È il caso a guidare “Delitto e castigo”?


 

 

di Marco Freccero. Pubblicato il 13 febbraio 2023.

 

 

 

Mi sono posto questa domanda: “Ma nel romanzo di Fedor Dostoevskij Delitto e castigo, davvero è il caso che guida tutto?”.
In apparenza sì.

Eppure sono convinto, dando un’occhiata alla vita di Fedor, che non sia esattamente così. Perché quando gli capitò di visitare Londra…
Mi rendo conto che si tratta del tipo di questione che posso pormi soltanto io. Né so spiegare perché me la faccia. Non è sufficiente leggere, e poi passare ad altro? Per me no, questo è evidente. Quindi ecco che cosa ne penso.

Dostoevskij a Londra

Quando Dostoevskij visita Londra, la città è al suo massimo splendore. Un apogeo che non toccherà mai più e probabilmente, di lì a poco, inizierà il lento declino (ai giorni nostri più che evidente). 

Lo scrittore russo si trova a Londra dopo aver visitato Parigi; e non ne rimane molto colpito, in realtà. Quindi di sposta appunto nella capitale del Regno Unito, una potenza militare ed economica impegnata a celebrare se stessa. In che modo? Grazie all’Esposizione Universale, che riassume, semplifica e certifica il trionfo non solo di una Nazione. Ma di un’idea. Che Fedor coglie perfettamente. Prima però di capire questa “idea”, andiamo a dare un’occhiata più da vicino a “Delitto e castigo”.

Dentro “Delitto e castigo”

Più o meno tutti sanno che Raskolnikov l’omicida (che diventerà però duplice omicida), sta pianificando di assassinare una vecchia usuraia. Quindi la deruberà dei suoi averi (oro, denaro?) e passerà il resto della vita facendo del bene e comportandosi meglio. Questo perché lui non solo lo ha deciso, ma ha la volontà di farlo. La vita è una questione di scelta: essere un Napoleone, oppure un semplice insetto, come la maggioranza delle persone che abitano il pianeta Terra? Lui ha fatto la sua scelta. Vuole essere non come il gregge, ma come quei pochi che ammazzano migliaia di uomini e sono chiamati condottieri, generali, grandi uomini dell’umanità. E a essi si dedicano vie, piazze, monumenti.

Raskolnikov non sarà mai come il gregge. 

Non è sufficiente volere una cosa, però. Occorre pianificarla, prepararla in ogni dettaglio. Un omicidio deve essere portato a termine non solo grazie a una ferrea volontà; ma con una determinazione totale, assoluta, dove al caso nulla deve essere lasciato perché da lì giunge il caos, la sconfitta. 

L’arresto. 

È il medesimo atteggiamento che aveva Dostoevskij quando sedeva al tavolo da gioco. Si ripeteva che “doveva” agire in un certo modo. Che era indispensabile avere una volontà ferrea per piegare il caso ai propri voleri. Che occorreva possedere un cuore di marmo per essere sovrani e impassibili, e decidere come e quanto giocare; e quando smettere. Strategia che Fedor ha applicato di rado, e che si è sempre rivelata catastrofica. Se all’inizio vinceva, ben presto il “cuore di marmo”; la volontà ferrea si sfarinavano, e perdeva tutto. 

Immancabilmente.

Raskolnikov pare determinato a portare a compimento il suo fine in un certo momento; pare perdersi un attimo dopo. A un certo punto per esempio invoca Dio: 

“Signore!” pregò. “Mostrami la mia strada e io abbandonerò questo orribile… Sogno!”. 

E che cosa succede? Che decide di rientrare a casa, ma invece di prendere la via più breve (è stanco…), allunga il tragitto. Finisce sulla piazza Sennaja, e lì chi ti trova? Lizaveta, la sorella dell’usuraia che lui ha deciso di uccidere. E ascolta una conversazione tra la donna e il marito e la moglie che gestiscono un piccolo negozio. In questo modo scopre che il giorno seguente Lizaveta non sarà a casa. Lui avrà via libera. La vecchia usuraia sarà sola. Il suo omicidio potrà avvenire. Questo fatto lo “spinge” a procedere con il piano. 

Lo spinge?

L’uomo del sottosuolo

La faccenda in realtà non è così semplice.

Se lui decide, contro ogni logica, di allungare il cammino per rientrare nel suo appartamento non lo fa perché il “caso” lo guida, e lui è una marionetta in mano a esso, del tutto incapace di ribellarsi. Questo è l’alibi che ci creiamo per rassicurarci che, appunto, non siamo noi ad agire, ma che siamo in balia di forze sconosciute. Come foglie al vento. 

In realtà Raskolnikov lo fa perché ha deciso così, e che questa decisione non sia figlia della logica non è un problema, poiché se parliamo di libertà, dobbiamo anche accettare che si compiano atti poco logici o del tutto illogici. La mancanza di logica in determinate decisioni non è affatto frutto dell’obbedienza al fato. È l’atto conclusivo di un essere che sceglie, che è libero, e quindi decide anche cose illogiche. Cose contro il suo interesse perché… Gli va. Come diceva l’uomo del sottosuolo? Diceva qualcosa come “Io me ne infischio cari signori, per me 2 + 2 fa cinque”.

Non è logico? E allora? Per l’uomo del sottosuolo la logica è una camicia di forza costruita proprio per attaccare la libertà (la sua libertà), quindi lui si ribella.

2+2 = cinque.

L’uomo del sottosuolo mostra la lingua alla logica. Se ne infischia, le ride in faccia e sa bene che alla fine lei se ne resterà lì a fissare con sguardo attonito l’opera dell’uomo del sottosuolo. Un’opera illogica, certo. Chissà cosa direbbe Dostoevskij dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi…

Ma se torniamo a Raskolnikov: lui decide. Sceglie. Probabilmente sente la vertigine ma solo perché nella sua decisione (illogica) percepisce un tale tasso di libertà (usata per pianificare un omicidio) che appunto ha la vertigine. Certo, poi sembra che il fato si metta di traverso. L’ascia che deve usare, e che si dovrebbe trovare in un certo posto… Non c’è! Tutto pare franare, il suo disegno non si attuerà: e invece? Ecco un’altra ascia pronta all’uso. La prende (esatto, “sembra” che il fato lo aiuti. Basterebbe che dicesse la parolina “No” e tutto finirebbe. Ma non la pronuncia perché ha già deciso come deve andare). Le esitazioni che ha, la lettura confusa che Raskolnikov fa degli avvenimenti nasce non perché egli è una barca in balia delle onde del mare (cioè del destino al quale non ci si può opporre). Semmai è l’ebbrezza che la sua libertà assoluta (vale a dire slegata da ogni dovere nei confronti degli altri. Vive da mesi lontano da tutti, rintanato nel suo appartamento) gli offre. 

Anche se può apparire folle: “Delitto e castigo” è (anche) un’apologia sulla fraternità. Su cosa succede quando ci si distacca dagli altri e verso di essi non si ha più alcun legame o dovere.

E Londra?

Non ti sfugge nulla, o lettore! Be’, ne parlerò in un altro articolo. Mi pare di aver già scritto a sufficienza, per oggi.

8 commenti

  1. E’ una scelta che lui abbia cambiato strada, è il caso che lui arrivi proprio per sentire quella conversazione, che fa scattare il suo piano. E’ una scelta che aveva già fatto, quello dell’omicidio dell’usuraia, è il caso che gli mette davanti le condizioni giuste per attuarlo. Poi, essendo un romanzo, è lo scrittore che decide il caso… 😀

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