Il coccodrillo di Dostoevskij


 

 

di Marco Freccero. Pubblicato il 15 maggio 2023.

 

 

 

 

“Il coccodrillo”, editore Adelphi, è un breve racconto (incompleto) di Dostoevskij. Iniziamo subito col dire che non è nulla di fondamentale. Non si tratta affatto di un’opera che si deve avere a tutti i costi. Come la definì lo stesso autore russo, è una “birichinata”, che intendeva riprendere e concludere, ma non lo fece mai. La ragione? Chissà! 

Gnam gnam!

La storia è semplice. Ivan Matveic, la moglie e un amico (la vicenda si svolge a San Pietroburgo, e dove altrimenti?) vanno ad ammirare un coccodrillo che un tedesco ha portato nella città. Un’attrazione che però non impressiona affatto la moglie Elena Ivanovna che, con l’amico, decide di andare nella sala accanto dove ci sono le scimmie. Quelle sì che sono divertenti.

Poi delle urla, del marito. Quando i due ritornano nella sala del coccodrillo: orrore! Vedono il povero Ivan nella bocca dell’animale, e in breve tempo viene ingoiato. 

“Sventrare! Sventrare” grida la donna, ma le si fa notare che non è una reazione intelligente, anzi è decisamente retrograda. Se si sventra un coccodrillo che dà da mangiare al suddetto tedesco e consorte, poi non ci si deve sorprendere se la Russia è considerata un Paese incivile. E poi c’è il principio economico da tutelare. Il coccodrillo è un’attrazione, si paga per vederlo, ed è in Russia perché gli imprenditori stranieri scommettono sulla Russia. Non li si può ripagare uccidendo un animale.

Il principio economico

Ma attenzione: Ivan Matveic non è morto, ma dall’interno dell’animale parla…

Lasciamo da parte il resto della storia che come detto non è memorabile ma aiuta a comprendere come Fedor giudicasse quanto stava per arrivare in Russia. Ho idea che il Dostoevskij di questi racconti spesso dica su di sé, sulla sua visione del mondo, molto più dei romanzi. Di certo sbaglierò.

Ma se nelle sue straordinarie storie (I demoni; Delitto e castigo; eccetera eccetera) riesce in modo impeccabile a sposare il punto di vista dei suoi avversari, consegnandoci per esempio dei memorabili nichilisti… Quando lo leggiamo nelle storie brevi la sua visione delle cose appare più radicale.

Nelle poche pagine de “Il coccodrillo” lo scrittore russo mette alla berlina la tendenza di quegli anni a considerare buono, anzi ottimo, tutto quello che proveniva dall’Europa. Sul banco degli imputati il principio economico, al quale la Russia tutta doveva il più rapidamente possibile dedicare tutta se stessa perché così si faceva in Occidente; e non si doveva restare indietro.

E che l’Occidente ci creda (ancora), al principio economico, lo dimostrano i fatti purtroppo. Dalla fine degli anni Ottanta del Novecento si è offerto fiducia ai peggiori regimi sulla Terra convinti (noi) che il “libero mercato” avrebbe miracolosamente inciso anche sulle strutture della società portando quegli Stati, nel giro di qualche anno, ad abbracciare la democrazia… Non è andata esattamente così. Il principio economico se la cava alla grande a prescindere dalla forma di governo. Chi lo avrebbe mai detto?

Ma non solo il principio economico. 

Altro troviamo, meglio esposto, nei suoi romanzi più celebri. L’idea che la Russia abbia una missione; che l’Europa abbia tradito i suoi ideali producendo il più vile degli esseri (il borghese), e uccidendo la fraternità (che si trova solo tra il popolo russo). Ma nel coccodrillo c’è la prova evidente che Fedor era una sagoma.

Fedor, una sagoma

Tutti, quando si avvicinano alle opere del nostro, sono persuasi di avere a che fare con qualcosa di pesante, di serio, anzi di serissimo. 

Dove le risate siano rigorosamente bandite. In realtà nei romanzi di Fedor si ride eccome. Basti vedere l’episodio della Marmeladova (si trova in “Delitto e castigo”) che organizza il pranzo dopo il funerale del marito. Uno degli episodi più divertenti in assoluto. Certo, parliamo di un romanzo dove si verificano due omicidi, e a rigor di logica non ci sarebbe nulla da ridere, anzi. Inoltre, nell’episodio suddetto, abbiamo a che fare con un funerale e anche qui non ci sarebbe da smascellarsi dalle risate. Eppure…

Purtroppo certi autori sono vittime di un’idea che li ha imprigionati e snaturati. L’idea, imposta da altri non si sa per quale ragione, che un autore vive in solitudine, a pensare, pensare, pensare, e che per niente al mondo si metterebbe a ridere o a fare, che so, un sorrisino. Perché il suo ruolo ne sarebbe diminuito. I “messaggi importanti” possono passare solo se listati rigorosamente a lutto. 

Pensare quando si scrive una storia è importante (per dire: lo faccio persino io, ogni tanto). Ma non credo affatto che Fedor passasse le ore a sganasciarsi (pare che Kafka, mentre leggeva agli amici le sue opere, ridesse fino alle lacrime), ma era una persona che, come tutti noi, viveva. Le risate se le faceva eccome. 

Siparietti!

Prima ho scritto “Imposta da altri non si sa per quale ragione”. Immagino invece che sia frutto di un piano: quello di rendere antipatici certi autori. Di farne una sorta di caricatura: “Sono bravi, ma così pieni di sé! Così seri!”. E la gente annusa l’aria e poi ne sta alla larga. Oppure li affronta come se fosse un mal di denti che bisogna sopportare.

Fedor era al contrario un autore che nelle sue storie infilava certi siparietti (come scrivono quelli bravi), davvero azzeccati. Sapeva che la vita è strana assai, e che è zeppa di episodi privi di senso, o che ne hanno molto poco. 

È ovvio che “L’idiota” o “I fratelli Karamazov” sono romanzi che hanno come obiettivo non quello di distrarre e divertire le persone (per quello esiste appositamente la televisione), ma semmai indurre ciascuno ad affrontare quello che conta, riconoscendolo e dandogli il giusto peso. Senza però scordare che esiste anche la risata (magari sguaiata, oppure fuori posto).

Uno dei punti di forza di un grande autore è questo: avere una visione grande, ampia, capace di abbracciare qualunque aspetto della vita umana. Dai più nobili, a quelli più miserabili. Ma con una particolare predilezione per quelli più miserabili, di modo che il lettore si ricordi sempre di quello che è: un miserabile che si è scordato della sua condizione solo perché legge qualche libro, e per questo crede di essere chissà chi.

8 commenti

  1. Mi ha ricordato Giona nella balena ma la metafora che tu stesso proponi secondo me regge. L’occidente che divora il buon russo mentre qualcuno, distraendosi, guarda altrove, verso le scimmie. Anche la scelta degli animali è interessante: il coccodrillo, che si dice versi lacrime dopo aver divorato un uomo e qui ci vedo una sorta di profezia, un pentimento tardivo, chissà se fosse una sorta di sentimento antieuropeo? mah. E le scimmie: gli animali che imitano per eccellenza l’uomo e che qui lo distraggono dalla sua fine. Anche io ho forzato un po’ ma mi ci sono divertita… FD docet

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  2. Di certo il buon russo che ama la madre Russia non può accettare che un occidentale venga lì per intascare i rubli dei bravi cittadini russi e mangiare il buon popolo russo. Di sicuro Fedor non amava l’occidente, ricordo un’altra tua recensione di quello che aveva scritto su Parigi e Londra.

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