Leggi gratis il primo capitolo di “Stella Nera – La promessa”


 

 

 

di Marco Freccero. Pubblicato il 28 novembre 2022.

 

 

 

Lunedì 5 dicembre 2022 uscirà la terza e conclusiva parte di “Stella Nera”.

Oggi, puoi leggere gratis il primo capitolo del secondo libro di “Stella Nera”, dal titolo “La promessa”, pubblicato nel dicembre 2021. Il libro, cartaceo (solo su Amazon) o digitale, è in vendita sui principali negozi online.

Buona lettura!

La voce di Jutta Panckzac

L’uomo con l’anello d’argento era in piedi, le mani dietro la schiena. Guardò a lungo il quadro sul tavolo. D’un tratto lo gettò sul divano del camper, e calò di colpo i pugni sul piano, lo scheggiò.

Ripassò gli eventi degli ultimi mesi. Come avrebbe giustificato gli errori, le incertezze. Presto avrebbe dovuto spiegare perché l’Ecce Homo restava disperso; deglutì. Si sarebbe preso il tempo per trovare dei buoni argomenti, prima dell’incontro nella villa di Bergeggi. D’altra parte, il capo gli aveva ordinato di limitare i contatti, e che erano necessari solo per comunicazioni fondamentali.

Allungò un braccio e scostò le tendine: la pioggia era cessata. Qualche minuto prima, il colpo di pistola gli aveva regalato un breve sollievo. Amava le decisioni definitive, i punti fermi. Avevano il pregio di mettere ordine al caos che gli eventi seminavano con generosità nella vita delle persone. Non invidiava il lavoro dell’uomo, in quelle condizioni: la terra intrisa d’acqua, la poca luce che i fari del camper lanciavano nelle tenebre. Quel pozzo nel bosco di cui nessuno conosceva l’esistenza. Persino nelle carte militari non se ne faceva menzione e lui, da appassionato, le aveva studiate con scrupolo. Sia le recenti, sia quelle che risalivano agli anni della Seconda Guerra Mondiale. Da oltre mezz’ora erano là fuori, l’uomo e la ragazza.

Il sollievo scomparve. Sedette sul divano, si prese la testa tra le mani. Ce l’aveva con se stesso per un’altra ottima ragione.

Perché quella volta non aveva colpito la signora Jutta con un pugno, e non era fuggito con l’Ecce Homo? Lo aveva tenuto in mano, lo aveva visto; era al di là delle aspettative, anzi creava aspettative che nessun sogno sfrenato poteva concepire. Cosa sarebbe potuto accadere, dopo: nulla. Non si sarebbe mai rivolta alla polizia. Dalla frequentazione di Jutta Panckzac tutto quello che aveva ricavato erano dei cimeli: il berretto del fratello, la cintura con il teschio in rilievo e il motto “Gott mit Uns”, la fondina della Mauser. Lui aveva concluso che se ne liberava perché il fratello era morto. Aveva cercato di indagare, lei si era rifiutata di rispondere.

Risentiva nelle orecchie la voce di quella donna, che negli ultimi tempi si divertiva a prenderlo in giro, a umiliarlo. Verso la fine di luglio aveva acconsentito a un incontro, e dopo una mezz’ora fatta di derisioni e sberleffi, gli aveva consegnato un’audiocassetta. Rifluì un’idea, la solita vecchia idea che da settimane saltava fuori. Forse senza rendersene conto quella donna, parlando al registratore, gli aveva svelato qualcosa sul destino dell’Ecce Homo.

Si alzò, si spostò nel retro del camper, prese l’audiocassetta dalla cassaforte e la inserì nel registratore, con gesti stanchi. Premette il tasto per la riproduzione. Ormai conosceva a memoria quanto diceva, ne aveva fastidio.

Alzò il volume. Dall’altoparlante, dopo qualche secondo, uscì un fruscio, un colpo di tosse, un altro. Infine, la voce di Jutta Panckzac:

“Mi hai perseguitata per avere il quadro. Una volta te l’ho fatto vedere ed è stato peggio. Un errore. Da allora tu insistito, sempre insistito, come un porco vecchio e stupido. Hai continuato a venire a casa mia, a farmi visita per convincermi a darlo a te. Uno dei tanti troppi inutili e stupidi italiani che abitano questa Terra. Il mistero di questo Paese è che ci sia un tale numero di stupidi, come bestie; e nello stesso tempo produce dei geni. Mentre dovrebbe sprofondare, morire. Macchiavelli. Leonardo. Michelangelo. Giotto. Bernini. In voi italiani c’è una tale stupidità, una miseria tanto grande, che alla fine tutta questa miseria fa, in un modo molto molto strano, da concime. Oppure, alcuni spiriti emergono così prepotenti e sono così luminosi, perché hanno, come si dice, nausea, di voi. Schifosi e vigliacchi. Ecco perché l’Italia produce degli autentici geni, e tutti gli altri popoli non possono che ammirare. Siete il letame da cui nasce il genio. Più il letame è tanto, più grande è il genio.

Tu non degno di vedere più questo capolavoro. Quante sere ho passato in sua compagnia. L’ho osservato, l’ho studiato. Per anni. Una sera ho deciso di non vederlo più, e che nessuno lo vedrà più. Tu cerchi, tutti voi cercate come topolini, come ratti schifosi. I tuoi amici, che non ho mai voluto conoscere, sono italiani e stupidi come te, peggio di te. Volevi il quadro perché avevi paura che la gente lo scoprisse. Tu dicevi sempre che la gente non deve vedere certe opere perché non sarebbe più gregge da tosare. Mi fai ridere, stupido italiano. Sei ignorante come solo un italiano può esserlo.

La gente non vuole la bellezza: fai rumore, grida, fai rumore con culo e rutta, e la gente ride e batte le mani e ne chiede di più, sempre di più. Dì alla gente di stare in silenzio davanti a un quadro come questo. Dopo trenta secondi uscirà urlando dalla stanza. Solo gli esseri superiori possono guardare negli occhi un’opera d’arte e comprenderla tutta. Amarla. Adorarla.

Da una parte i forti, i grandi, e dall’altra come si dice: gli armenti. Voi italiani siete gregge, e non si danno le perle al gregge. Ai porci. Perché dare l’arte ai maiali italiani, che non sono capaci di apprezzare la bellezza. Se lo foste, non vivreste come bestie.

Tu sai come il mio adorato fratello lo ha trovato. O forse no. A volte la memoria si perde nei ricordi, diventano un labirinto. Io sono vecchia. Ecco perché mi sono decisa a questo passo. Il mio adorato e buon fratello, il mio unico fratello, il mio caro Heinrich: sarei stata felice di dargli dei figli, ma eravamo fratelli. Lui era il solo uomo con cui avrei potuto farli. Non c’è mai stato nessuno come lui. A parte il nostro magnifico Führer, la luce che è venuta sulla Terra, a illuminarla, a portare la verità, ma i suoi lo hanno prima amato, idolatrato, poi ingannato, tradito e ucciso. Ricordo quando il mio Heinrich mi disse: “Jutta cara. Ho trovato qualcosa di unico. Buttato dentro una cassapanca. Un capolavoro”. Questo mi disse quel giorno, era il 1943. Eravamo a Cairo, si chiama così mi pare, quel posto.

Lui girava per le chiese a caccia di qualcosa di bello, di artistico. Cercava ossigeno, capisci? Ossigeno, arte per respirare, per allontanare il fetore di quella gente inutile, inutile. E ha trovato un capolavoro del genere, abbandonato da un prete stupido in una cassapanca. Solo noi potevamo trovarlo, lo capisci, porco italiano? Noi soltanto potevamo riconoscere che cosa racchiudesse quella luce, quei colori. La bellezza, l’arte. Voi, gettate tutto in una cassapanca e ve ne dimenticate. Voi guardate ma non comprendete, non vedete quello che avete sotto il naso”.

La registrazione terminava in quel modo. Aveva provato, senza successo, a trascrivere quel discorso, qualche settimana prima, per cercare di trovarci un significato che all’ascolto era sfuggito. Magari la donna aveva continuato a parlare, e non si era accorta di avere spento la registrazione.

Si aprì la porta del camper, irruppe una folata di aria fredda. Entrarono l’uomo dalle braccia possenti e la ragazza sui trent’anni.

«Avete finito».
«Sì, signore» rispose l’uomo, con voce stanca.
«Adesso fatevi una doccia. Sistematevi. Io vado alla guida e rientriamo in città». Estrasse l’audiocassetta, la mise in tasca.
«Lasceremo un sacco di tracce» disse la ragazza. Sedette sul divano, con il braccio sinistro sistemò una ciocca di capelli biondi che era scivolata sul volto arrossato, e rabbrividì. Gli stivali avevano sporcato di fango il pavimento del camper. «Gli pneumatici sulla terra».
«Nevicherà» disse l’uomo con l’anello al dito. «Tutto sparirà e a primavera nessuno se ne accorgerà».

Dopo qualche secondo, mentre sedeva al volante, aggiunse: «Avete fame?».
Mise in moto, rilasciò il freno a mano. «Io sì».

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