’ispezione. L’armadio era vuoto; c’era qualche coperta grigia piegata con cura, con l’odore di naftalina che quasi lo fece starnutire. Lo richiuse. Notò una cassapanca in un angolo, senza lucchetto; ne alzò il coperchio. Il legno era vecchio.
Si chinò. C’erano delle borse di plastica annodate: le contò. Erano quattro, impolverate. Ne aprì una e pensò di avere gli occhi che facevano gli scherzi, quella mattina. Quanto gli restituivano richiese un po’ di tempo prima di convincerlo che era tutto reale.
Dentro alle borse c’erano decine e decine di foto in bianco e nero. Ritraevano volti di uomini e donne di ogni età, anche bambini. Ingiallite, coi bordi rovinati, alcune piegate, strappate o spiegazzate. Leonardo ne prese qualcuna, le guardò; sul retro era presente una scritta: Budapest 1944. Sentì qualcosa di freddo strisciare nel petto; qualcosa che pescava a piene mani nei territori della paura.
«E questa che roba è? Che significa» mormorò. Sfogliò qualche foto: un uomo sui sessanta pelato e con grosse orecchie, gli occhi sbarrati, chiari. Una vecchia tutta rughe a mani giunte. Una ragazzina sui dodici, tredici anni, coi lunghi capelli scuri annodati in trecce che le ricadevano sul davanti, la scriminatura spostata di lato; sorrideva. Leonardo prese quella foto con entrambe le mani, deglutì.
Rimase a osservarla. Sentiva come se una vecchia falda di sentimenti che si era seccata da decenni, da quando era un bambino, avesse ripreso a sgorgare, a irrigare il suo cuore. Scosso, rimise in tutta fretta la foto assieme alle altre.
Tirò fuori dalla cassapanca tutte quelle borse. C’erano dei libri sul fondo coperto da carta da pacchi. Ne prese uno, si alzò e si avvicinò al lampadario per leggere il titolo. Sottovoce lesse: “Die”, ma non andò oltre perché la scritta era strana. Più in basso c’era un “von”.
«Una crucca legge roba crucca» disse. Sfogliò le prime pagine, vide l’anno dell’edizione: 1919. Allora lo osservò meglio: la costa era blu e al centro, sopra il titolo, c’era una stella. La qualità della carta, non solo la copertina, era ancora eccellente. I fogli erano intatti, senza strappi o pieghe. In tutto erano meno di ottanta pagine. Ci pensò su. Tornò alla cassapanca. Fece un respiro profondo; la polvere gli grattò la gola. C’era un altro libro, identico; lo prese. Forse valevano qualcosa, e magari poteva ricavarci un po’ di soldi, piazzandoli in giro come pezzi unici.
Si rianimò un poco. «Qui caro mio c’è una roba che vale la pena di fare. Oppure no, ma comunque vada non c’è rischio. Non c’è proprio rischio. Pensaci. Pensaci bene. Un lavoretto pulito, perché anche se non ci guadagni, non ci perdi nulla».
Decise di provarci.
Si rese conto che la carta da pacchi sul fondo in realtà non ricopriva nulla, ma racchiudeva qualcosa. Aveva dello spago annodato, a formare una rudimentale croce. Trasse fuori l’involucro, lo tastò lungo i bordi e le dita tozze gli diedero l’informazione che si trattasse di una sottile cornice. Forse era un quadro.
«La pesca miracolosa continua. Cara la mia crucca. Tenevi tutto sotto chiave, ma qualcosa dalle manine ti è scivolato via, e il buon Leonardo raccoglie. Raccoglie tutto! Non sia mai che finisca nel cassonetto senza che prima non me lo sia studiato per bene» sogghignò.
Prese anche quello.
Ripose nella cassapanca le borse, dopo averle annodate di nuovo. Abbassò il coperchio, uscì sul corridoio, chiuse la camera e rimise la chiave nella tasca del grembiule della morta. Cambiò idea. La riprese, aprì il terzo cassetto del comò e la mise sotto una pila di mutande.
Stava per uscire sul pianerottolo quando ebbe un’illuminazione. Con la copia della chiave dell’appartamento tornò in cucina. Aprì un cassetto della credenza e la depose dentro. Sorrise e tornò all’uscio; lo socchiuse. C’era silenzio, ma rimase per mezzo minuto in ascolto. Uscì sulle scale e fece scattare la serratura della porta alle sue spalle.
«Te sei un mezzo genio, Leonardo» si complimentò.
Nel proprio appartamento sistemò i libri e l’involucro sotto il letto in camera sua. Guardò l’ora: mancavano pochi minuti alle otto.
Telefonò alla Croce Bianca e spiegò che la vicina, anziana, quella mattina non rispondeva più, non apriva la porta nonostante avesse bussato e suonato. Quando abbassò il ricevitore si ricordò di avere già visto la stella stampata sulla copertina di quei libri. Era il simbolo degli ebrei.
«Dove ci sono quelli lì, ci sono soldi» disse. «Bravo Leonardo». Abbozzò un paio di passi di danza, prima di lasciarsi cadere su una sedia. Aveva il fiatone come dopo aver salito le scale.
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Io aspetto il terzo libro, 5 dicembre quindi
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Esatto!
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Bello come incipit. Scrittura scorrevole e ben strutturato
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Grazie!
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