di Marco Freccero. Pubblicato il 13 marzo 2023.
Qualche tempo fa avevo scritto che avrei anche parlato di che cosa Dostoevskij aveva trovato nel visitare Londra, durante il suo primo viaggio in Europa. Credo che questo sia l’articolo che prosegue quel discorso.
Ma prima di procedere intendo ribadire un semplice concetto: 2 + 2 = 5
Vale a dire?
Vale a dire che ormai c’è questa superstizione in giro, quella che afferma che il viaggio apre, anzi spalanca la mente. Ma è sufficiente leggere “Note invernali su appunti estivi”, di Fedor certo, per capire che le cose non funzionano affatto così, anzi. In realtà basterebbe vedere come si comportano i turisti in giro per le città come Firenze, Napoli o Roma per saperlo. Il 90% di essi si trascina dietro le sue idee e pretende che siano accolte e coccolate. Chi viaggia a Tokio e non trova gli spaghetti o la pizza “come la facciamo noi”, frigna e batte i piedini. Sarebbe stato meglio se fosse rimasto al paesello, ma per fortuna mi dicono che il prezzo dei biglietti aerei sono aumentati. Questo dovrebbe ridurre drasticamente le lagne di queste persone, inducendole a restare nel suddetto paesello (che probabilmente fatica a sopportarli).
Insomma. Per fortuna l’essere umano non è (ancora) una macchina di cui possiamo prevedere esito e comportamento in base a quello che riceve. (Anche se si sta lavorando duro per arrivarci). Se leggi e viaggi sarai una bella personcina, altrimenti sei brutto sporco e cattivo. Bubbole. Fanfaluche. 2 + 2 = 5, appunto.
Ma questo articolo dovrebbe parlare di Fedor e di Londra.
Londra…
Torniamo dunque a Londra. Alla Londra che vede Dostoevskij.
Come scritto prima, lui ne parla nel libro “Note invernali su impressioni estive” dove di fatto demolisce la Francia e i francesi. Londra gli piace maggiormente di Parigi, e poi c’è il palazzo di Cristallo dell’esposizione. Per lui quell’edificio è il nuovo Baal, la rappresentazione del nuovo potere sovrano che si è saldamente insediato non solo nel cuore della città; ma anche nel cuore dell’uomo. È il punto di arrivo di un movimento che adesso si mostra senza più timore perché sa che ormai nulla può impedirgli il trionfo. Tutte le genti vanno ad adorarlo, ad ammirarlo. Ha vinto. L’Europa (tranne la Russia, naturalmente), ha piegato il ginocchio a lui, si è genuflessa al suo fascino, al suo potere, gli ha riconosciuto ogni diritto. Nessuna voce osa alzarsi per contrastarne il potere (è falso, le voci ci sono eccome. Ma Dostoevskij non poteva riconoscerlo o la sua impalcatura ideologica sarebbe franata). La carità è organizzata (ora ci sono gli SMS a 2 euro, vero?). Non per risolvere i problemi; ma per illudere che si faccia davvero qualcosa per risolverli.
Il potere di Baal
Il punto non è nelle masse londinesi che si ubriacano mentre Baal domina senza nemmeno nascondere il suo potere. Semmai il nocciolo della questione è ciò che questa forza, che lui definisce appunto Baal (è il nome di una divinità che si trova anche nella Bibbia), riesce a ottenere dagli uomini.
Una delle (tante) accuse che muove Fedor Dostoevskij all’Europa, è di aver annientato la fraternità per produrre il borghese. Il nostro scrittore russo si aggira per le strade della capitale inglese dove gli operai si ubriacano e le prostitute bambine si sono a caccia di clienti. Mentre lui è in compagnia delle sue idee e quasi a ogni passo annuisce. È lì proprio per vederle confermate, non smentite. Ha anche un incontro particolare. A un certo punto una donna gli mette in mano un foglietto e si allontana. Lui non capisce chi è, cosa vuole, che cosa ha mormorato (non conosce l’inglese).
Infine scopre che fa parte di un movimento cattolico che lavora per aiutare i poveri di Londra, e ovviamente lui prende spunto da questo per attaccare i cattolici, il loro proselitismo, eccetera eccetera.
Al di là dell’impianto ideologico che lo scrittore russo sfodera, è del tutto comprensibile il suo punto di vista, anche perché parte da una constatazione evidente. Si è chiusa per sempre un’epoca che è durata secoli, e se ne è aperta ormai un’altra, il che fa parte del normale svolgersi delle cose. È la Storia che procede, va avanti. Finisce l’impero romano, inizia qualcosa d’altro. Finisce il predominio inglese, inizia quello statunitense (che finirà anch’esso).
Esiste il rischio di credere che questa posizione di Fedor sia considerata antistorica, cioè di un uomo che rifiuta il progresso; ma immagino sia un errore piuttosto grossolano. Lui osserva semmai quel lento ma inesorabile voltare le spalle dell’essere umano all’umanità: la sua e quella che lo lega agli altri. Quando parla del trionfo del borghese e della fine della fraternità, a noi pare che dimostri la sua cecità, la cecità russa insomma. Così particolare, così “carina”, mentre noi…
E poi, la Rivoluzione francese non aveva nel suo motto proprio la fraternità? È chiaro che lui si sbaglia!
Il borghese ha vinto
Per Dostoevskij gli ideali della Rivoluzione sono stati traditi (e ai suoi occhi non poteva che andare così). Il borghese è il vero frutto della Rivoluzione, e il suo trionfo è a Londra, nel palazzo di Cristallo dell’Esposizione universale. Il fatto che migliaia di uomini e donne lo visitino mentre altre migliaia si ubriachino e precipitino nella desolazione è una faccenda che non interessa. Che la miseria più squallida e la potenza più aggressiva nella storia del Mondo possano convivere una accanto all’altra senza suscitare almeno stupore, e dopo indignazione, è la riprova che la Rivoluzione ha mancato il suo scopo. L’uomo già non si interessa di ciò che accade all’uomo. Gli passa accanto, lo usa, e poi passa oltre, con gli occhi fissi su Baal.
Attenzione. Non è l’unico a pensarla così, ma finge di scordare tutte quelle voci che in Europa già da tempo avvertivano che cosa stava succedendo. Ma Dostoevskij non poteva ammetterlo, o la sua costruzione ideologica avrebbe scricchiolato paurosamente.
Quello di Dostoevskij è stato dunque un viaggio inutile? Se è stato fatto solo per confermare le sue idee, a che pro?
2 + 2 = 5: è sempre bene ricordarlo. È nel fatto che i conti non “tornino” che si nasconde la grandezza totale di Fedor Dostoevskij. Credo che non ci sia un solo grande romanzo di Fedor dove la sua idea di Europa “borghese”, quindi inginocchiata di fronte a Baal, non emerga. Accanto all’idea che solo la Russia possa salvarla, e quindi salvare il mondo intero.
Eppure se le sue opere sono così lette ancora oggi, non succede perché “i russi sono originali”. Ma perché avvertiamo nella vita di ciascuno quel deserto, quella vittoria di Baal alla quale non possiamo però rassegnarci completamente. In un certo senso, Fedor è come l’acqua che bagna la terra arsa dalla calura, il sole che scioglie il gelo della Terra. Ci rammenta che ciascuno di noi ha un compito, e non è quello di inginocchiarci a Baal. Ma di andare verso gli altri.
Sono molto stupita da questa preferenza di FD per Londra. Avrei detto il contrario. Per le atmosfere, soprattutto…
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Fedor aveva il dente avvelenato coi francesi…
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Il viaggio apre le mente se si percorrono percorsi inusuali, meno turistici, altrimenti ognuno resta chiuso nelle sue idee. Credo che più del singolo viaggio serva l’esperienza di vita in un altro paese a contatto con la gente vera, quella della strada.
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Così facendo, Dostoevskij avrebbe dovuto cambiare idea. 😀
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Credo che il concetto di viaggio in sé, sia da considerare neutro. Come molte altre esperienze, arricchisce solo se ci si pone davanti a ciò che si vede con uno spirito disposto al confronto. Altrimenti, come sottolinei anche tu, diviene un’esperienza, passami il termine, autocelebrativa nei riguardi dei propri valori. Come Hegel, che usava la storia per giustificare il suo Idealismo arrivando persino a compiere errori grossolani. Detto questo, ottimo intervento. È sempre un piacere leggere i tuoi articoli.
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Grazie!
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