di Marco Freccero. Pubblicato il 20 febbraio 2023.
Ho letto qualche mese fa l’ebook di Roberto Cotroneo dal titolo: “Il sogno di scrivere”; una lettura che consiglio. Qualcuno potrebbe liquidare la faccenda perché si tratta di uno dei tanti (troppi?) libri dedicati alla scrittura, e a quanti “sognano” di scrivere.
Sogno che sempre più persone realizzano, e possiamo scommettere che in futuro il loro numero aumenterà ancora. Questo rappresenta un problema?
La letteratura inquinata dall’autopubblicazione?
Naturalmente no. Lo è, forse, per alcuni critici o editori che ovviamente si scagliano contro questi dilettanti che non sanno stare al loro posto (ma qual è, esattamente, il posto di un dilettante?). Che inquinano la letteratura (come se la letteratura potesse essere contaminata da scritture mediocri… Orsù! Costoro dovrebbero ben conoscere la sua forza, se neanche le dittature riescono a lungo a tenerla alla catena).
Potrei aggiungere che io stesso la pensavo come costoro, un po’ di tempo fa. Vale a dire che chi scriveva era un essere “superiore”, al quale fare largo; e io ero uno di quelli che chiedeva appunto spazio. Ma è passato parecchio tempo da allora, per fortuna.
Torniamo però all’ebook.
Il sottotitolo dell’opera è “Perché è giusto realizzarlo”. Vero.
Certe polemiche contro l’autopubblicazione (credo di averlo già scritto in passato su questo blog), mi fanno tornare alla mente le dichiarazioni di politici e intellettuali quando in Italia si decise di aprire la scuola dell’obbligo a tutti. Che cosa ne sarebbe stato della scuola? I bifolchi stavano per invaderla (erano la maggioranza), e i poveri alunni diligenti (figli delle classi abbienti) sarebbero stati travolti, e annegati da questa massa di ignoranti.
La scuola ha ancora adesso grossi problemi, ma credo di poter escludere che l’esclusione dei “bifolchi” la renderebbe migliore. Magari se riuscisse ad agire partendo da essi, e smettendo di considerarli come fonte di problemi, sarebbe un passo nella giusta direzione.
Perdita di controllo
Anche se può apparire ridicolo, certe lamentele a proposito dell’autopubblicazione e della “democratizzazione” della scrittura tradiscono un vecchio desiderio. Quello di mantenere il controllo sulla produzione letteraria. Per poter rilasciare patenti di legittimità. Questo modo di ragionare nasce da una vecchia idea (o ideologia?) secondo la quale la scrittura, e tutto quello che si porta dietro (quindi ovviamente anche la cultura), è roba per pochi eletti, e così deve restare.
Sia chiaro: sono il primo a dire che il talento è antidemocratico. E non scopro nulla di nuovo se affermo che il 90% di quanto si trova nel vasto mercato dell’autopubblicazione è di dubbia qualità. Storie scritte in un pessimo italiano; oppure storie scritte bene ma che mancano di mestiere, di conoscenza dei meccanismi della narrazione.
Ma il fatto che io, o altri, senza alcuna patente rilasciata dalle case editrici, dai salotti letterari e dalle riviste letterarie, possa annientare l’edificio della cultura: è una pura follia. Significa negare alla letteratura quella forza che si decanta con tanto vigore all’interno di fiere e manifestazioni analoghe.
Perché tanto disprezzo?
Sono diversi i vantaggi che l’autopubblicazione ha portato nella vita delle persone, e se nessuno ci bada è proprio perché essendo “troppo” democratica, appare anche a noi come qualcosa di quantomeno sconveniente. Insomma, tutta ‘sta gente che scrive e poi si autopubblica: ha passato il segno! La faccenda ci sta sfuggendo di mano, e anche se non è possibile fermarla (purtroppo!), almeno lanciamo gli allarmi. Vigiliamo!
Qualcuno potrebbe affermare che tanto disprezzo nasce dal timore che prima o poi qualcuno che scrive potrebbe avere un buon successo (ma è già accaduto). E davanti alle profferte di una o più case editrici potrebbe persino rifiutare (si è già verificato) di accasarsi. Dimostrando che si può scrivere storie di qualità restando fuori dalle case editrici!
Ecco la vera minaccia.
(Faccio modestamente notare che qualche riga fa ho scritto “profferte”. Mica cotica).
Che i bifolchi si dilettino con l’autopubblicazione potrebbe persino starci (tanto sono bifolchi!). Ma che alcuni di essi rifiutino l’offerta di entrare nell’Olimpo della letteratura, qualora un rappresentate dell’Olimpo stesso e medesimo faccia l’onore di chieder loro di salire e prendere dimora presso appunto il detto luogo: è davvero troppo!
Un atteggiamento che mostra almeno un altro difetto: presumere che il talento passi attraverso alcuni e precisi passaggi e cerimonie e riti, perché solo essi possono offrire quella patente di legittimità senza la quale dilettante sei e dilettante resti.
Questo semmai dimostra come la lettura non insegni poi molto. Si ripete sempre che la lettura “apre” la mente (falso. Buona parte di noi legge e soprattutto continua a leggere quegli autori di cui condivide la visione del mondo), ma all’atto pratico si attende che certe istituzioni diano il nulla osta prima di accettare e riconoscere il talento. Anche perché…
Quella brutta faccenda chiamata successo
Anche perché il successo, si sa, getta la luce sui mediocri. Questo è da sempre l’idea che accompagna chi riesce a vendere tanto. Idea che tradisce un atteggiamento classista.
Il vero autore, di valore, da leggere, quindi importante, è colui che, ricco di famiglia, vende poco. Pochissimo. Lo leggono solo quelli come lui.
Chi vende tanto, essendo bifolco, intercetta i bisogni dei bifolchi. E se si crede che sia un modo di pensare vecchio, che ha fatto il suo tempo: si commette un errore. È sufficiente avvicinare un editore e chiedergli dell’autopubblicazione, o di Stephen King, per capire al volo che è un’idea ben radicata e dura a morire.
Eppure non appena ci si avvicina alla letteratura si comprende abbastanza bene che se esiste un “luogo” guidato dalla follia, è proprio essa. Quindi occorrerebbe essere un po’ flessibili, leggermente più consapevoli che si tratta di un territorio che se ha delle regole, si diverte moltissimo a cambiarle, a scriverne di nuove, a gettare alle ortiche quelle vecchie o un po’ vecchie.
In conclusione?
C’è ben poco da concludere perché tutto o buona parte è già nelle righe precedenti.
Il 90% dell’autopubblicazione è di pessima qualità, esattamente come quello che arriva via mail alle case editrici.
Ma la “pessima qualità” è, spesso, anche prodotto di una scarsa conoscenza di come si costruisce una storia, e se si ha pazienza e tenacia probabilmente nel giro di qualche anno questi difetti saranno superati.
Ritenere che di sicuro chi autopubblica è un pessimo autore è banale. Il talento percorre ormai nuove strade, si mostra e si palesa attraverso nuovi mezzi, nuovi media (come scrivono quelli bravi). Negarlo vuol dire difendere posizioni sciocche, che forse in certi ambienti (molto ristretti) avranno ancora successo per un po’ di tempo. Ma non le renderà per questo meno sciocche.
Il successo infine vuol dire tutto e il contrario; può essere una storia di qualità, oppure no. Perché tutto in letteratura è governato da una buona dose di follia.
E buona scrittura a tutti.
Il successo nel 90% dei casi è dovuto a macchine da guerra di marketing che portano al vincere una editoria di dubbia qualità che ha sempre cattive parole contro chiunque si pubblica in autonomia, una dubbia qualità che viene osannata anche con il vincere premi letterari internazionali che riescono a convincere molti del dover leggere quel libro: perché lo hanno letto tutti e ha persino vinto dei premi di prestigio! Senza sapere che il potere del soldo applicato al marketing fatto bene, dove già si ha un certo pubblico, è sempre la soluzione.
Nell’altro 10% da un impegno costante nel tempo di produzioni davvero buone.
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Macchine da guerra del marketing perché ovviamente scrivono di ciò che la gente vuole leggere. Altrimenti, ciccia!
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Tu pensi che quella che ha scritto “50 sfumature di grigio” avesse le idee chiare?
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Eccome! Infatti guarda dove è arrivata?
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La maggior parte di chi scrive non legge. Questa è la conseguenza di quel 90% di storie scritte male.
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Vero, ma spesso certi autori sono diventati classici anche senza aver letto molto…
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quali?
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Giovanni Verga dicono abbia letto poco.
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È anche una questione di non leggere, ma non è il motivo principale. Per diversi motivi. Primo: devi scrivere in modo da poter essere letto e compreso dal tuo pubblico di riferimento. Aspirare al pubblico basso implica che non ti devi curare molto di come scrivi ma al contempo arrivi a molta più gente.
Secondo, se anche scrivi qualcosa di perfetto, pensi che venderai qualcosa se non metti in piedi un macchina da guerra di marketing che può costarti una spesa anche di 30’000 euro al mese in pubblicità? E quindi molti non si curano troppo della forma (o non se ne curano affatto) anche perché spesso, purtroppo, non frega a nessuno. Frega a me, ma io sono una goccia nell’oceano. Si risparmiano una immane fatica completamente inutile.
E quasi nessuno fa un e-book in modo professionale. Si carica il file di Word e si aspetta che la piattaforma te lo converta alla buona. Tanto ti diranno sempre che conta quello che la storia ti da non come la presenti, che è una grossa bugia, perché la storia necessita anche della forma e della formattazione impeccabile.
Io sono molto esigente e quindi quando un e-book è fatto con la conversione del file word lo faccio tornare al mittente.
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Il programma K di Amazon che permette la conversione di world o PDF in e-book va studiato per benino e bisogna essere disposti a cambiare il file originario e a ricaricarlo. Idem (con qualche nota peggiorativa) per i libri cartacei.
Se vuoi creare un prodotto di qualità (anche nella forma) devi sudare parecchio…
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No, gli e-book vanno fatti in XHTML e CSS. Solo così risultano di qualità, privi di schifezze varie dovute alla conversazione. Gli altri metodi possono portare a risultati più o meno accettabili, ma in alcuni casi pessimi. È un problema che si ha anche nelle gradi case editrici.
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Gli e-book, così come i cartacei, vanno sfogliati pagina dopo pagina per vedere se sono impaginati correttamente. Il linguaggio di conversione non c’entra
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Al massimo si può dire che le opere autopubblicate, non essendo (spesso) passate al setaccio da nessuno, hanno statisticamente maggiori probabilità di toccare il fondo quanto a qualità; ma poi? Se si sostituisse al pregiudizio una valutazione seria, molti bravi autori smetterebbero di “aspirare” per “emergere”. Quanto al posto destinato al dilettante, non esiste, si capisce. Le redini si cedono per costrizione, non per scelta…
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Purtroppo molti aspiranti autori non vogliono sottoporre nulla a nessuno. Probabilmente perché non leggono e non hanno la più pallida idea di che cosa significhi scrivere una storia breve o lunga. Ma non sono pochi quelli che comunque anche se fanno leggere la loro storia, non “girano”. Non hanno le capacità, il talento…
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La maggior parte dei libri cartacei editi finisce al macero o negli outlet a prezzi stracciati. Chi auto pubblica, proprio perché è on demand, buono o cattivo sia il suo testo non produce residui. Questo non significa che si deve autopubblicare per ridurre lo spreco della carta. D’altra parte Mondadori tramite Kobo fa esattamente quello che fa Amazon da tempo: offre una piattaforma per l’autopubblicazione.
Comunque non c’è personaggio celebre o presunto tale che non mette la sua firma su un libro.
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Infatti, e di certo un personaggio celebre non credo legga, almeno non in Italia, forse qualcuno lo fa pure, ma non è la norma. Però, nel frattempo, inondano gli scaffali con libri di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza, se non fossero stati pubblicati.
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concordo perfettamente
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Ho letto da qualche parte che pure Newton & Compton usa il Print on Demand di Amazon per certi libri. Presto lo faranno un po’ tutte le case editrici.
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Penso sia sensato…
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Quelle più piccole di sicuro
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Sì, peccato la qualità del libro non sia questo granché.
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Mi riferisco alla qualità di stampa e al materiale usato per realizzare pagine e copertina, soprattutto i colori della copertina, a volte sono completamente sballati.
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“certe lamentele a proposito dell’autopubblicazione e della “democratizzazione” della scrittura tradiscono un vecchio desiderio. Quello di mantenere il controllo sulla produzione letteraria”
Ecco questo credo sia una grande verità, c’è l’esigenza di mantenere il controllo sulla produzione letteraria.
Comunque sulla qualità posso affermare che ho letto romanzi di CE blasonate davvero terribili ed eBook autopubblicati validissimi
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D’accordo
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Non avevo mai pensato che c’entrasse il controllo sulla produzione letteraria con il disprezzo provato per l’autopubblicazione. Tanti anni fa, pensavo ingenuamente chel’autopubblicazione potesse costituire un ottimo vivaio per le case editrici per pescare autori di talento senza correre molti rischi, ma sbagliavo. Ognuno è rimasto sulle sue posizioni. Io oggi sono una self convinta, come sai anche tu non è tutto rose e fiori, ma non tornerei indietro.
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Il fatto è che (a volte) le case editrici pescano dall’autopubblicazione. Poi fanno finta di disprezzarlo.
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Pescano dall’autopubblicazione quando fiutano l’affare, ovvero il fatto che l’autore ha già centinaia e centinaia di lettori, tantissime recensioni e occupa la classifica Amazon nei primi posti tra gli autori che vendono tanto per mesi, mesi e mesi. Altro che pescare, vanno in cerca dell’affare d’oro a costo zero 😀 . Sono furbastri. Muahahahhahhh.
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Sono aziende, prima di tutto. Devono far quadrare i conti 😉
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